Capitolo 36

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CALEB


Casino.

Sia nella mia testa che all'esterno. Solo un gran casino.

La testa mi martellava e le orecchie fischiavano da morire. Non avremmo dovuto bere così tanto quella notte. In più qualcuno aveva avuto la fantastica idea di cominciare a sbattere contro le porte... già odiavo essere svegliato così di prima mattina, figuriamoci dopo la sbronza del secolo.

Aspettai qualche secondo ma i rumori non accennarono a cessare, così mi alzai e uscii dalla mia stanza incazzato come una furia. I rumori venivano dalla porta principale ed ero pronto a scommettere che Jace si fosse chiuso fuori dimenticando le chiavi dentro, come al solito. Me lo sarei mangiato vivo quella mattina.

Respirai pesantemente quando spalancai la porta, ma restai basito nel vedere Grace seduta a terra, raggomitolata in una coperta e in lacrime. La mano che prima sbatteva contro il portone era ferma a mezz'aria e tremava, il suo braccio era completamente nudo.

«Ma che ci fai qui fuori? E poi avvolta da quella... coperta...» realizzai solo allora, quando provò ad alzarsi, che anche le sue gambe fossero nude.

Oh, merda.

«Che ti è successo?»

Lei non rispose.

«Dov'è Alan?»

Scrollai le spalle «Credo stia dormendo. Che ti è successo?» ripetei, ma ancora una volta mi ignorò. Si avviò verso le scale e tentò di salirle ma la fermai subito «Aspetta, stai congelando. Siediti qui e copriti.»

Quando l'afferrai lei strillò facendomi indietreggiare «Non mi toccare! Voglio parlare con Alan.»

Non l'avevo mai vista così sconvolta. Avevo bisogno di sapere cosa le fosse successo, ma volevo che stesse meglio, quindi l'assecondai e cercai di tranquillizzarla «D'accordo. Però, ti prego, siediti. Vado a chiamare io tuo fratello e gli dico di scendere, okay?»

Sembrò molto combattuta ma fortunatamente mi ascoltò e andò a sedersi sul divano. Salii i gradini a due a due e spalancai la porta della stanza di Alan, il quale era ancora a letto.

«Alan, tua sorella sta male. Scendi subito.»

Lui si mosse e si stirò, poi mi guardò confuso e si passò una mano sul volto stanco «Quanto cazzo ho bevuto ieri sera?» bofonchiò bagnandosi le labbra con la lingua.

Imprecai e lo aiutai ad alzarsi dal letto «Grace sta male. Datti una mossa.»

Come se avessi detto la parola magica, Alan si alzò dal letto e sembrò riprendersi del tutto «Che cos'ha?»

Scossi la testa «Non ha voluto dirmelo, ma è sconvolta e ha chiesto solo di te.»

Alan sembrava perplesso e preoccupato, annuì e mi disse di aspettare di sopra mentre lui scese in salotto.

Entrai in camera mia – dato che era la più vicina alle scale e dalla quale avrei potuto sentire meglio ciò che si sarebbero detti – e ne approfittai per indossare dei pantaloni e una felpa, poi mi attaccai allo stipite della porta per cercare di carpire qualche informazione. Sentivo Grace singhiozzare e mormorare delle parole, ma non riuscivo a capire bene.

«Grace, che cazzo stai dicendo! È sempre stato qui e per tutto questo tempo non mi hai detto niente?» sbraitò Alan, facendomi sussultare.

«Ti prego, Alan, non fare nulla. Rimani qui. Ti prego.» singhiozzò la ragazza.

«Hai ben chiaro quel che ti ha fatto? Che ha fatto a tutti noi? Io lo ammazzo. Lo ammazzo.»

Altre grida, poi una porta sbatté e Grace riprese a piangere.

La mia vita è un clichéDove le storie prendono vita. Scoprilo ora