06. Tigre

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Il giorno dopo, alle nove meno cinque, ero davanti al locale

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Il giorno dopo, alle nove meno cinque, ero davanti al locale. Ovviamente chi se non mia madre aveva provveduto, anni prima, a farmi perdere la cattiva abitudine di far aspettare le persone.

Il fatto è che ormai non ci facevo nemmeno più caso. Mia madre riusciva a manipolare le persone che le stavano intorno con una facilità che quasi invidiavo. Con me lo faceva da circa vent'anni, ormai avevo imparato a farlo anche io.

Il tempo quel giorno non era dei migliori, grossi nuvoloni grigi coprivano il cielo della città e poca gente, con un tempo del genere, aveva voglia di uscire. Nonostante quello, però, dalla temperatura, sembrava essere ancora agosto.

Davanti al locale continuavano a passare grossi camion bianchi che, poco dopo, giravano a destra in direzione dell'entrata sul retro. Lì circa cinquanta persone scaricavano e portavano all'interno scatole contenenti gli addobbi e i costumi di scena per l'imminente festa di Halloween. Il West Side avrebbe dovuto essere pronto per il giorno dopo e, nonostante avessero appena iniziato, ero più che sicura che sarebbe stato tutto pronto in tempo, con quello che li avevo pagati.

Ad interrompere il mio flusso di pensieri fu un furgone che, essendo nero, si poteva ben distinguere dagli altri che continuarono a passare. Accostò a pochi metri da me e la portiera si aprì velocemente, lasciandomi vedere due uomini, alti almeno il doppio di me, scendere in fretta e furia dal furgone. Non ebbi il tempo di fare niente che mi misero un cappuccio in testa, mi sollevarono dalle braccia e mi fecero entrare nel veicolo, uno dei due uomini mi prese entrambi i polsi e me li ammanettò dietro alla schiena. Il furgone ripartì in fretta.

Era davvero necessario?

Non ero affatto preoccupata, se avessero voluto uccidermi l'avrebbero fatto lì, in mezzo a una delle strade più trafficate di Las Vegas, perché ai Killer di Brooklyn Heights piaceva sentir parlare di loro per le strade, a loro piaceva incutere timore, era così che lavoravano.

Non vidi altro che nero per almeno mezz'ora, il cappuccio iniziava a darmi seriamente fastidio e i polsi iniziarono a graffiarsi a causa delle manette troppo strette. Il furgone si fermò bruscamente e io rischiai di andare a sbattere la testa contro il sedile posto davanti al mio. La portiera di fianco a me si aprì e venni di nuovo trascinata fuori, sentii le gomme del furgone stridere sull'asfalto mentre si allontanava.

Mi fecero entrare all'interno di un edifico ancora incappucciata e ammanettata. Sentii decine e decine di voci, tutti parlavano per conto proprio, probabilmente al telefono. Nessuno si interruppe per chiedersi che cazzo ci facesse una persona incappucciata lì dentro. Mi trascinarono fino ad un ascensore e, una volta che le porte furono aperte dopo un tintinnio, mi fecero entrare. Contai i piani che ci vollero per arrivare fino in cima grazie ai rumori che produceva l'ascensore ogni qualvolta che ne passava uno, quarantadue. Venni nuovamente trascinata fuori e a quel punto mi ero veramente stancata di quella messinscena. Mi tolsero il cappuccio e, incredibilmente, i miei capelli erano rimasti intatti, sgranai un attimo gli occhi cercando di abituarmi alla luce. Mentre i due bodyguard non guardavano infilai le mie mani dentro alla tasca posteriore dei jeans, cercando qualcosa che potesse tornarmi utile. Bingo.

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