Capitolo 5 - La festa

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NORA

Il cielo sopra la Columbia University non aveva un bell'aspetto quel pomeriggio, lo stavo contemplando da ore sdraiata sul mio letto e guardando fuori dalla finestra le nuvole che scorrevano lentamente. Molte persone credono che nascosti nella forma delle nuvole ci siano dei segnali, delle forme indistinte che celano una rappresentazione a cui non diamo peso ma che, in realtà, sta cercando di comunicarci qualcosa. Chi ha perso qualcuno, spesso, teorizza che siano proprio i nostri cari a modellare le nuvole per creare la forma di qualcosa che vogliono dirci, o che magari ci fa pensare a loro.

Le mie nuvole non avevano niente di chiaro, erano solo particelle di acqua condensata che non formavano altro che una massa indistinta.

«Nora, cos'è quel muso lungo?» domandò Cassie, facendo la sua comparsa nella stanza. Era di ritorno dal brunch che aveva organizzato con il suo gruppo d'amici al quale, a dirla tutta, ero stata invitata, tuttavia avevo declinato l'invito perché non mi sentivo affatto dell'umore adatto.

«Qualche pensiero di troppo, sto bene, non preoccuparti» le risposi forzando un sorriso.

«Me lo auguro perché stasera c'è la prima festa del nuovo anno scolastico, perciò non possiamo affatto perdercela!» mi informò entusiasta. Cassie, da quel che mi aveva raccontato, non era esattamente la persona più energica del mondo, anzi era piuttosto pigra sotto vari punti di vista, tuttavia mi aveva confessato di avere un debole per i "party" che erano soliti ad organizzare nelle varie confraternite.

«E dove avrà luogo questa festa?»

«Da quel che mi ha detto Chloe hanno una sala da utilizzare appositamente per i grandi eventi tipo questo o la festa di fine anno»

Annuii alla sua spiegazione. «Ad ogni modo non credo di venire»

«Ma come, perché no?» lagnò la ragazza davanti a me.

«Non ho un buon legame con le feste» ammisi sinceramente. Dopo la sera dell'incidente promisi a me stessa che mai più avrei messo piede ad una festa e mai più avrei festeggiato un compleanno. Non era colpa di ciò che era accaduto prima, il ragazzo alla guida era sobrio, ma se non avessimo mai organizzato quella festa niente sarebbe successo, e magari Aron e Lizzie ora sarebbero ancora vivi e sarebbero qui, con me. Ma loro non ci sono più. E io non ho più nulla per cui valga la pena di festeggiare.

«Nora» disse Cassie, avvicinandosi al mio letto e sedendosi ai piedi di esso. «Ti prometto che sarà una cosa tranquilla. Siamo all'interno delle mura di un college, quali festini illegali ti immagini possano organizzare? Abbiamo persino il permesso del preside»

Sorrisi alla ragazza dinnanzi a me. Apprezzavo davvero il suo tentativo, ma non sapeva cosa mi era accaduto, non poteva comprendere le ragioni per cui fossi così restia nei confronti di questo tipo di occasioni.
«L'ultima volta che ho partecipato a un party è successa una cosa piuttosto... pesante» confessai. «Ho promesso a me stessa che non avrei più festeggiato nulla»

Vidi crescere negli occhi di Cassie un senso di compassione. E la capii, compresi le ragioni di quella reazione ma odiavo quel modo di essere guardata. Per giorni interi vedevo nel volto dei miei genitori lo stesso moto di pena, e non solo, gli infermieri stessi lo avevano.
Provavano tutti così tanta per me. "Povera ragazza, diciotto anni e aver distrutto metà della sua vita. Aver perso il ragazzo, gli amici, chissà se si riprenderà". Era questo che leggevo nei loro occhi, nient'altro che questo. Odiavo quello sguardo. Non erano semplicemente tristi, loro erano in pena per me, mi compativano. E io odiavo la compassione.

«Non guardarmi così» ordinai bruscamente, alzandomi di scatto dal letto. «Per colpa di una stupida festa di compleanno sono morte due persone importanti per me, si, ma io sono qui, sono viva purtroppo o per fortuna e sto bene. Perciò non guardarmi in quel modo, io sono sopravvissuta, non è per me che dovresti provare pena, ma per chi ci ha rimesso la vita. Odio essere guardata in quel modo»
Non volevo essere aggressiva, non volevo perdere le staffe. Cassie non aveva nessuna colpa dopotutto, non sapeva niente di quella storia, ma il problema era che se lo avesse saputo avrebbe reagito allo stesso modo di tutti gli altri e mi avrebbe compatita.

L'anagramma del mio nome - IN PAUSAOnde histórias criam vida. Descubra agora