Il tizio dei prodigi

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Il tizio dei prodigi abitava da qualche parte nell'Ell e Nadine voleva andare a trovarlo. Gli hen raccontavano di lui un fracco di cose incredibili e dicevano che fosse il più grande guaritore delle Quattro Terre, persino più grande di una sangue misto che viveva nell'Entro-Terra e guariva i cristiani con degli infusi e delle pietre magiche. Nadine aveva pensato di andare da lei, ma poi le era giunta voce che fosse crepata e, anche se non poteva metterci la mano sul fuoco, non le andava di fare un lungo viaggio a vuoto. Nelle condizioni in cui era non sapeva manco se avrebbe fatto a tempo. Erano parecchie settimane di viaggio sino all'Entro-Terra e la Febbre Rossa non è che ti lasciasse proprio il tempo di organizzarti. Le paludi dell'Ell erano invece più vicine e quindi si presentavano come la scelta più furba. L'unica, in realtà.

Partì a bordo di un carretto traballante, trainato da un mulo brutto come il sedere di un bacucco. Lasciò il villaggio ignorata da tutti. Nessuna mano si sollevò a salutarla, nessuno incrociò il suo sguardo, ma tutti la sentirono tossire e scatarrare sangue, che poi erano i sintomi della Febbre Rossa, e in cuor loro pregarono che non tornasse. Nadine non se la prese. Sapeva che la malattia era uno stigma difficile da cancellare, ma il cuore le diceva che il tizio dei prodigi avrebbe potuto guarirla. E se neanche lui ci fosse riuscito, avrebbe abbracciato il proprio destino serenamente, con la consolazione che perlomeno ci aveva provato.

Si allontanò dal villaggio tossendo nel pugno qualche gocciolina di sangue. Nei giorni buoni scatarrava così, in quelli cattivi sputava veri e propri fiotti color rubino che erano come chiazze di pittura fresca. All'orizzonte si profilava la foresta, che era la porta di ingresso dell'Ell. Nadine spronò il mulo e raggiunse gli alberi dai tronchi contorti come le schiene di bacucchi affette da reumatismi, che sembravano protendersi per afferrare gli intrusi con quelle loro dita scheletriche, secche e spoglie.

Il mulo si inoltrò nella vegetazione sbuffando dalle nari.

«Tranquillo», lo rassicurò Nadine. «Non c'è niente di cui aver paura.»

Stai tranquillizzando il mulo o te stessa? si chiese.

Passò tra due alberi con la corteccia incisa in modo da far emergere due visi mostruosi. Nadine vide due occhi allungati ai lati, le narici di un naso camuso e la bocca che simulava un broncio severo. Si chiese chi avesse fatto quelle incisioni e mentre passava oltre cercò di non immaginare che gli alberi prendessero vita e la afferrassero. Ma naturalmente, quando diciamo alla mente di non fare qualcosa, quella fa esattamente il contrario e la mente di Nadine le inviò una serie di immagini nelle quali gli alberi si protendevano, la afferravano con le dita scheletriche e la spremevano come un limone prima di inghiottirla.

Falla finita, si disse e spronò il mulo ad aumentare l'andatura.

La bestia, sebbene pigra per natura, sembrò felice di accontentarla. Superati gli alberi con i volti ringhianti non ravvisò più alcun volto inciso nelle cortecce, ma la cosa non le impedì di aver paura. Oramai il danno era fatto e si aspettava di trovare facce mostruose su ogni tronco. La tosse la scosse facendole dimenticare per un attimo i terrori della foresta. Il petto sussultò una dozzina di volte. Sentì un fuoco accenderle i polmoni e poi il fiotto risalire su per la gola. Lo raschiò in superficie con un colpo di tosse e lo sentì affiorare sulla lingua, caldo e viscoso. Sapeva di rame. Si sporse da un lato e sputò un rispettabile fiotto di sangue.

Peccato, la giornata sembrava di quelle buone, ma evidentemente la Febbre Rossa non voleva concederle alcun vantaggio. Forse sapeva quello che Nadine stava facendo e voleva ammazzarla prima che lei facesse altrettanto.

Che stupidaggine: è di una malattia che stai parlando, mica di un cristiano in carne e ossa.

Nonostante ciò, il pensiero non le parve poi così assurdo.

Acciaio, pallottole & demoniWhere stories live. Discover now