Capitolo 2

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GRACE





Il fatidico lunedì arrivò presto... troppo presto.

Erano le sette e mezza del mattino e io ero ferma davanti al mio armadio da almeno un quarto d'ora. Non sapevo che cosa indossare, volevo fare una buona impressione ma al contempo non dare troppo nell'occhio.

Mordicchiai le unghie delle dita, innervosita.  A differenza mia, Alan era ancora a letto che dormiva beatamente.

«Ragazzi! Alzatevi che è tardissimo, sono già le otto: farete tardi!» gridò nostra zia dal piano inferiore.

Saltai sul posto, preoccupata: quanto diavolo ero stata lì ferma a guardare i miei vestiti?! Saltai sul letto di Alan e lo svegliai scuotendolo con forza. Lui mugugnò qualcosa, poi si girò dall'altra parte facendomi cadere rovinosamente a terra.

«Ragazzi!» gridò nuovamente.

Alan tirò fuori la testa dalle coperte e guardò il suo cellulare, lo rimise sul comodino e tornò a dormire.

«Alan, l'hai sentita la zia, no? È tardissimo dobbiamo muoverci! E poi, non vorrai mica che ci distrugga i timpani, vero?»

Lui mi guardò crucciato «Grace, sono appena le sette e trentanove, è ancora presto.» disse con la voce ancora impastata dal sonno.

Rimasi immobile a fissare l'orologio del mio telefono, il quale confermava ciò che mi aveva appena detto mio fratello. Prima o poi avrei dovuto togliere tutti gli orologi da quella casa...

«Ragazzi!»

Mi tappai le orecchie con le mai: quando voleva, nostra zia sapeva essere davvero snervante.

«Arriviamo!» gridò in risposta Alan, con altrettanta furia distruttiva. Lo guardai male e gli lanciai un cuscino in faccia «Ti ci metti pure tu, adesso?» mi lamentai.

Lui mi fece un sorriso sornione ed alzò le spalle innocente, facendomi innervosire ulteriormente.

«Dai, vai a vestirti.» mi canzonò, facendomi notare che, nel frattempo, lui aveva indossato dei jeans ed una maglietta bianca.

Ma come diavolo faceva?

Tornai alla mia postazione davanti all'armadio e lo analizzai per le dodicesima volta: jeans strappati, canottiere larghe, felpe extralarge... niente di appropriato per una buona prima impressione alla preside della nuova scuola. Ero ufficialmente fregata.

«Alan! Non ho niente da mettermi!» gridai esasperata. Se non avessi trovato nulla di decente, non ci sarei andata.

Mio fratello mi si affiancò con aria da esperto della moda, della serie "Gucci? Chi?" e cominciò a scostare tutti gli abiti che avevo appena rianalizzato.

«Dio, Grace, sei un maschiaccio.» sentenziò.

Incrociai le braccia al petto e sbuffai «Basta, non ci vado.»

«Non fare la bambina e metti questi.» disse porgendomi un paio di jeans skinny neri – che non pensavo di avere – e un maglioncino bianco che sicuramente non avevo comprato io «Datti una mossa, che devo finire di vestirmi. E vedi di pettinarti quel groviglio che hai in testa: sembri uno zombie appena uscito dalla tomba.» Sempre gentile, insomma...


Quando fui pronta, andai in bagno e mi avvicinai al beauty-case dentro il quale tenevo quei due o tre cosmetici che utilizzavo per non apparire come una morta vivente. Misi del correttore su quelle tremende occhiaie, un po' di mascara per allungare le ciglia che incorniciavano i miei occhi verdi e pettinai con forza i capelli castani.

La mia vita è un clichéDove le storie prendono vita. Scoprilo ora