5. La figura

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Quando suonò la campanella che ci annunciava la conclusione della giornata scolastica, mi alzai dal banco e mi diressi istintivamente verso Angela. Volevo seguire il consiglio di Owens: dovevo aiutarla. Avevo paura della sua reazione appena mi avrebbe visto; era da settimane che non ci parlavamo e non volevo che scappasse per rifugiarsi nell'oscurità che si era impadronita di lei. Non poteva nascondersi a lungo, doveva affrontare con coraggio il duro destino che l'attendeva, ed io le sarei stato accanto.

Così la salutai e, come previsto, fece per uscire dalla classe, allora la bloccai per un braccio mentre lei cercava di andare avanti facendo finta di niente.

«Angela» alzai il tono per farmi sentire meglio in mezzo alla confusione di voci.

«Angela, ti prego. Smettila!» evidenziai l'ultima parola con più potenza.

Lei si fermò. Non riuscivo ancora a vederle il volto, perché era girata di spalle. Almeno lo potevo definire come un passo avanti.

«Cosa vuoi?» disse una voce cupa ignota, irritata.

Mi guardai attorno senza capire da dove fosse provenuta. Non era una voce femminile, altrimenti avrei immaginato che fosse stata Angela, quello era un tono maschile molto basso, mai sentito prima d'ora. Rabbrividii e preso dalla paura non mi accorsi che Angela si era voltata verso di me.

Mi fissava seria. Le sue labbra erano serrate. Quanto mi mancava il suo sorriso.

Per qualche istante ebbi timore di aprire bocca.

Ormai tutti i miei compagni e la prof Sandrone se n'erano andati ed era tornato l'inquietante silenzio come quello che mi accoglieva a casa dopo scuola. Ero in una situazione abbastanza sgradevole.

Infine, dato il mio silenzio, Angela parlò e compresi, con le poche parole che mi disse, che nulla era più rimediabile: «No Samuele. È troppo tardi»

Avrei preferito sognare, invece mi trovavo realmente davanti ad una ragazza che mi aveva appena parlato, accentuando la gravità dell'ultima frase in maniera sconvolgente: la sua voce si era mescolata con quella d'un uomo; più precisamente quella che mi aveva fatto rabbrividire poco prima. Quella ragazza non stava semplicemente male, aveva qualcosa di terribilmente strano.

«Ehi ragazzo, esci. Devo pulire. Guarda che sono già usciti tutti i tuoi compagni» la bidella mi richiamò dalla porta, mentre io mi trovavo immobile e spaventato davanti al banco di Angela che era scomparsa dopo avermi parlato.

Ero indeciso. Se fossi rimasto in classe non mi sarebbe accaduto nulla, invece se fossi tornato a casa, avrei avuto paura per ciò che il destino mi avrebbe riservato.

Ora particolarmente, il silenzio era diventato il mio più grande incubo, ma purtroppo non avevo scelta. Uscii dall'aula diretto verso casa.

Camminavo quasi tremando, ero in un totale stato di shock. Quella situazione, lì in classe con Angela, non faceva altro che ripetersi in continuazione nella mia testa, facendomi impazzire.

Provai a distrarmi col cellulare, ma non servì a niente.

Più tardi, dopo esser tornato a casa, mangiai e cominciai a fare i compiti.

La mattina seguente il prof Colombo aveva programmato una verifica di biochimica ed io, da "bravo studente", mi ritrovai la sera prima a studiare sei capitoli interi di cui, fino al giorno prima, avevo ignorato l'esistenza. In quella materia poi, non andavo molto bene e il mio obiettivo era recuperare tutte quelle insufficienti. A causa degli strani fatti che mi accadevano troppo di frequente, il mio cervello era come andato in tilt e aveva smesso di collaborare. Ai geni della classe purtroppo non piacevo, quindi non potevo ricevere nessun aiuto; perciò mi sarei dovuto arrangiare, escogitando una buona strategia per copiare.

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