19. Nell'abisso

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Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guarderà dentro di te.

Friedrich Nietzsche, Al di là del Bene e del Male


Kamal

Arbil, 18 novembre 2004

Il piazzale adiacente la moschea è pieno di mercanti ambulanti che vendono svariate merci di indubbia provenienza. Se fosse stato un altro momento, mi sarebbe piaciuto osservare quella gente e lasciarmi avvolgere dal chiasso dei bambini che si avvicinano per ricevere qualche spicciolo, caramelle o cioccolato.

Loro non hanno nessuna malizia, né disonestà nell'animo... Sono solo nati nella parte sbagliata di mondo.

Come mio fratello, morto a soli undici anni, o i figli di Serdar, vittime innocenti...

Allah ha voluto che io mi salvassi e che arrivassi qui per un solo scopo.

Non importa se sono scivolato nell'abisso. Ho dovuto rinnegare tutto ciò che sono, i miei desideri, i miei sogni, in favore di una causa più importante.

Non so se un giorno sarò padre: ora so solo che non riuscirei a essere degno di questo ruolo senza aver prima raggiunto il mio scopo, con qualunque mezzo.

Quei bambini sono vestiti di stracci, non hanno molto, ma vedere la gioia brillare nei loro occhi mi fa dimenticare per un attimo di aver spento ogni mia emozione e che sono lì per uno scopo ben diverso.

Gli do abbastanza spiccioli per indurli a tornare subito a casa. Li vedo allontanarsi, ma non provo nessun sollievo.

Le mie mani stanno per sporcarsi di sangue, ma ormai sono venuto a patti con me stesso.

Mi fermo davanti a una bancarella piena di libri e ne trovo uno di poesie in lingua curda: anche se ho quasi dimenticato quella lingua, non resisto alla tentazione di comprarlo e di infilarlo di nascosto nella tasca laterale dei miei pantaloni.

Sembra tutto tranquillo quando un'autovettura, che rispetto ai canoni del posto sembra quasi lussuosa, si ferma davanti al luogo convenuto. L'autista scende dal mezzo e si appresta ad aprire il portabagagli e a scaricare due grosse valigie. Nel frattempo, dal retro scendono un uomo con al collo una macchina fotografica e una donna, che nonostante il velo che le copre i capelli, io riconosco subito. È Svetlana, la russa che ho conosciuto alla base il giorno in cui mi hanno proposto questa missione e che si è occupata delle trattative con il mediatore. Si spaccia per una giornalista, ma in realtà è solo un escamotage per non dare sospetti.

Continuo a fingere indifferenza senza smettere di seguire con lo sguardo ogni movimento della piazza finché arriva il segnale.

Aspetto qualche secondo in attesa che un senso di nausea mi prenda lo stomaco, ma non succede nulla.

Nessun ripensamento, nessun indugio.

Con fermezza, le mie dita spietate premono il pulsante del denotare a distanza.

Un boato si propaga nell'aria, mentre una nuvola di fumo spazza via ogni cosa o persona che si trova davanti alla moschea.

Nel caos che si è scatenato con l'esplosione, nessuno si accorge del furgoncino che arriva e si ferma davanti a Svetlana, che non si è mossa di un solo metro. Un uomo scende per afferrare le due valige e lanciarle tra le braccia di un altro uomo sul cassone posteriore.

A scambio avvenuto, non mi rimane che correre verso di loro e salire a bordo.

***

Sono dentro.

Dopo mesi di contatti con questi uomini senza scrupoli, sono riuscito finalmente a ottenere la loro fiducia e ad arrivare al loro capo.

Non importa quali aberranti gesta dovrò eseguire. Continuo a ripetermelo all'infinito finché me ne convinco.

Far esplodere quella bomba era una di queste.

Il mio biglietto d'andata per l'Inferno. La garanzia per il loro Paradiso.

Dopo circa un'ora di strada per raggiungere una località nei pressi di Mosul, ci fermiamo in una casa isolata dove ad attenderci ci sono i miei due complici, Charlie 14 - o meglio William Carson - e Serdar, che faccio finta di non conoscere.

Dalle loro espressioni, capisco che il piano per farmi entrare a far parte della banda, senza che i contrabbandieri mi ricollegassero a loro, ha funzionato.

Aiuto a scaricare le valige e seguo uno degli uomini che finalmente mi conduce al cospetto del loro capo, di cui non si conosce il vero nome. Si fa chiamare Alwasit, il Mediatore, perché da sempre ha fatto da gancio tra i rifornitori di armi e i jihadisti che si nascondono tra i valichi al confine con la Siria.

È uno degli uomini più spietati e crudeli della regione.

Con una folta barba bianca e la corporatura magra di un uomo anziano, nonostante il suo aspetto apparentemente gracile, riesce comunque a incutere timore con i suoi gesti e con la sua voce ferma e autoritaria.

«Quando ci sarà il prossimo scambio?» chiede Alwasit ai suoi scagnozzi.

«La prossima settimana» gli risponde l'uomo seduto alla sua destra. «Ci incontreremo con l'Americano il giorno prima: vuole verificare che la "merce" sia autentica».

«No!» afferma Alwasit battendo la mano sul tavolo.

«Dite all'Americano che lo scambio avverrà contestualmente o non se ne fa nulla» ordina Alwasit e nessuno osa replicare.

Con un gesto della mano, mi chiede di portare le valige davanti a lui, puntando per la prima volta i suoi occhi affilati su di me.

Obbedisco prontamente e, non appena le poso a terra, uno dei suoi sottoposti le apre per controllare il loro contenuto: statuette, vasi di terracotta e altri monili di metallo come pendagli e borchie che non so quanto possano valere.

Nella seconda valigia c'è invece la testa di una scultura. Non sono un esperto, ma sembrerebbe sia stata staccata da una delle tante statue che venivano poste davanti alle entrate dei templi mesopotamici. Qualche magnate russo doveva averla trafugata durante il periodo socialista postbellico, per poi tenerla nascosta nel suo palazzo privato. Sono sicuro che un collezionista, pur di averla, sia disposto a pagare oro. Oro che poi servirà per comprare armi ed esplosivi.

Svetlana è dentro questo giro di ricettazione di reperti archeologici rubati da diversi mesi.

La cosa che più mi fa rabbia è che dietro questo traffico ci sia un uomo di nazionalità statunitense, che finora è riuscito a nascondere la sua vera identità.

«Tu!» mi chiama Alwasit. «Sei il nostro nuovo esperto di fuochi d'artificio?»

La sua risata sarcastica fa rabbrividire.

«Sono io» confermo, mentre sollevo il busto come a volermi mettere sugli attenti e mostrargli che, nonostante tutto, non lo temo affatto.

«Va' a preparare i botti per la festa di domani» mi ordina facendo un cenno a un suo uomo per farmi strada.

«Sarà fatto, signore!» gli rispondo, mentre tutti gli sguardi dei presenti si posano su di me.

L'ennesimo attentato, altro sangue sulle mie mani.

Poco più tardi, con la scusa di testare la trazione dei detonatori, accedo alla loro rete informatica.

Se riesco a forzare la protezione dei loro server e installare il codice malware, potrò finalmente chiudere questa missione. Un piano orchestrato in ogni minimo dettaglio da Charlie 14 per diffondere un virus in tutta l'area e sabotare i loro sistemi di comunicazione.

Nel giro di qualche giorno dovrei riuscire nel mio intento. Poi, non mi resterà che aspettare nuovi ordini.

Heart Blast - Un'esplosione nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora