17. Essere Egoisti

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Mike ci aveva messo relativamente poco tempo per arrivare a casa di Artemisia, nel giro di quindici minuti la stavo prendendo per la vita e la stavo portando fuori dai sedili posteriori dell'auto di Mike

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Mike ci aveva messo relativamente poco tempo per arrivare a casa di Artemisia, nel giro di quindici minuti la stavo prendendo per la vita e la stavo portando fuori dai sedili posteriori dell'auto di Mike. Era uscito per prendere la macchina e l'aveva parcheggiata nel vicolo su cui dava l'uscita di sicurezza, l'ultima cosa che ci serviva quella sera era uscire dal West Side e rischiare che qualcuno ci vedesse, che qualcuno la vedesse.

Ero rimasto con lei sui sedili posteriori, si era appoggiata sulla mia spalla, aveva messo le gambe sulle mie e stringeva il braccio così forte che a momenti non lo sentivo più. Singhiozzava e tremava come una foglia, ovviamente ancora terrorizzata, cercai di calmarla in qualsiasi modo, le appoggiai la mano libera sulle gambe e presi a farla scorrere il più delicatamente che potevo dal ginocchio alla coscia.

Si era addormentata in quella posizione è una volta che si era svegliata sembrava stesse meglio, sicuramente non completamente lucida, ma meglio. Era ovvio che, fortunatamente, la quantità di stupefacente che aveva ingerito era minima, altrimenti non ci sarebbe stato modo che si riprendesse così in fretta.

Uscimmo dall'auto e le chiesi se riusciva a camminare, non mi aveva risposto e aveva preso a camminare da sola un po' barcollante. Mi ero allora sporto all'interno dal finestrino del sedile del passeggiero verso Mike. «Tu vai, ci vediamo domani mattina dal nostro amico.» Dissi a denti stretti.

«Va bene, mandami un messaggio per dirmi come sta.» Detto questo sfrecciò via e io raggiunsi Artemisia che stava cercando in tutti i modi di aprire il portone del suo condominio. Non volevo nemmeno immaginare quanto le era costato un appartamento in una zona di Las Vegas come questa.

Tempo che l'affiancai, era riuscita a far scattare la serratura. Entrammo e prendemmo l'ascensore fino al settimo piano, poi nuovamente non riuscì subito ad aprire la porta del suo appartamento.

Due minuti più tardi aveva la testa sul water rigurgitando tutto quello che aveva bevuto e mangiato mentre io le tenevo come riuscivo i capelli lontani dal viso. Ero sollevato che avesse vomitato da sola, perché quasi sicuramente l'avevano drogata, se no le avrei messo personalmente due dita in gola.

Una volta finito si appoggiò con la schiena contro in vetro della doccia alle sue spalle, tenne le gambe distese davanti a sé e le braccia molli lungo il suo busto. Presi l'asciugamano che era appoggiato sul suo lavandino e lo inumidii con dell'acqua tiepida, poi mi accovacciai di fianco a lei, la sollevai facendola posizionare di fronte al lavandino.

«Lavati i denti, vado a prenderti qualcosa con cui cambiarti.» La guardai attraverso lo specchio, poi mi diressi in camera sua in cerca di un pigiama, o per lo meno qualcosa che ci assomigliasse. Le portai le cose più comode che riuscii a trovare, una maglietta lunga e larga nera e dei pantaloncini del medesimo colore. Quando rientrai in bagno la vidi con la testa china sul lavandino e le mani sul bordo del mobiletto su cui esso si trovava mentre provava a tenersi in piedi completamente da sola.

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