8. Storia di un triste passato

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«In che senso?»

«Lasciami spiegare. Data la macchina probabilmente molto vecchia, osservai la nomenclatura della targa. Ricordo di non aver visto, fino a quel momento, una targa così strana. Le lettere e i numeri erano nel giusto ordine, ma tutto il contorno era rosso e il simbolo, al posto di quello dell'Unione Europea, raffigurava un cerchio rosso con un serpente nero, centrale. Allora, attratto dalla targa, inseguii la macchina quatto quatto, in bici, fino a quando non si fermò in un parcheggio. E lì, cominciarono a sorgermi mille dubbi, perché tutte, ma ti giuro, proprio tutte le macchine avevano quel simbolo mai visto e stranamente non riconosciuto su internet»

«E ne vedi anche oggi?» domandai dubbioso.

Ci trovavamo stanti, davanti ad uno dei cancelli del PIT con un divieto d'accesso attaccato, ma da lì non si scorgeva nulla. Non gli chiesi il perché, anche per il fatto che ormai ero talmente assorto in quella storia, da essermi estraniato dal resto.

«Scemo, dovrei chiedertelo io»

Quei giri di parole mischiati alle offese mi mettevano in confusione, così glielo feci capire.

«Io l'avevo detto che sei un buon a nulla. Vabbè. Però permettimi di osservare che tu abiti a dieci metri di distanza da questo posto e non noti la cosa più evidente? Anche ora nel parcheggio ci saranno più di quaranta macchine con la stessa targa. -dato che avevo assunto un'espressione esterrefatta, perché non avevo mai notato una cosa effettivamente "così evidente", lui mi aiutò a capire, dopo un sospiro scocciato- Vieni con me»

Giunto di fronte ad una grande recinzione, osservai le macchine al di là di essa e constatai che l'affermazione di Alessandro era vera.

Non ero mai stato così vicino al PIT e avere una prospettiva dal basso, cambiava molte cose. Tutto era enorme e più ampio, in particolare la struttura in cemento, in costruzione, era maestosamente imponente.

«Questo, secondo te, significa qualcosa?»

«Non saprei. Bisognerebbe analizzare bene l'interno» suggerì, voltandosi verso di me e guardandomi come se avesse già trovato la risposta.

«No, non ci pensare. Io, lì dentro non ci vado neanche morto. Piuttosto, dicevi di sapere tanto su questo posto, ma vedo che sai solo questo» dissi, indicando il parcheggio.

Misi in dubbio la mia fiducia sul mio nuovo amico e capii di averlo infastidito, soprattutto toccando un aspetto di cui andava fiero.

Avevo cominciato a conoscerlo e compresi alcuni tratti del suo carattere, molto simili ai miei: era un ragazzo che amava i misteri, benché io mi ci trovai catapultato e non ci fossi andato incontro come fece lui, mi incuriosivano. Inoltre, pur essendo solitario, era furbo e aveva intuito. -Sarò anche solitario, ma non nel modo in cui tu credi- aveva sussurrato, e infatti mi aveva fatto riflettere.

«Torniamo dov'eravamo, ti faccio vedere una cosa che di sicuro non avrai notato»

Durante il breve tragitto, il silenzio della leggera pioggia predominò come l'acqua sul prato e sui nostri vestiti. In lontananza si udivano voci conversare in italiano e in inglese; tutte troppo belle e rilassate. Arrivati davanti al cancello di prima, mi fece osservare il cartello di divieto di sosta appeso su di esso. Non avevo notato da subito che sotto al segnale si trovassero degli strani simboli.

«E questi cosa sono?»

«È una lingua, probabilmente» ipotizzò lui.

«Perchè non me lo potevi dire subito? Hai almeno il cellulare? Prova a fare una foto per tradurre»

Mi sembrava un dato di fatto, ma lui rimase fermo dov'era.

«Non hai il cellulare?» tentai aa indovinare; tuttavia lui rimase immobile e serio, a guardarmi.

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