14 - Family, friends and love ...

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14 - Family, friends and love ...

- Jess! - gridò Matthew, irrompendo nel suo ufficio.
Il ragazzo se ne stava praticamente sdraiato per tre quarti sulla scrivania, con i gomiti puntati sul piano, mentre decine di fogli malcapitati spuntavano da sotto il petto, che li maltrattava. La mano sinistra sorreggeva il capo, le dita abili massaggiavano la fronte, mentre la destra reggeva i fogli, rilegati da una spirale, di una bozza che stava correggendo.
La finestra era aperta sul caos cittadino dell'ora di punta e la musica ad alto volume penetrava i timpani, come il martello pneumatico dei lavori in corso.Matthew si era sempre chiesto come facesse Jess a trovare la concentrazione in quella confusione e a riuscire nel suo lavoro così maledettamente bene.
Ma Jess aveva una capacità straordinaria, nel senso letterale del termine, di ripartire il cervello in zone, ognuna delle quali assolveva perfettamente al suo compito, mentre la parte più profonda di lui si rintanava in quell'oasi quieta che solo la lettura riusciva a riservagli.
Il socio l'aveva sempre invidiato per questo, ma, a volte, quel suo estraniarsi lo faceva andare su tutte le furie, forse perché quelli erano i momenti in cui trovarlo era impossibile per chiunque.
- Jess? - lo chiamò ancora.
Il ragazzo tirò su gli occhi, infastidito da quella intromissione e, senza perdere la concentrazione, lo guardò di traverso, sperando che dicesse in fretta quello che doveva e si togliesse dai piedi.
- Sei ancora qui? - continuò Matthew, spazientito. - Hai dimenticato la cena con Pharrell? -
- No! - rispose, secco.- Non vorrai venire vestito così, vero? - chiese il socio, che sembrava appena uscito dalla lavanderia.Jess si guardò distrattamente: era vestito come qualunque altro giorno, i jeans scoloriti e la maglietta di un vecchio concerto dei Distillers, i capelli completamente fuori controllo, come se non avesse impiegato, anche quella mattina, almeno venti minuti davanti allo specchio del bagno nel tentativo misero di dargli un verso.
- E tu, non crederai che mi metta in tiro per uno stupido bamboccio che gioca a monopoli con i soldi di papà? - replicò, tornando con gli occhi sulla bozza.
- Andiamo, Jess! - lo supplicò. - Devo ricordarti quanto siano importanti i suoi soldi per la nostra casa editrice? -
- No, non devi! - gli rispose, stanco. - Ma non andrò certo a cambiarmi per lui ... Non è neanche il mio tipo! - disse con una battuta, perché Matthew si togliesse quell'insopportabile aria contrita.
- Mi arrendo, tanto con te non la spunto! - sbuffò, rassegnato.
Jess mascherò un sorriso soddisfatto: con Matthew era troppo facile.
Guardò l'ora, lasciò cadere la bozza sulla scrivania e si alzò: aveva tempo per una doccia veloce e per cambiarsi.

§§§§§§§§

Ogni parola che era uscita dalla bocca di quel Pharrell gli aveva fatto aggrovigliare lo stomaco, gli aveva più volte fatto desiderare di andarsene, senza neanche cercare una scusa plausibile per la sua fuga. Era più forte di lui, ma detestava il tipo di persona che, solo grazie ai soldi di papà e alla laurea in una prestigiosa università, rivestiva un ruolo di spicco nell'omonima azienda di famiglia e credeva di poter gestire tutti come suoi dipendenti.
Ma Matthew, con occhiatacce velenose, lo aveva dissuaso dal piantare baracca e burattini e, alla fine della serata, Jess fu felice che fosse l'amico a trattare i termini dell'accordo con quell'idiota. Matthew era, dei due, quello diplomatico ed incline agli affari. Per sé, Jess non voleva altro che fare il lavoro che gli piaceva e chiamare Rory.
Ci aveva provato durante la pausa pranzo, cedendo ad un'irrefrenabile voglia di sentire la sua voce. Ma la segreteria al suo cellulare gli aveva crudelmente rivelato che era impegnata e Jess, deluso, non aveva potuto fare altro che ritornare al suo lavoro.
Avrebbe aspettato il momento per poterla richiamare, come l'aria quando sei in apnea.
Rory, dal canto suo, aveva convissuto l'intera giornata con lo stesso formicolio.Aveva trovato la chiamata di Jess, ma dopo una riunione fiume, aveva dovuto sedersi alla scrivania, cercando di dare un "taglio più incisivo" all'articolo che il suo caporedattore le aveva affidato. Aveva provato a chiamarlo appena a casa, ma, in quel momento, l'appartamento di Jess era abitato solo da una stupida segreteria ed il cellulare era spento, così si era dedicata alla lista della spesa, visto che il frigo e la dispensa erano, come al solito inesorabilmente vuoti.
Jess, ancora con i capelli umidi dopo la doccia, si avvicinò al letto, intenzionato a sprofondarvi, quando si accorse che la spia luminosa della segreteria telefonica segnalava un messaggio. Si lasciò andare ad un sorriso, sentendo la voce di Rory, intenerito dalla scoperta che entrambi avessero avuto lo stesso bisogno.
- Hei! - disse, sentendo la voce squillante della ragazza dall'altro capo del telefono, quando la richiamò.
- Hei a te, parlarti è diventato più difficile che intervistare un membro del Congresso! - lo ammonì.
- Potrei dire lo stesso di te ... - continuò Jess, mentre si stendeva sul letto, noncurante dei capelli bagnati. - Giornata impegnativa? - le chiese poi.
- Direi. Dopo una riunione con la redazione, ho passato l'intero pomeriggio alle prese con un articolo. - gli confidò stancamente. - E tu, che mi dici? -
- Giornata pessima, conclusasi pessimamente! - sbuffò, mentre lo stomaco gli si attorcigliava ancora, ripensando a Pharrell. - Matthew mi ha trascinato a cena con un tizio che vuole investire nella casa editrice. - le spiegò.
- Non mi pare così catastrofico! - ammise candidamente.
- Perché hai fatto il callo a quelli come Pharrell, frequentando "Le Figlie della Rivoluzione"... - replicò. - Io non riuscirò mai a farmeli piacere! Avresti dovuto vederlo, col suo bel vestitino costoso, sciorinare tutte le sue capacità imprenditoriali e suggerirci i cambiamenti a cui sottostare perché la nostra baracca funzioni. Che idiota figlio di papà! - terminò, esasperato.
- Spero che tu non sia stato così esplicito anche con lui ... - sorrise, immaginando Jess contorcersi al tavolo di un ristorante lussuoso, costretto ad assecondare l'insopportabile boria di quello che lui avrebbe definito, senza sconti, un "inutile bamboccio".
- Avrei voluto, tra la prima e la seconda portata, avrei voluto ... picchiarlo! - disse, quasi rammaricato per non aver ceduto.
- Beh, se non altro hai resistito: qualche anno fa, non saresti arrivato all'antipasto! - ironizzò. - E poi, tu non eri quello a cui: "contrariamente a quanto pensano tutti, non piace fare a botte"? - chiese retorica, citandolo.
- Sono un bugiardo! - replicò con naturalezza, facendosene un vanto.
- Davvero? Non l'avrei mai detto ... - lo assecondò, fingendosi sorpresa.
- Sono anche bravo ... a mentire! - si pavoneggiò, cambiando posizione e rigirandosi su un fianco.
- ... E presuntuoso ... - continuò la lista Rory, divertita da quella conversazione quasi surreale.
- Da morire ... - terminò lui, con una voce bassa e roca, vellutata e sensuale, che la avvolse, aprendole una voragine nello stomaco, come sempre le accadeva, fin da ragazzina.
Quella voce, il gioco con cui la modulava, come un musicista esperto, aveva sempre esercitato su di lei un effetto travolgente e le aveva fatto scoprire, allora, che tra loro non c'era semplice amicizia, ma qualcosa di mai provato per altri, profondo, vibrante e talvolta, come in quel preciso momento, dirompente come una carica di esplosivo.
Rory si mise a sedere, portando le ginocchia al petto, la schiena contro la testata del letto e, in attesa che arrivasse di nuovo quella voce ad occupare il vuoto che essa stessa aveva generato, sorrise e continuò: - Per fortuna, il tuo amico è più saggio di te! -
- Per fortuna di Pharrell, vorrai dire! E per mia fortuna, invece, sarà Matthew ad occuparsi di tutto ... - esultò. - E' una parte del mio lavoro che mi dà ai nervi! -
- Oh certo ... - ironizzò, - A te basta un buon libro, la musica ad alto volume ... -
- Ed il resto del mondo fuori dalla porta! - la interruppe, deciso. - Sai cosa penso riguardo a questo argomento: non mi importa dei soldi e detesto visceralmente chi ne ha troppi, soprattutto chi se li guadagna grazie al nome che porta ... Per me, voglio solo il denaro necessario a vivere, il lavoro per cui ho scoperto di essere nato, un libro, la musica ed una birra ghiacciata all'occorrenza.
Il superfluo lo lascio volentieri a chi non ha l'indispensabile! - disse, liberando l'astio accumulato per l'intera serata.
- Nella lista, Mariano, hai dimenticato la famiglia, gli amici e ... l'amore. - disse, inciampando sull'ultima parola.
- Affatto. - rispose risoluto, - Ma sai, la famiglia è un corredo che la vita non riserva a chiunque, anche se io sono stato fortunato perché ho trovato Luke. Anche gli amici sono un lusso: quanti sono così fortunati da averne incontrato almeno uno nella vita? In quanto all'amore, beh ... come ha già detto qualcuno:"L'amore è per la gente vera."* - citò, sicuro di non trovarla impreparata.
- Oh, e tu ..."la odi la gente vera", giusto Charles? - gli rispose, pronta, raccogliendo la sfida.
Jess sorrise, passandosi lentamente la mano sul viso stanco e massaggiandosi gli occhi.
- Giusto! Citazioni a parte ... l'amore è una scommessa pericolosa: devi essere abbastanza incosciente da giocarti tutto te stesso e sufficientemente folle da non aver paura di perdere ... - le rivelò.
- Accidenti, quanto sei diventato saggio ... - constatò, quasi con sorpresa.
- Saggio, io? - chiese, fintamente risentito. - Incosciente e folle, forse, ma saggio ... - sorrise a quell'aggettivo che gli sarebbe scivolato di dosso come un abito troppo largo.
- ... E giocatore d'azzardo? - domandò Rory, che ormai percorreva un sentiero pericoloso.
- Di poker, sì, ma non gioco da quando ero ragazzino ... - replicò, alludendo alla loro storia.
- Perché? Perso troppo? - insistette, mordendosi le labbra, insicura della risposta, ma al tempo stesso, incapace di dominare la curiosità ed il desiderio di sapere.
- Ho vinto, invece. Una volta ho vinto ... - rispose, più serio che mai, ancora con quella voce che non le permetteva di opporsi all'invasione languida di quella velata confessione.
- E ... che ne hai fatto della vincita? - continuò lanciata, come un treno in corsa.Jess sorrise ancora: quella conversazione scivolava inesorabile lungo un terreno infido; lo portava, senza scampo, a scoprire le proprie carte, proprio come in una mano di poker. Non era da lui raccontarsi così apertamente; non era per lui aprire le porte che conducevano dentro sé stesso: troppo rischioso, talvolta persino stupido. Ma parlare con lei era sempre stato facile, sorprendentemente facile, come guardarla negli occhi e trovarci quella parte di sé che nascondeva al mondo. Parlarle era come riconquistare la capacità, a lungo repressa, di sorridere; l'opportunità di essere sé stesso, comunque e sempre. Ma più sorprendente era che fosse così da sempre, fin dai primi incontri, dalle prime conversazioni o dai tentativi di Rory di fargli mostrare la parte migliore, nascosta dietro al muro spesso, che egli aveva sempre eretto contro il mondo.
Quel muro, quell'ostacolo denso di sofferenza, sfiducia e solitudine, un giorno dopo l'altro, tra loro, si era assottigliato, levigato con fatica e dolore e, col tempo, esso era divenuto un velo, sempre più trasparente e permeabile. In quel momento, quel velo li separava ancora, ma impercettibilmente; permetteva loro di guardarsi, ma non come il vetro di una finestra, che continua a segnare il confine fisico tra due spazi; piuttosto come lo scroscio d'acqua di una cascata, penetrabile all'occorrenza, valicabile a piacimento, per dare a ciascuno l'occasione di occupare lo spazio dell'altro.
Così rispose naturalmente, come è naturale respirare.
- Non lo so ... - sospirò, incerto e, raccogliendo un po' di quella spavalda consapevolezza di sé, che lo andava a trovare sempre quando ne aveva più bisogno, continuò: - Ma sono pronto a giocarmi tutto, un'altra volta; tutto pur di vincere ancora ... - confessò deciso.
Rory chiuse gli occhi, si distese avvolgendosi nel piumone caldo, cullata da quella affermazione; lasciò che l'aria le passasse fluida attraverso i polmoni, purificandosi dalla tensione che l'attesa per quella risposta aveva alimentato.
L'idea che Jess l'avesse amata allora e che fosse disposto a rischiare, a farsi male per amarla ancora, la consolava, l'addolciva e disperdeva ogni più piccolo riverbero di sofferenza, come un alito di vento il fumo grigio della paura.
Quella consapevolezza, quasi svelata, la riempiva della stessa forza incosciente e folle di lui e la costringeva dolcemente alla stessa scommessa, lei che d'azzardo non aveva mai giocato.
- Mi è mancato parlare con te ... - gli confessò, con un filo di voce quasi languido.
- Sì? - le chiese, lasciandosi accarezzare dal suono flautato di ogni sillaba. - Anche a me ... - sussurrò, attardandosi lento e seducente su ogni singola nota della voce. - Da morire ... -

*la frase è di Charles Bukowski.

Salve a tutti!
Come sempre ringrazio chi dedica il suo tempo alla lettura di questa storia.
La vostra attenzione mi riempie il cuore.
Un ringraziamento speciale a coloro i quali hanno votato "Back to the start".
Spero in un vostro commento!
Un saluto e a presto!

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