10 - A new day, in a new town.

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10 - A new day, in a new town.

Jess si era svegliato relativamente presto quella mattina, considerata l'ora in cui era riuscito a prendere sonno. Al contrario di ciò che aveva detto a Rory, il divano non era un posto comodo per dormire, per passarci qualche ora a leggere o ad ascoltare musica sì, ma non per dormire.
E poi sentiva uno strano formicolio per tutto il corpo, come se una corrente elettrica stesse attraversando le vene al posto del sangue, per tenere sempre acceso il cervello.
Si diresse in cucina, stropicciandosi gli occhi e passando davanti alla porta della stanza da letto, che Rory aveva lasciata aperta. Dormiva ancora, distesa di traverso, in un letto, che anche in quella posizione, sembrava troppo grande per la sua figura esile. I capelli erano sparsi sul cuscino, alcune ciocche le incorniciavano il collo e la pelle immacolata si confondeva con le lenzuola bianche.
Jess, combattendo col desiderio di fermarsi in una muta contemplazione, la guardò, ma solo per un istante, poiché certi spettacoli non giovavano al suo autocontrollo.
Aveva bisogno di caffè, sperava servisse a svegliarlo da quel torpore del corpo, in contrasto con i pensieri, che, come migliaia di aghi, pungevano il cervello.
Mentre aspettava che fosse pronto, si appoggiò al davanzale della finestra che aveva aperto, prese il pacchetto di sigarette e ne accese una. Non fumava più come quando era ragazzo, ma ogni tanto, più il gesto che il fumo in sé, gli serviva: era una specie di tentazione a cui cedere, un modo per allentare la tensione, quello che per altri sarebbe stato un esercizio yoga o un bagno caldo.
La città era in pieno fermento, eppure il rumore del traffico veniva su ovattato, o forse, era lui troppo distratto per percepirlo. Il cielo era terso e la luce accecante, più per il riverbero dei tetti imbiancati, che per il sole tenue e sbiadito di gennaio.
Non riusciva a distogliere il pensiero dalla notte appena trascorsa, dalla festa in strada, dalla presenza di Rory in casa. Continuava a chiedersi perché fosse venuta.
I propri sentimenti erano ancora gli stessi, nonostante il tempo che li aveva divisi, nonostante le incomprensioni ed il dolore che si erano procurati a vicenda.
Ma Rory, perché era lì?
Lo stupido bamboccio, con in tasca i soldi di papà e sotto il sedere la Porshe, che ostentava come un conquista, era sparito. Ma questo non poteva bastare, non poteva giustificare Rory per aver lasciato sua madre, la vigilia di capodanno, né bastavano un po' di nostalgia per un ragazzo, anche se era stato importante, e per i sentimenti che aveva raccontato ancora nelle pagine di un libro.
Rory non poteva essere lì solo per il gusto di vederlo, non dopo avergli fatto così male l'ultima volta.
E allora perché?
La ragazza entrò in cucina ancora con gli occhi assonnati, la maglia di Jess che le faceva da vestito, e vide lui, appoggiato al davanzale, ed il suo respiro gelato, che si confondeva col fumo della sigaretta.
Le era sempre piaciuto il modo in cui la teneva: la stringeva alla base delle dita e, quando la portava alla bocca, il palmo della mano copriva quasi l'intera faccia, lasciando fuori solo gli occhi lucidi e leggermente socchiusi per il fumo. Non che avesse fumato spesso davanti a lei: "il fumo e l'alcool, insieme ad altre cose che Nancy Regan avrebbe disapprovato", gli erano state vietate da Luke in sua presenza e Jess, più che per far contento lo zio, l'aveva accettato, per lei.
Lo guardò ancora un po', la maglietta che indossava era azzurra ed esaltava il colorito ambrato della pelle, le maniche erano corte e lasciavano scoperte le braccia conserte, gli occhi, assorti e brillanti, guardavano un punto qualunque di quel panorama che non aveva alcunché di attraente.
- Sei sveglia? - le chiese serio, tornando in sé.
- Non del tutto, direi ... - farfugliò, stropicciandosi gli occhi come una bimba tirata giù dal letto.
- E' stato il profumo del caffè a portarti qui? - continuò.
- Caffè? - si entusiasmò Rory. - Oh sì, dimmi che è pronto? - lo pregò.
- E' pronto ... Ne avevo bisogno anch'io, stamattina: per la prima volta ho capito cosa prova una Gilmore in crisi di astinenza! - scherzò. - Cosa ne dici di passare il resto della giornata in giro per Philadelphia? Ti porto in un paio di posti che non troveresti sulle guide turistiche ... - le propose, mentre lei si scaldava le mani, cingendo la tazza che Jess le aveva riempito.
- Detto da te, sembra una minaccia! - lo provocò.
- Una gita turistica in una città sconosciuta? - chiese retorico, - Ti ricordo che una proposta del genere l'hai accettata qualche anno fa e, se non sbaglio, ti è anche piaciuta ... - precisò.
- Già, ma allora ero giovane ed ingenua e, soprattutto, non credevo ancora che tu fossi un "cattivo ragazzo" ... - continuò, ripensando al chiosco di hot- dog, al suo primo viaggio in metropolitana ed al negozio di dischi.
- E lo sono ancora! Ma tu sei una giornalista del Times adesso, e vuoi diventare una corrispondente di guerra, senza contare il tuo sguardo raggelante. Un ex bullo di New York, non dovrebbe farti paura ... - la sfidò.
- Non me ne hai mai fatta ... - rispose, guardandolo con tenerezza.
- Non so se compiacermene o rimanerne deluso ... - concluse, con un sorriso sornione. - Allora? Giuro che tornerai a casa senza ossa rotte! - le promise, mettendosi una mano sul petto per enfatizzare il giuramento.
- Mia madre te ne sarà grata! - disse, bevendo un altro sorso. - Accetto! Mariano, stupiscimi anche questa volta ... - lo sfidò a sua volta, con tono allegro, immaginando ciò che l'aspettava.
Di tutte le città che aveva visitato, nessuna le era sembrata così attraente e sincera come la New York che aveva visto con Jess. Conoscendolo, le avrebbe fatto accarezzare una Philadelphia sconosciuta, che avrebbe portato nel cuore per anni.

§§§§§§§§

- E' il tuo ... - disse Jess, sentendo l'annuncio all' altoparlante.
- Già ... E' stato bello, dovremmo rifarlo ... - rispose la ragazza, senza alcun desiderio di andare.
Jess strinse la mascella nel tentativo di trattenere le mille domande che spingevano per uscire.
- Perché? - chiese, dopo un sospiro, quando capì che il suo tentativo era fallito.- Perché è stato bello ... - ripeté Rory, sperando che la risposta bastasse ad entrambi.
Jess abbassò gli occhi, cadendo nel ricordo di una domanda simile fatta, anni prima, alla stazione degli autobus. Quella volta, la risposta lo aveva riportato a casa,; quella volta, gli occhi blu in cui si era perso, gli avevano rivelato ciò che sperava, senza che fossero necessarie le parole.
Ma questa volta, quegli stessi occhi non bastavano.
Puntò lo sguardo sulla mano sinistra di lei, che era scivolata libera lungo il fianco e, con un tocco leggero delle dita, cominciò a sfiorarne la pelle, dal dorso alle estremità affusolate. Poi risalì contro corrente, a cercare l'incavo per entrare nel suo palmo e, con le dita prepotenti, si insinuò tra le sue, intrecciandole in un incastro già sperimentato.
- Perché? - insistette testardo, come era sempre stata testarda la sua volontà di arrivare alla foce.
Rory si sentì disarmata, senza via di scampo. Ma non era stata la domanda di Jess a metterla all'angolo, piuttosto i suoi stessi desideri.
- Perché non voglio più che tu esca dalla mia vita ... - confessò più a sé stessa che al ragazzo, mentre anche i propri occhi cercavano il confine, ormai confuso, tra le proprie dita e quelle di lui.
Jess annuì: quella risposta sembrò una promessa, un appuntamento.
La voce metallica dall'altoparlante ripeté la chiamata del volo, il ragazzo allentò la stretta e Rory si sentì cadere, come se avesse perso l'appiglio per rimanere in piedi.
- Devi andare ... - sospirò Jess, mordendosi le labbra.
- Devo ... - ripeté lei. - Mi chiamerai? - continuò in un sussurro, tirando su gli occhi per incontrare quelli di lui.
- Ti chiamerò! - la rassicurò, senza alcuna esitazione nella voce.
L'avrebbe fatto davvero, niente questa volta avrebbe potuto impedirglielo.

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