Capitolo 3

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GRACE





Un fastidiosissimo suono mi fece sussultare e mi costrinse a spalancare gli occhi. Ci misi qualche secondo per realizzare cosa stesse succedendo, e quando misi a fuoco il telefono sul comodino, capii che fosse la sveglia. La spensi imprecando e mi girai dall'altra parte tentando di ricordare per quale assurdo motivo avessi messo una sveglia così presto quella mattina.

La risposta non tardò ad arrivare: mio fratello Alan prese le coperte e le scaraventò ai piedi del letto, poi cominciò a scuotermi con insistenza.

«Che diamine stai facendo?» sbottai guardandolo con sguardo truce. Anche lui era mezzo addormentato ancora, però a quanto pare aveva abbastanza forza di rompermi anche a quell'ora del mattino.

«Ti sto salvando la vita.» disse solo, lasciandomi incazzata e perplessa.

Qualche secondo dopo sentii aprirsi una porta al piano inferiore «Ragazzi! È pronta la colazione! Sbrigatevi che siete già in ritardo, volete davvero fare tardi il vostro primo giorno di scuola?» eccole, le immancabili grida di zia Kath...

Mi decisi, così, ad alzarmi dal letto e mi diressi con piedi striscianti davanti all'armadio. Mi stavo strofinando con forza gli occhi assonnati, quando intravidi un maglioncino di cotone con scollo a V grigio che non ricordavo minimamente di aver mai comprato, ma decisi di metterlo comunque. Ci abbinai un paio di jeans scuri a vita alta e un paio di sneakers. Mi diressi in bagno con tutta la calma del mondo, mi pettinai e mi truccai lievemente cercando di coprire al meglio le occhiaie. Prima di scendere in cucina afferrai lo zaino con l'album di disegno e la Canon, poi corsi giù per le scale «Ci vediamo dopo!» gridai afferrando al volo una mela dal tavolo.

«Grace, aspettami!» urlò mio fratello alle mie spalle.

Lo ignorai e saltai sul muretto, dando un bel morso alla mia colazione.

«Scendi da lì.» ordinò Alan affiancandomi.

«Altrimenti?» lo stuzzicai.

Lui alzò lo sguardo su di me, fece il suo classico sorrisetto saccente da "lo vuoi sapere davvero?" e mi si avvicinò, passandomi le sue braccia intorno alle gambe e caricandomi in spalla.

Sbuffai «Okay, tutto chiaro. Ho imparato la lezione, ora mi rimetti a terra?»

«Se tu mi prometti che non salirai nuovamente su quel muretto.»

Alzai gli occhi al cielo «Ma è alto sì e no un metro e mezzo! Anche se cadessi non mi farei nulla.» mi lamentai incrociando le braccia al petto.

Alan in tutta risposta mi strinse ancora di più, rifilandomi anche un pizzicotto nella coscia.

«Ahi! E va bene, te lo prometto!» piagnucolai massaggiandomi il punto dolente.

Mi rimise a terra, sul suo volto comparve un sorriso a trentadue denti «Brava la mia sorellina.»

«Ancora con questa storia? Abbiamo la stessa età.» ripetei per quella che pensai fosse la cinquantesima volta.

E, come sempre, Alan alzò il mento con fare vanitoso e recitò quella che ormai era la sua battuta da copione «Ma io sono di dodici minuti più grande.»

Ci fermammo ad un incrocio ed aspettammo che il semaforo per noi diventasse verde, così approfittai di quel momento di pausa per guardarlo dritto negli occhi «Sai che ho letto in una rivista che il figlio più grande, generalmente, è anche il più brutto?»

Mi preparai a parare un colpo che, effettivamente, arrivò e mi misi a ridacchiare.

«Non sei simpatica, sei fortunata che siamo in un luogo troppo esposto e pieno di testimoni, altrimenti saresti già morta.»

La mia vita è un clichéDove le storie prendono vita. Scoprilo ora