9 - Home sweet home

478 33 5
                                    

9 - Home sweet home

- Ti piace? - domandò, vedendola scrutare attentamente la facciata del palazzo.

- Beh, da qui non è male ... - confessò, mentre lo seguiva per la prima rampa di scale.

- E' dell'inizio del secolo scorso, una vecchia fabbrica di sapone, credo. Fu dismessa dopo la seconda guerra mondiale, ristrutturata e divisa in appartamenti. Vivo qui da un paio d'anni, ormai. - spiegò, aprendole la porta.

La stanza in cui entrarono era grande, con enormi vetrate sul fondo. L'arredamento era essenziale: si appropriava della maggior parte dello spazio, un grande divano nero, un po' austero, disposto davanti alla bocca di un camino di mattoni bianchi. Due tavolini servivano i lati del divano, uno più grande era sistemato davanti e due lampade illuminavano la zona con una luce quieta, che induceva alla riflessione.

E poi ovunque cd, ordinati per genere, e libri, disposti secondo un ordine caotico, sulle mensole, nelle librerie o adagiati sul pavimento, come torri sorrette da un equilibrio instabile.

Nel lato opposto al camino, un grande tavolo faceva da scrivania: sulla superficie erano sparsi fogli di appunti confusi, sui quali erano scritte frasi, pensieri catturati nei momenti di concentrazione e ancora libri e libri, come compagni fedeli.

Se qualcuno le avesse chiesto a chi potesse appartenere quella casa, Rory avrebbe detto Jess, senza incertezze.

C'era la sua impronta in ogni angolo, nelle pareti nude, come pagine bianche in attesa, nei cuscini colorati, come spruzzi dell'anima e nella luce suffusa, amica del silenzio.

Jess tolse la giacca ed il cappotto, abbandonandoli senza cura su di una sedia accanto alla porta. Poi preso dalle mani di Rory il suo, con lo stesso preciso, svogliato gesto, lo lasciò cadere accanto al proprio.

Con un cenno della mano, la invitò ad accomodarsi e, allentando il nodo della cravatta, che l'aveva torturato per l'intera serata, sparì nella piccola cucina in fondo alla stanza.

La ragazza si sedette nell'angolo del divano, immergendosi nei cuscini e continuando, curiosa, ad indagare in quel mondo ancora sconosciuto, eppure così familiare.

Jess arrivò dopo poco, con due grandi e fumanti tazze di caffè, straripanti di panna candida. Gliene porse una, poi si accomodò nell'angolo opposto, con le mani occupate dalla tazza e gli occhi occupati da lei.

Erano l'uno di fronte all'altra, nella perfetta prospettiva per scrutarsi a vicenda. Rory si scoprì conquistata, per l'ennesima volta da quel pomeriggio, dall'uomo che si trovava davanti: era così diverso dal ragazzo di diciassette anni arrivato a Stars Hollow, eppure le stesse passioni lo animavano, gli stessi occhi scuri aprivano spazi profondi ed incontaminati, la stessa rudezza mascherava la sua anima e poi una maturità ed una completezza di carattere, proprie di un uomo, la conquistavano.

Jess dal canto suo, si ritrovava davanti gli occhi blu che gli avevano fatto scoprire le profondità di cui non credeva capace l'animo umano; l'ingenuità che solo i bambini posseggono nei confronti del mondo, eppure la fermezza con cui, solo chi crede in sé stesso, affronta la vita. Di quegli occhi si era innamorato sette anni prima, ed ora, inerme, essi e tutto il resto intorno, lo incatenavano ancora, inesorabilmente.

Se fosse stato furbo, sarebbe scappato a gambe levate, avrebbe chiuso quella giornata in due perfette parentesi, magari se ne sarebbe ricordato in una pagina del suo libro successivo. Ma il tempo non l'aveva cambiato: Jess rimaneva lo stupido, miope, testardo che non si arrendeva, ancor più se l'impresa era un annunciato fallimento.

Rory tirò le ginocchia sul divano, sfilandosi, con la mano libera, entrambe le scarpe e massaggiandosi le caviglie.

- Sono stanca ... - si lamentò. - Odio i tacchi! - confessò, arricciando il naso.

Back to the startWhere stories live. Discover now