L'helwyr

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La piccola casa sorgeva sulla sponda di un lago. Era una casa di legno, con una veranda bella spaziosa e una cortina per proteggersi dalle zanzare che erano sempre in agguato. Quando Gwyn la vide, ci si fiondò dentro e sbarrò la porta. Non che servisse a molto, ma lo fece sentire per un momento al sicuro. Fece un giro nella speranza di trovare viveri o, al Buon Padre piacendo, un'arma. Il piano terra aveva due stanze: un soggiorno e una cucina. Andò prima in cucina e frugò nei pensili. Trovò solo batuffoli di polvere e ragnatele. In soggiorno trovò un tavolo e quattro seggiole di legno. Aveva sperato in una rastrelliera con un fucile, ma forse era chiedere troppo. Già essere arrivato fin lì era un piccolo miracolo. E riteneva pure di avere un bel vantaggio sulla creatura che gli annusava le chiappe. Per fortuna era lenta come un bradipo in una giornata di calura asfissiante.

Gwyn pigliò una sedia e ci posò sopra il culo. Sbuffò, poggiò i gomiti sul tavolo e abbandonò il volto tra le mani. Doveva pensare. Lo stomaco gorgogliava ormai da ore e la fame stava mangiando quel poco di lucidità a cui la mente restava aggrappata. Era stanco. Aveva corso senza fermarsi per un'eternità e ora aveva bisogno di riposare. Non era come quella creatura, che pareva instancabile.

Pensa, si disse.

Era sulla sponda di un lago. Forse poteva usare l'acqua. Quel mostro pareva fissate per gli odori e l'acqua li cancellava.

E quindi che vuoi fare, tuffarti e restare in ammollo tutto il santo giorno?

Poteva mettersi sul tetto, a spiare l'orizzonte come una sentinella della Torre di Guardia di Aramundi. L'avrebbe individuato per tempo, visto quant'era grosso.

E quando lo vedi arrivare ti tuffi nel lago. E se poi la tua idea non funziona, e quello ti annusa lo stesso e poi si tuffa appresso a te?

Era sempre più veloce di lui. Poteva distanziarlo in acqua come sulla terraferma. E in ogni caso non aveva un piano migliore. La città più vicina distava leghe da lì e lui era troppo stanco per una traversata di quelle proporzioni. Se solo avesse avuto un dannato cavallo... ma quel mostro se l'era mangiato. Ancora sentiva le urla strazianti dell'animale mentre lo sventrava e poi affondava le dita rognose nelle viscere fumanti. Se l'era portate alla bocca a manciate.

Staccò le mani dal volto e aprì gli occhi. Il buio non era suo amico. Celava ricordi che Gwyn voleva dimenticare.

Si alzò e fece un altro giro del piano terra. Cercò qualche punto del pavimento, un'asse sconnessa che potesse celare un nascondiglio e un'arma, ma non trovò nulla. Stessa cosa pure in cucina. Andò allora di sopra. C'era un corridoio stretto che si allungava sino a una porta. Gwyn fece una capatina. La stanza che trovò era spartana: un letto a una piazza, un comò con una lampada al cherosene e un piccolo armadio in un angolo. Il letto, però, era tutto rifatto. L'orlo delle lenzuola era ripiegato a dovere sotto il cuscino. Quel particolare non si accordava ai pensili vuoti e alle ragnatele che aveva trovato in cucina. E le lenzuola parevano tutto sommato puli...

Gwyn udì uno scricchiolio di legni, si voltò e fece in tempo a vedere qualcosa che calava su di lui. La botta fu tremenda e lo fece tremare tutto, poi il buio lo avvolse come un drappo funebre.

Quando aprì gli occhi, una stilettata di dolore gli attraversò la testa. Serrò i denti in una smorfia di dolore. Era come se qualcuno, dall'interno, picchiasse con un martello sulle tempie. L'ambiente era sfocato. Vedeva solo una macchia enorme con varie sfumature, scure e chiare. Poi una sagoma fece capolino. Gwyn sbatté le palpebre e gli occhi misero a fuoco una soglia, quella del soggiorno, e la silhouette che la riempiva: quella di un cristone.

«Sorgi e splendi, principessa», disse il cristone.

Aveva un vocione da orco. Gwyn sbatté ancora le palpebre. La silhouette e l'ambiente assunsero contorni più definiti. Vide che il cristone teneva nella destra un ciocco di legno e se lo batteva sul palmo della sinistra.

Acciaio, pallottole & demoniWhere stories live. Discover now