Capitolo 6 - Il fotografo

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NORA

Un chiacchiericcio sommesso si faceva spazio fino alle mie orecchie, difficile comprendere cosa stessero dicendo le voci che blateravano tra loro; provai a mettere a fuoco qualcosa attorno a me, ma le forti luci neon che mi si palesarono davanti non appena tentai di aprire gli occhi mi fecero immediatamente cambiare idea.

«Ciao Nora» disse la candida voce di una donna. «Mi chiamo Delia»
Tentai nuovamente di staccare le palpebre e, con un po' di sforzo, ci riuscii. Non appena lo feci, il tenero sguardo di una giovane donna si incurvò in un sorriso. «Ben svegliata» aggiunse.

«Dove sono?» mormorai prontamente, cercando di mettermi a sedere.

«Oh no tesoro sta giù, non fare sforzi inutili» mi disse, bloccando nell'immediato qualsiasi mio tentativo. «Sei sotto l'effetto dell'anestesia, ma appena finirà potresti essere colpita da un dolore lancinante. Guarda qui» mormorò afferrando la cartella clinica posta ai piedi del mio letto. «Frattura, lussazione, escoriazione, non ti sei fatta mancare nulla, qui abbiamo anche-»

«Dov'è Aron?» chiesi interrompendola.

«Mi dispiace tesoro, non posso riferire informazioni su altri ulteriori pazienti»

«Non è un paziente, è il mio fidanzato. Voglio sapere se sta bene» affermai con tono duro e deciso.

Vidi il volto della donna assumere un'espressione corrucciata e, dopo aver trascorso una frazione di secondi a squadrarmi, posò nuovamente la cartella dove l'aveva trovata. «Non sono autorizzata a parlarne, mi spiace» mi ripetè.

Un sonoro sbuffo lasciò le mie labbra. «Voglio sapere se sta bene. Non mi costringa a lasciare questo letto per venire a cercarlo personalmente»

«Ascoltami bene Nora» disse puntandomi un dito contro. «Forse sei completamente assuefatta dai medicinali, ma se anche per un solo momento riesci a renderti conto della gravità della situazione in cui riversi, ti prego di usare la tua lucidità. È un miracolo che tu sia viva e che abbia la possibilità di riprenderti, fossi in te non la butterei al secchio» sibilò severamente, per poi allontanarsi verso l'uscita della stanza, non prima di aver aggiunto: «Non costringere me a legarti a quel letto»

Assunsi un'espressione imbronciata che all'apparenza poteva sembrare infantile, ma nascondeva la voragine che si faceva sempre più spazio nel mio petto. Perché non avevo ancora notizie su di lui? E se fosse...?

*

Un nodo si formò nella mia gola e la strinse fino a farmi sentire soffocare. Con l'affanno mi misi a sedere, accendendo velocemente la piccola abat-jour posta sul mio comodino. Tirai un piccolo sospiro di sollievo quando realizzai di non aver svegliato Cassie ma i tentativi che feci per riaddormentarmi furono totalmente vani: il sonno aveva abbandonato il mio corpo al 100% dopo l'ennesimo incubo. Ogni dannata notte ero costretta a rivivere qualche ricordo legato all'incidente: che fossi stesa sull'asfalto, stesa sulla barella, poggiata sul letto d'ospedale o in riabilitazione, era ugualmente legata a quel maledetto giorno. Non avrei mai voluto finire gli anni del liceo, non avrei mai voluto fare quella stupida festa. Se non fosse stato per il mio compleanno, loro non sarebbero morti.

I pensieri divennero sempre più asfissianti, percepivo il panico crescere nel mio petto e quella stanza era diventata troppo piccola per permettermi di respirare. Infilai i piedi nelle ciabatte e presi una felpa dall'armadio per poi uscire dalla stanza del dormitorio. Controllai l'orario che segnava il mio cellulare, apprendendo che fossero le cinque e trenta del mattino e che, per mia fortuna, probabilmente l'intero college dormiva, anche perché erano ancora tutti reduci dalla sbornia del sabato sera.

L'anagramma del mio nome - IN PAUSAWo Geschichten leben. Entdecke jetzt