All of the stars

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E' solo un'altra notte
E sto fissando la luna
Ho visto una stella cadente
E ho pensato a te
Ho cantato una ninna nanna
In riva al fiume e sapevo che
Se tu fossi stata qui ,
L'avrei cantata a te
Tu sei dall'altra parte
Mentre l'orizzonte si divide in due
Io sono lontano dal vederti
Riesco a vedere le stelle
dall'America
Mi chiedo, non le vedi anche tu?

Quindi, apri gli occhi e guarda
Il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ci guideranno
Nella notte con me
E so che queste cicatrici sanguineranno
Mentre entrambi i nostri cuori sanguineranno
Tutte queste stelle ci guideranno a casa

Riesco a sentire il tuo cuore
Battere in radio
Stanno suonando 'Chasing Cars'
E ho pensato a noi
Indietro nel tempo ,
Stavi riposando accanto a me
Ho guardato e mi sono innamorato
Così ti ho preso la mano
Ho fatto ritorni nelle strade londinesi che conoscevo
Tutto ciò ha portato di nuovo a te
Così puoi vedere le stelle ?
Oltre Amsterdam
Tu sei la canzone che il mio cuore sta suonando

Quindi, apri gli occhi e guarda
Il modo in cui i nostri orizzonti si incontrano
E tutte le luci ci guideranno
Nella notte con me
E so che queste cicatrici sanguineranno
Mentre entrambi i nostri cuori sanguineranno
Tutte queste stelle ci guideranno a casa

E, oh ​​, lo so
E, oh ​​, lo so , oh
Riesco a vedere le stelle
dall'America
All of the stars- Ed Sheeran
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Messaggio: ore 16:34 (bozza)
A: TestaDiMirtillo
Siamo nella stessa città, riesci a sentirmi?

Era il periodo delle vacanze di primavera. Nathan e io avremmo dovuto essere a Miami, nel programma originario Karine ci avrebbe raggiunti. Dio! Non la vedevo da una vita, qualche volta ci sentivamo via Skype ma non era la stessa cosa. Volevo la mia amica casinista. Mi ero trasformata in una specie di topo da biblioteca ed era fottutamente strano.
Invece ero qui, di fronte a uno stupidissimo ristorante newyorchese con un'insegna illeggibile. La colpa era tutta del mio psicologo del cavolo - o meglio - aveva scavato tanto a fondo che non riuscivo più a vivere nell'ignoranza. Dovevo sapere. Il bisogno di sapere era diventato così martellante che non mi faceva dormire la notte.
Deglutii a vuoto e mi chinai all'altezza di Boris. Inizialmente avevo provato a lasciarlo a Nathan ma continuava a essere intimidito dal mio cane. Quando lo avevo portato a casa - in Gennaio - era rimasto di sasso. Mio fratello da bambino era stato morso da un meticcio e questo alimentava il suo essere teso. Non che tenesse Boris alla larga, anzi, gli riempiva la ciotola se non ero a casa e qualche volta gli concedeva una coccola con la punta delle dita. E poi... in qualche modo Boris e io eravamo così legati, come se conoscesse la mia storia, che ogni volta che qualcuno tentava di avvicinarmi si irrigidiva in attesa di un mio ordine. Si faceva accarezzare da chiunque, restando sempre sulle sue con il suo atteggiamento da principino, ed ero l'unica con cui si lasciava andare.
Le persone quando vedevano un cane della sua stazza con me mentre lo portavo in giro rimanevano stupiti - non ero capace di prenderlo in braccio senza finire stesa per terra, era un bestione di sessanta chili - ed era divertente il loro choc quando si accorgevano che ero la sola in grado di tenerlo a bada. Adottarlo era stata tra le scelte migliori della mia vita che, comunque, erano ben poche. Avevo imparato a prendermi cura di qualcosa, mi faceva sentire molto più al sicuro e avevo anche iniziato a correre, Boris era abituato al movimento e io mi tenevo in forma.
《Ehi, piccolo!》 Dissi, dandogli qualche buffetto sulla testa. 《Resta qua fuori e non muoverti mentre sono dentro, okay?》
Cercai di infilargli la museruola e protestò per qualche istante. Non c'era nessuna possibilità che potesse far male a qualcuno - se non provocato, ovvio - ma alcuni tendevano a innervosirsi. Boris era più grande del normale, qualità che lo avevano fatto diventare un cane poliziotto, e il suo corpo muscoloso... era meglio la museruola se non volevo sentire urla isteriche, tendevo a incazzarmi come una bestia se qualcuno si azzardava a trattarlo male.
Gli baciai il capo mentre si accucciava sul marciapiede trafficato.
Sono a New York!
《Torno tra un minuto.》
Cercai di regolarizzare il respiro e asciugare le mani umide sui jeans. Volevo scappare!
Posso farcela, posso farcela!
Respiro profondo e varcai la soglia del locale. Un secondo dopo bloccai i piedi perché avevano una coscienza propria e volevano fare dietrofront. Da quanto ero una codarda? Da sempre.
Il ristorante non era pressoché vuoto, i camerieri sistemavano i coperti e c'era una leggera musichetta in sottofondo. Era uno di quei posti per gente sofisticata, dai colori tenui.
Per mia sfortuna attirai l'attenzione di un cameriere che mi squadrò da capo a piedi, avevo decisamente scelto l'abbigliamento sbagliato: t-shirt dei Pink Floyd, jeans stracciati in punti strategici e anfibi. Forse anche i capelli ricci erano stati un errore.
Ho l'aria da teppista?
New York non era tra le città più... tolleranti?
《Come posso aiutarti?》 Domandò, il tono di sufficienza bastò per scacciare via il timore. Avevo i nervi così a fior di pelle che la sua aria da snob mi incitava alla violenza fisica. Raddrizzai la schiena.
《Lyssa Montgomery?》 Mi costrinsi a pronunciare il suo nome come se non cercassi la mia madre biologica.
《Nell'altra sala, seduta al bancone.》
Annuii e lo superai. Raggiunsi lo spazio adiacente in pochi passi e la vidi. Non era seduta come aveva detto il cameriere stronzo ma alzata e i suoi occhi erano su una cartella foderata di pelle nera. Oddio! Perché non avevo dato ascolto a Kenneth, mi aveva consigliato di non forzare me stessa, di fare le cose con calma ma non c'ero riuscita. Negli ultimi mesi aveva scalfito il muro dietro il quale la tenevo rilegata e ora...
"Non sempre le risposte che vogliamo corrispondono a quelle che troviamo, Vivienne."
Ora vomito.
Mi somigliava, più di quanto ricordassi. Era me a quarant'anni o giù di lì. Stessi capelli, stessa fisicità, perfino stessa altezza ma non ero sicura dato che indossava delle scarpe con i tacchi.
E se sono come lei anche dentro?
Repressi la nausea e cercai di escludere i capelli rossi. Posi fine alla distanza che ci separava e fui a mezzo metro da lei. Mi schiarii la gola.
《Ben, non disturbarmi e vai a lavorare!》 Affermò, senza alzare lo sguardo. Fu quel distacco nella voce a farmi prendere coscienza della realtà. Non ero una ragazzina in cerca di madre e lei non era una donna alla ricerca della figlia perduta. Non era un film. Non cercavo nessun rapporto solo risposte, anche se mi avrebbero destabilizzato, ma contavo su Kenneth per non dare di matto.
《Lyssa?》 La richiamai, decisa. Finalmente si concentrò su di me. Mi rivoltò come un calzino, arricciando il naso in una smorfia contrariata alla vista dei miei vestiti, poi studiò il mio volto. Mi riconobbe, il lieve guizzo sulle sue labbra la smascherò.
Si finse indifferente. 《Sì?》
《Sono Vivienne Butterfield.》 Precisare il cognome era meglio, no? Nessun fraintendimento. Il suo corpo si tese e chiuse la cartella con un tonfo.
《Lo so.》
Non c'era niente, nessuna traccia di pentimento nei suoi lineamenti.
Non è mia madre!
《Poss-》
《Non sul mio posto di lavoro》, scattò, osservandosi attorno, spaventata dalle orecchie indiscrete. Per poco le braccia non mi caddero su quel dannato pavimento che probabilmente costava più della mia retta scolastica complessiva dei quattro anni. Feci spallucce, strafottente, di certo non le avrei mostrato quanto avesse scalfito la mia sicurezza.
《C'è un bar dall'altra parte della strada. Aspetterò venti minuti.》
A lei la scelta. Le diedi le spalle. Quando fui a un metro dall'uscita, mi pietrificai alla vista di un uomo con due bambini: gemelli; con tutta probabilità non superavano i dodici anni d'età. Mi paralizzai, comprendendo l'atteggiamento di Lyssa. La bambina mi fissò, dritto negli occhi, restando ancorata alla mano del padre mentre il bambino saltellava ovunque agitato.
《Mamma, mamma!》 Gridò, correndo verso la sala. Mi tremarono le mani e calai gli occhiali da sole sul naso.
Non sono i miei fratelli. I miei unici fratelli sono Gabe e Nate.
Kenneth aveva ragione, non ero pronta, avevo voluto strafare. Li superai con fingendo nonchalance. Recuperai Boris, agganciandogli il guinzaglio nel collare. Il cane mi studiò, prima di muoversi, certe volte pensavo che avesse gli occhi di essere umano.
《Sto bene.》 Non seppi se volli rassicurare lui o me stessa. Velocemente raggiunsi la caffetteria e mi sedetti su uno dei tavoli all'aperto mentre Boris si accovacciò ai miei piedi.
Se papà avesse saputo che ero qui mi avrebbe uccisa, solo Nate ne era a conoscenza e non mi aveva fermato.
"Una madre lontano è meglio di una morta."
Non la pensavo come lui, Samantha non aveva scelto di morire e amava i suoi figli più della sua stessa vita. Era uno schifo. Nathan, Gabe, io... tutti e tre senza madre e con la convinzione di non averne bisogno. Cresciuti intrecciati a papà e al suo amore per noi. Sapevo che il loro dolore era diverso dal mio, Gabriel perché ricordava tutto di Sammy mentre Nate era troppo piccolo. Invece, io dovevo sapere cosa c'era stato di più forte da spingere Lyssa a buttarmi nel dimenticatoio della sua giovinezza come un oggetto rotto che non serviva più.
Perché - cazzo! - non mi ha voluto però ha dei figli.
Volevo scoprire se aveva visto qualcosa di sbagliato in me molto tempo prima che Marcus mi spezzasse; conoscere se davvero le somigliavo oltre all'aspetto. Dio! Non riuscivo immaginare dei figli nel mio futuro, schiacciata dalla paura che potessi fuggire a gambe levate come lei.
Anche Harry lo aveva detto, la corsa ce l'avevo nel sangue. Desideravo essere in grado di fermarmi, passeggiare.
Alzai la testa di colpo appena sentii la sedia spostarsi contro il cemento del marciapiede. Eccola lì, di fronte a me. Ora che facevo più attenzione non eravamo propriamente simili - certo, era palese che mi avesse procreato - ma c'erano alcune differenze. I miei capelli erano più folti e incasinati, i suoi erano più lisci e non si ribellavano se tentava di legarli come in questo momento; l'incarnato era più dorato ma supponevo che fosse frutto di qualche lampada solare; le lentiggini mi ricoprivano tutto il volto e il corpo mentre lei ne aveva una leggera spruzzata su naso e guance che nascondeva con uno spesso strato di cipria.
Si lisciò la gonna nera del suo tailleur e si tolse la giacca dello stesso colore prima di accomodarsi. Ordinò un caffè decaffeinato - altra incongruenza - e, infine, ebbe la decenza di guardarmi.
《Sei uguale a tua nonna da giovane. Le lentiggini》, mi indicò il viso, 《sono merito di tuo nonno.》
Era seria? Questa era la prima cosa che si era degnata di dire? A quanto sembrava avevamo la stessa vena menefreghista.
Sono vivi? Dove vivono?
Mi inumidii le labbra improvvisamente secche e lanciai un'occhiata a Boris che aveva poggiato il muso sulla mia coscia. Gli posai una carezza sul muso per tranquillizzarlo.
《È un animale... imponente》, continuò lei.
Scrollai le spalle e in un attimo di poca lucidità la ringraziai per avermi tolto dall'imbarazzo. 《Le palle di pelo con gli occhi grandi non fanno per me.》
Annuì. 《Allora, dovresti avere vent'anni se non sbaglio.》
Almeno lo sai che sono nata il quattro marzo?
《Ventuno》, precisai. Non espressi con la voce l'amarezza che sentivo dentro. Era una sconosciuta. Non si finse neppure contrita per la sua gaffe.
Bevve un sorso del suo decaffeinato poi sospirò, prendendo un tovagliolino di carta dal raccogliotore sul tavolo. Iniziò a torturarlo, era a disagio.
《Come sta Richard?》
Davvero? Giuro che ti faccio sbranare da Boris col mio aiuto.
《Molto bene. La locanda lo tiene impegnato.》
《Red Flower, giusto?》
Ricordava il nome della locanda ma non la mia data di nascita. Era la rappresentazione grottesca di come non doveva essere un rapporto madre-figlia.
《Sì.》
《Suppongo che Blacksburg non sia cambiata. Le pettegole sono ancora vive?》
《Già...》
Appallotolò il fazzolettino. 《E tu? Frequenti il college?》
《Sì.》
《Qui, a New York?》
《In Florida.》
Con Nathan, mio fratello, nelle mie vene c'è più sangue suo che tuo.
《Cosa sei venuta a fare, Vivienne? Cosa vuoi?》
《Perché?》 Espirai, ormai priva di forze. Raddrizzò la schiena come fosse stata punta e ancora una volta mi squadrò, concentrata.
《Perché di cosa?》
《Non puoi dire sul serio》, sbottai.
Si mise una ciocca di capelli dietro le orecchie, in un gesto nervoso. 《Ero una ragazzina, Vivienne, ho avuto una vita difficile e non avevo prospettive...》
《Vai dritta al punto》, la interruppi, infastidita che cercasse di giustificarsi. Poi pensai che anch'io avevo avuto una vita piena di alti e bassi e che - Santissimo Cielo - mi ero comportata come lei.
《Blacksburg non faceva per me. È uno di quei luoghi che ti logora lentamente, ti tarpa le ali e...》
Ti spinge a scappare...
《Tuo padre non aveva bisogno di me, Vivienne. Dopo la sua prima moglie l'unica donna che riuscisse a raggiungerlo era Karen, non so se la conosci.》
La conosco brutta stronza! È la mia vera madre.
《Non azzardarti. A quel tempo Karen era una donna sposata e non si sarebbe mai permessa di mettere dito fra voi due.》
《Non capisci...》
Risi, acida. 《Credi ciò vuoi ma, arriva alla parte in cui fai armi e bagagli e sparisci in piena notte dopo un mese dal parto!》
Se pensava che provassi compassione per lei si sbagliava di grosso. Deglutì forzatamente, evitando il mio sguardo, speravo si sentisse di merda.
《Non eri mia.》
A meno che non si fosse drogata... 《Che significa?》
《Io...》
《Senti, non importa quanto sia cruda, voglio la verità. Sii onesta e dopodiché sparisco.》
《Okay, la verità》, confermò. 《Odiavo Blacksburg, chi vi abitava, l'unica persona che accettavo era Richard e Karen... ero certa me lo portasse via.》
《Avevi venticinque anni, non quindici! Non eri una ragazzina come vuoi farmi pensare!》
《Quando non hai mai avuto niente, fai di tutto per stringere la presa su ciò che ti rimane》, replicò.
《Ironico, non trovi?》
La presa su di me dov'era?
《Lasciami parlare》, supplicò. La invitai con un gesto della mano. Non mi piaceva neanche un po' il vittimismo.
《Ho creduto che se fossi rimasta incinta...》
《Lo hai incastrato》, dedussi. Sì, lo sapevo, ma la prova tangibile era rivoltante. Sbiancó.
《Ho capito di aver fatto un errore. Volevo abortire ma tuo padre non me l'ha permesso. Ripeteva che non potevo uccidere suo figlio.》
Uno. Sbaglio. Fin dall'inizio. Ero certa che se ne fosse accorta una volta dopo il parto, invece non mi desiderava da subito. Papà aveva combattuto per me. Da sempre.
"Non sempre le risposte che vogliamo corrispondono a quelle che troviamo, Vivienne."
《Poi?》 La spronai. Lo stomaco stretto in una morsa d'acciaio e il caffè spingeva per risalire lungo l'esofago.
《Non eri mia, Vivienne. Ti ho partorito ma non consideravo mia figlia. C'era un muro tra noi. Volevo essere io a strappare da Richard il dolore per la morte di sua moglie ma sei stata tu la sua ancora di salvezza. Mi sono detta che era solo un periodo tuttavia continuavo a non volerti, non riuscivo neanche a prenderti in braccio.》
《Non sei pentita》, constatai.
《No.》
Chiusi i pugni, conficcandomi le unghia nei palmi.
"Non sempre le risposte che vogliamo corrispondono a quelle che troviamo, Vivienne."
Era dura. Tanto. 《Hai... hai dei figli》, ansimai.
Il sorriso che le sollevò involontariamente le labbra mi diede il voltastomaco.
《Sì. Due gemelli eterozigoti.》
Cos' hanno loro che io non avevo?
《Quindi cos' è? Stai cercando di dirmi che è colpa mia se non mi amavi come dovrebbe fare qualsiasi madre?》
《Eri solo una neonata, non l'hai scelto tu.》
《Molto convincente.》
《Ho creduto che essere madri fosse semplice. Era il momento sbagliato.》
Adesso stava provando a confortarmi, davvero comico se si considerava il suo discorso. Mi alzai, frugando nella tasca dei jeans per recuperare qualche banconota. Sbattei i soldi sul tavolo di metallo, attirando l'attenzione delle persone che ci circondavano.
《Sai cosa? Mi dispiace fottutamente tanto per quei bambini. Donne come te non dovrebbero neanche avere il diritto di avere figli. E ti ringrazio, se mi avessi portato via con te sarei più incasinata di quel che sono. Papà, Karen, Gabriel e Nathan insieme a tutti quelli che abitano in quel posto che tanto odi sono stati mia madre mentre tu... cazzo! Richard deve essersi bevuto il cervello per aver visto del buono in una persona superficiale come te.
Sono venuta qui perché avevo la fottuta paura di essere della tua stessa pasta. Grazie a Dio non è così! Io amo, Lyssa. Nel modo sbagliato, sì, ma amo con ogni parte di me, anche se non mi conviene.》
《Vivienne》, sussurrò. Oltre all'imbarazzo per aver richiamato gli sguardi non c'era nessun'altra emozione in quel volto. Non era disperata perché me ne stavo andando piuttosto mi implorava di non fare sceneggiate.
《Ma vaffanculo!》
Stupida. Ero una cerebrolesa che si era rovinata l'esistenza alla ricerca di risposte che avevo sotto il naso. Lyssa non mi definiva, non avrei seguito le sue orme e di sicuro come la morte, non avrei abbandonato i miei figli. Mi bloccai in mezzo al via vai di persone. Figli.
Oh merda!

Messaggio inviato: ore 18:05
A: Papà
Grazie

Messaggio ricevuto: ore 18:06
Da: Papà
Per cosa, amore?

Messaggio inviato: ore 18:06
A: Papà
Per essere il padre migliore del mondo. Ti voglio bene.

Feci scorrere il dito sullo schermo del cellulare. La chiamata partì in meno di un secondo.
Vivienne?
《Dottor. Kenneth... mi aiuti.》
Che succede?
《Ho smesso di correre.》
Mi parve di percepirlo sorridere. 《Correre?
《Sì.》
E come ti fa sentire?
《Disorientata...》
E?
《Spaventata.》
Perché?
《Voglio che lei mi aggiusti una volta per tutte.》
Cosa intendi per "aggiustare"?
《Davvero stiamo facendo una seduta a chilometri di distanza?》
Non preoccuparti delle modalità, Vivienne.
Sbuffai. 《Io... ho paura...》
Di cosa?
《Voglio accettare di poter essere amata...》
Ma?
《Se... se lo faccio, dovrò anche accettare che lui mi amava davvero e che ho mandato tutto al diavolo...》
Lunedì al mio studio, solito orario.
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Avrei dovuto pubblicare domani ma mi annoio e ho fame e sono di cattivo umore...
Che dire di... iniziamo da Lyssa? Stronza, decisamente, ma dal punto di vista psicologico non è strano che alcune madri non percepiscano uno dei loro figli come proprio. A volte si tratta DPP (depressione post partum) altre è più... complicato suppongo. Non sono una psicologa. Bando alle ciance! Passiamo a un'altra parte fondamentale: Viv ha smesso di correre. A voi le conclusioni. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo e io ancora non ci credo. Vi è piaciuto? Votate e commentate.
Ah... e passate all'altra mia storia "White silences" mi piacerebbe sapere cosa ne pensate. È un originale. Un po' deprimente ma pur sempre una storia d'amore.
Il fatto che sia diversa non significa che sia brutta no? Datele un'occhiata.

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