I tizi del dipinto

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Il mondo andava a puttane. Questo pensava Joan mentre attraversava la palude. Era appena calato il buio e faceva caldo, quel tipo di caldo appiccicoso nel quale sguazzano le zanzare. E di fatti l'aria era piena di quelle figlie di puttana succhiasangue. Joan passava metà del tempo a mollarsi schiaffi sulle braccia scoperte. Al diavolo le zanzare e al diavolo quelli che la inseguivano. Da quando i Quattro Despoti avevano emanato il proclama che metteva a morte le rockstars, tutto era andato a rotoli rapidamente. C'era stato un fuggi fuggi generale. Lei si era data con la sua band, i Black Hearts, pochi giorni dopo il proclama, ma gli asesinos li avevano trovati ed erano caduti uno dopo l'altro. Prima Kevin, poi Will e infine Ryan. Lei se l'era vista brutta, ma con l'aiuto del dio del rock e di una buona dose di culo ce l'aveva fatta a seminare quei bastardi per un po'.

Ora però era alla frutta. L'avevano spinta sino ai confini del mondo conosciuto, lì nelle paludi dell'Ell. Al momento ancora giravano bene le cose – zanzare a parte – ma non poteva continuare a scappare. Era stanca e non ce la faceva più a dormire con un occhio aperto. Per non parlare della dieta. Negli ultimi giorni ne aveva cominciata una a base di serpenti. Li ammazzava col coltello e li cucinava a fuoco basso. Non erano male quanto a sapore, ma cominciava ad averne abbastanza.

Forse dovrei arrendermi, pensò.

Ma aveva promesso ai suoi compagni che non avrebbe mollato. Gli aveva pure promesso che avrebbe marciato sino al palazzo d'oro di Aramundi, con al seguito un manipolo di rockstar armate sino ai denti, e ci sarebbe entrata per piantare poi baracca e burattini e fare della Villa una dimora per rockstar in pensione. Nell'immenso cortile avrebbero tenuto concerti ogni giorno: lei, Angus Young, Steven Tyler, Slash e gli altri sopravvissuti. Uno show gratuito per i mulatti di hen Ddinas, comprensivo di pass che garantisse una dormita nelle stanze sotto le cupole dorate. I ricconi dell'Isel Ddinas, invece, avrebbero pagato bronzi sonanti anche solo per guardarli da lontano.

Joan sorrise al pensiero di quella fantasia mentre si mollava un ceffone sul braccio. Sollevò la mano e trovò uno sgorbio nero e spiaccicato sul palmo. C'era pure una strisciolina di sangue. Maledette succhiasangue. Si baloccò ancora un po' con quel sogno ad occhi aperti di un mondo in cui il rock scorreva libero per le strade e nelle case, nelle taverne e in qualsiasi anfratto conosciuto. Quando ne ebbe abbastanza e la stanchezza la prese, si fermò a rifiatare. La palude era silenziosa e la Luna splendeva alta. Gli alberi si stringevano e alcuni sembravano tendersi per osservarla come fan invadenti. I fan. Un tempo si imbufaliva se allungavano una mano per toccarla. Ora le mancavano. Di certo preferiva la vecchia notorietà a quella che il proclama le aveva procurato.

Raccolse la legna e mise su un fuocherello da bivacco con acciarino e pietra focaia. Lasciarsi fuochi da bivacco alle spalle non era mai una mossa astuta, ma doveva pur mangiare. Armata di coltello si aggirò nei dintorni. La luce della Luna era abbastanza limpida da consentirle di guardarsi attorno senza troppe difficoltà. Il fango risucchiava le suole degli anfibi con il rumore di una bocca sdentata che sorbisca un brodino. Joan trovò un pugno di grossi sassi e pensò che, se fosse un serpente, ci si sarebbe ficcata sotto. Si avvicinò circospetta, il coltello spianato, e con la suola dell'anfibio cominciò a mollare calci ai sassi e a smuoverli. Dopo qualche calcio vide affiorare la testa triangolare di un serpente.

Beccato, pensò.

La lingua saettò fuori. Joan udì anche il suono di un sonaglio. Senza starci a pensare e muovendosi fulminea, calò la punta aguzza della lama sulla testa che faceva capolino. Le fauci dell'animale si spalancarono, la testa tremò e ricadde inerme. Joan estrasse la lama dopo averla rigirata nel cervello del rettile, se la passò sui calzoni di pelle e rimise il coltello nel fodero agganciato alla cinta. Si accosciò e afferrò la testa dell'animale. Lo tirò fuori. Era grosso, il bastardo a sonagli. Non tanto da riempirti lo stomaco, ma abbastanza da andare a nanna senza troppi patemi. Mentre se l'avvolgeva intorno al braccio notò un movimento con la coda dell'occhio. Fece a tempo a vedere un'altra testa triangolare che il secondo serpente che divideva l'appartamento con quello morto scattò, la bocca spalancata. Le zanne penetrarono dorso e palmo. Joan imprecò e si scrollò l'animale di dosso con una serie di scossoni. Il serpente si staccò, rotolò a terra, la fissò con la lingua che saettava e strisciò via, sotto i sassi.

Acciaio, pallottole & demoniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora