11 - New York, New York ...

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11 - New York, New York ...

- Visto che sei qui, facciamo qualcosa ... - propose Rory, mentre Jess con un cenno della mano fermava un taxi.
- Tipo? - si informò curioso.
- Non lo so, qualcosa di speciale ovviamente, qualcosa tipica di New York: un aperitivo o un concerto al Village ... Non lo so ... qualcosa. - spiegò entusiasta, sorridendo all'espressione divertita e curiosa del ragazzo che, sorridendo a sua volta, continuava a guardarla.
- Da quanto vivi qui, un anno buono? Possibile che tu sia rimasta la stessa provinciale con la gonna a pieghe della Chilton ... - la canzonò.
- Hey ... non sono più quella ragazzina: frequento Manhattan, uso la metropolitana e non do informazioni sbagliate ai passanti ... - protestò, mentre tratteneva un sorriso.
Jess scosse la testa al pensiero di quella giornata lontanissima e si entusiasmò nel constatare che, nonostante tutti gli anni passati, fossero di nuovo lì, insieme.
- Ok, "Mister New York", come ci si diverte in questa città? - si arrese: Jess vi aveva vissuto gran parte della sua vita, la conosceva come le sue tasche, era stata la sua casa, forse, attraverso quella città, le avrebbe mostrato la parte di sé che aveva sempre taciuto.
- L'hai voluto tu ... - la minacciò, inarcando il sopracciglio e salendo in taxi.
Era piombato a New York all'improvviso, annunciandole il suo arrivo solo prima di imbarcarsi. Non aveva fatto altro che pensare a lei e così, senza neanche riflettere, si era fatto prendere dalla frenesia di vederla, dal desiderio di sapere che per lei fosse lo stesso. Le telefonate di quei giorni, dopo Capodanno, non bastavano più, starle vicino sembrava l'unica soluzione.

§§§§§§§§

- Oh andiamo, Rory, lo sai anche tu che "Il Giovane Holden", è un'opera sopravvalutata! - le spiegò, tenendo tra le mani il cibo indiano che detestava.
- Sopravvalutata? - si sorprese, frugando nella borsa, alla ricerca delle chiavi di casa. - Ma se è stato il romanzo più letto degli anni sessanta, influenzando la letteratura di un intera generazione.- replicò.
- Un "romanzo di formazione", appunto ... E' "Nove Racconti" il capolavoro di Salinger! - decretò. - Sono storie brevi, intelligenti, sofisticate, scritte con un linguaggio originale, eppure vicino a quello parlato, sono un modello di scrittura. - si infervorò.
- Se la metti così, Salinger supera di gran lunga Hemingway, come autore di storie brevi ... - lo provocò, esultando per aver recuperato, finalmente, ciò che cercava.Jess la guardò in cagnesco.
- Nessuno scrive meglio di Ernest ... - la freddò. - Possibile che neanche al college te lo abbiano insegnato? - continuò retorico.
- Nessuno potrà convincermene, né il professor Brown del corso di letteratura americana a Yale, né Jess Mariano, scrittore in erba, nonché "Presidente dell' Ernest Hemingway Fan Club"! - fu la sua risposta definitiva.
- Sono deluso ... - piagnucolò, arricciando le labbra, mentre la ragazza lo invitava ad entrare.
La casa di Rory era esattamente come lei: piccola, calda, accogliente e piena.
Le pareti erano tinte di un delicato verde anilina, quieto ed energizzante insieme, e coperte da diversi acquerelli delle città europee che aveva visitato. Sulla parete adiacente alla porta d'ingresso, ne campeggiava uno enorme che rappresentava una spettacolare veduta della Tour Eiffel, raffigurata dal basso, come se l'autore l'avesse dipinto disteso e, sotto di esso, un piccolo divano di tela verde scuro.
La parete opposta, invece, era occupata da un piccolo camino in ghisa, abbracciato da due morbide librerie bianche. Sui ripiani, tutti i libri della vita di Rory, da quelli di fiabe, che Lorelai le leggeva da bambina, a quelli usati alla Chilton e per gli studi a Yale, passando per quelli che aveva comprato negli anni, nelle grandi librerie di città o nei mercatini di beneficenza a Stars Hollow. Alcuni erano vecchi e scoloriti, altri con le copertine di pelle ed i titoli in ricche lettere in oro, doni del nonno, ed altri ancora piccoli e tascabili, americani e stranieri, in lingua originale, comprati durante i viaggi, o sapientemente tradotti.
Nei pochi spazi liberi, ninnoli di ogni genere: paperette e maialini di terracotta dipinta: "l'unico contatto che la sua bimba avrebbe avuto con una fattoria", come diceva Lorelai; fatine dalle ali impalpabili e luccicanti ed un paio di immancabili unicorni di porcellana per celebrare i dodici negozi di Stars Hollow che li vendevano.
Cuscini coloratissimi occupavano il divano, davanti al quale era disposto un tavolino da caffè, su cui giacevano, disordinatamente, copie del Times, qualche volantino dei take-away più vicini, due ranocchiette di vetro che si baciavano ed una foto custodita in una cornice di gesso, liscia e delicata. Ritraeva le due ragazze Gilmore, sorridenti e bellissime, il giorno della laurea di Rory.
- Poggia pure tutto lì ... - gli disse, indicandoglielo. - Vado a cambiarmi. - aggiunse, sparendo dietro la porta di quella che doveva essere la stanza da letto.
Tornò dopo qualche minuto, con un'improbabile maglietta che raffigurava un topolino, mentre beveva da un'enorme tazza di caffè, i piedi nudi ed i capelli sommariamente legati in una coda.
- Carina! - esclamò Jess, mentre cercava un po' di spazio in quel caos per appoggiarvi i contenitori del take-away.
- Sì, è carina! - ripeté Rory, annuendo e guardandosi intorno, orgogliosa della propria casa.
- Parlavo di te ... - la corresse Jess, con un ghigno divertito.
- Ah, ah ... - sorrise di rimando, mettendosi a sedere accanto a lui e afferrando, affamata, tutto quello che aveva sottomano.
- Quindi è questo che si fa a New York, per divertirsi? - chiese retorica.
- Questo è quello che faccio io, per divertirmi ... - le rispose vago.
- Niente locali fumosi, whiskey o risse nelle vecchie e solitarie strade dei sobborghi? - incalzò, giocherellando con il cibo rimasto nel cartone.
- Al contrario di quello che pensate tutti, non sono uno a cui piace fare a botte ... - precisò, strappandole il telecomando dello stereo.
- Chuck Presby e Dean non sarebbero d'accordo. - puntualizzò.
- Chuck Presby era un idiota e anche Dean ... - affermò e, sottomettendosi alla necessità di conoscere quella parte della vita di Rory che gli aveva bruciato il cervello, nel tentativo di comprenderla, le chiese: - Perché l'hai fatto, perché sei tornata con lui? -
- Io ... - iniziò, provando a mettere in ordine i pensieri: quella storia, la relazione con un uomo sposato, l'aveva messa in ginocchio, le era costata la stima di una città intera, liti furibonde con Lorelai e tante lacrime ed imbarazzo per aver rovinato un matrimonio.
- Perché non rispondi? - incalzò Jess, con un tono distaccato e quasi cinico.
- Perché è complicato ... - tergiversò, mantenendo gli occhi bassi per non incrociare quelli di lui.
- Farò uno sforzo ... - la schernì, serrando la mascella in preda ad una rabbia crescente, mista a delusione.
- Io ... Ecco tu ... sei venuto lì quella sera ... ed io non ... -
- Allora? - la interruppe, senza darle tregua, - La verità è soltanto una, non c'è bisogno di cercarla! -
- Se proprio vuoi saperlo, è stato per te che l'ho fatto ... - confessò esasperata, trattenendo una voglia di piangere che non le dava scampo.
- E' colpa mia, quindi ... - le rispose con una smorfia.
- Non ho detto questo! - replicò, tormentandosi le dita.
- Ti prego ... - continuò, come se quello che lei aveva appena detto non avesse importanza. - Vengo a Yale e ti trovo con lui; ti dico che voglio passare il resto della vita con te, che voglio costruirmi una vita con te e tu mi rifili una sfilza di no lunga quanto la Dichiarazione d'Indipendenza ... E dopo quanto? Una settimana, un giorno? Ti infili in un letto sempre con lui, il tuo ex ragazzo perfetto! - puntualizzò, con un'incrinatura nella voce che a Rory sembrò macchiata di sofferenza. - Andiamo Rory, dillo una buona volta, di' che lasciarlo per uno come me, è stato un errore, solo un madornale errore ... Di' che l'hai fatto per liberarti dall'immagine di brava figliola, che ti avevano cucita addosso: il tuo momento di ribellione e di indipendenza ... - le urlò contro, mentre l'amaro che gli aveva riempito la bocca, dopo averlo saputo, risaliva per la gola come un conato di vomito. - Forse i tuoi sentimenti per me non erano così sinceri come credevo ... - concluse, sconfitto da quella considerazione dolorosa.
- Invece tu con me sei stato sincero, vero? - lo attaccò con un moto di stizza che aveva contenuto per anni. - Mi hai lasciato senza una parola, neanche i tuoi sentimenti dovevano essere quelli che credevo, se non ti hanno impedito di andartene. Perché, quella sera a Yale, avrei dovuto credere il contrario? - chiese e lasciò, finalmente, che le lacrime scendessero libere.
- Perché ti avevo detto che ti amavo, io ti amavo ... - confessò, espirando con gli occhi chiusi, per scrollarsi di dosso il ricordo di quel momento ed il dolore che ancora procurava.
Quella dichiarazione d'amore, quella sera, l'aveva travolta, sorpresa, confusa e schiacciata, come se tutte le domande che si era posta sui suoi sentimenti fossero piccole pietre appuntite pronte a rotolare giù in una valanga incontenibile.
Sentirlo ripetere le stesse parole, la scoprì ancora impreparata, indifesa, debole e con la sola inutile arma della rabbia e dello sconforto.
- Quindi avrei dovuto mollare tutto: la mia casa, mia madre, il college perché tu avevi detto di amarmi, dopo essere sparito per un anno, ed esattamente un minuto prima di sparire ancora? - lo aggredì, esasperata.
Jess scrollò la testa, con un sorriso amaro. - Frequentarsi di nuovo è stato un errore, ma venire qui stasera ... è stata la cosa più stupida che sia riuscito a fare nella vita! - continuò, alzandosi dal divano. - E' meglio che me ne vada ... - concluse, afferrando la giacca e aprendo la porta per fuggire.
- Jess ... - lo chiamò Rory, con la voce flebile e segnata dalle lacrime. Gli errori commessi erano troppi da parte di entrambi, le incomprensioni, l'orgoglio infantile, la paura di raccontarsi profondamente ciò che avevano dentro l'uno per l'altra, allora ed adesso, li dividevano ancora. Ma guardare Jess uscire di nuovo dalla sua vita, senza muovere un dito per impedirlo, le fece inchiodare il respiro.
- Non te ne andare ... - gli chiese senza muoversi dal posto che occupava. - Non andartene ... - ripeté, quasi in una supplica, rivolgendo il viso verso la sua schiena.
Jess inspirò e strinse la mascella, lasciando la mano ferma sulla maniglia.
- Perché? - chiese perentorio. - Dimmi perché dovrei restare ... - la incalzò.
- Per lo stesso motivo per cui, nonostante tutto questo risentimento, sei venuto ad Hartford per convincermi a tornare al College ... - gli rispose decisa, nonostante cominciasse a perdere le forze per combattere. - Perché lo hai fatto? - insistette, con la stessa determinazione di lui.
- Non potevo starmene con le mani in mano mentre gettavi al vento il tuo futuro e tutta la fatica fatta per realizzare i tuoi sogni. Sei fatta per questa vita, Rory, e questo era più importante del mio risentimento ... - le rispose, lasciando che la tensione scivolasse lungo tutti i suoi nervi tesi, per spegnersi man mano che si allontanava dal cuore. - E anche tu lo eri ... - continuò, dandole ancora le spalle: era cresciuto, ma confessare così apertamente i propri sentimenti, costava comunque un enorme fatica.
- Anche tu per me ... eri importante ... - confessò, a sua volta, Rory, - Anche quando sono venuta a Philadelphia, per l'inaugurazione, e ti ho detto di Logan ... eri importante, per questo ti ho baciato ... - terminò, aprendosi ad una confessione necessaria più a sé stessa che a lui.
- Quel bacio ... - la interruppe, rassegnato e senza più voglia di opporsi. - Ho creduto, mi sono illuso che ... - continuò scrollando le spalle, sconfitto. - Ma tu amavi lui ... - terminò con la stessa delusione dolorosa nella voce di quella sera.
- Era vero, in quel momento. Io ... io ci credevo davvero, nonostante quello che mi aveva fatto. Ma non era l'uomo con cui volevo passare il resto della vita, l'ho capito solo quando mi ha chiesto di sposarlo. - precisò, rinvigorita dalla verità, che finalmente, aveva concessa anche sé stessa.
- Perché non era lui? - insistette Jess, ora con più calma nella voce.
- Perché chi ti ama non ti chiede di rinunciare ai tuoi sogni, piuttosto ti sprona ad inseguirli a tutti i costi, ti sostiene, anche se questi ti porteranno lontano ... - spiegò. - Ed ora, non te ne andare ... - terminò, passandosi il dorso della mano sul viso stanco per asciugare l'ultima lacrima caduta.
Jess inspirò ancora, libero e sollevato, come se il peso, che gli aveva schiacciato il respiro, di tutti i dubbi accatastati nella mente, si fosse sbriciolato sotto quella confessione.
- Solo se prometti che non mi farai più mangiare quella roba ... - disse voltandosi, finalmente, ed indicando i contenitori vuoti del take-away indiano.
Richiuse la porta, gettò, senza troppa cura, la giacca sullo schienale di una sedia, e riprese posto accanto a lei; sorrise e, senza guardarla, afferrò il telecomando dello stereo, ormai muto. Stava firmando la sua condanna a morte, ne era consapevole, ma uscire dalla vita di Rory Gilmore, non era più contemplato!

Bentrovate!
Questo capitolo è molto importante per la storia, è una specie di punto di svolta, un chiarimento necessario per entrambi e che servirà a superare alcuni degli ostacoli che Jess e Rory hanno sulla loro strada.Spero che lo abbiate gustato tutto!
Dedico questo capitolo a carlyggf che ha votato per tutti i capitoli precedenti!

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