Capitolo 2 - Cocci rotti

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NORA

Il paesaggio turistico della Silicon Valley scorreva velocemente sotto i miei occhi mentre lo ammiravo dal finestrino della vettura di mio padre. Le villette colorate e i pub già gremiti di gente coloravano le stradine del luogo, rendendolo piuttosto vivace. La California possedeva la fama di essere un territorio piuttosto vasto, aveva il mare ma anche la montagna, la foresta, il lago e la brughiera. Alternava la sue cittadine piene di locali, caos e turisti ai piccoli luoghi naturalistici ricchi di flora e fauna che si adattavano a una qualsiasi giornata da voler trascorrere in tranquillità. Mi sarebbe mancata davvero.

Tanto quanto ogni membro dell'ospedale. Sembrava banale immaginare che dei dottori o degli infermieri potessero suscitare mancanze, ero consapevole che stessero solo facendo il loro lavoro, ma nell'arco di quei mesi più volte avevo avuto l'impressione, o la speranza, che  si fossero affezionati a me. Ognuno di loro era venuto a salutarmi, per dirmi di passare a trovarli quando sarei stata ancora meglio, per raccontargli del College o delle persone che avevo conosciuto lì. Ognuno di loro si era preoccupato di aiutarmi a sistemare le cose, assicurandosi che non avessi scordato niente e salutandomi calorosamente prima di vedermi sparire fuori le mura della struttura.
Per il tempo trascorso li erano stati la mia famiglia, si erano presi cura di me sempre con dedizione, senza mai farmi sentire un peso. Quando i primi giorni non parlavo, non mangiavo, non dormivo, qualcuno di loro era lì per aiutarmi. E sopratutto Delia, che mi era stata accanto passo passo nella riabilitazione, a cui mi ero potuta appoggiare giorno per giorno (letteralmente).
"Un giorno vengo a trovarti a New York allora. Perché andrai alla Columbia, giusto?"

Si Delia, ci andrò. Promesso.

«Delivery Street è diventata così trafficata negli ultimi tempi. Non hai idea del tempo che impieghiamo ogni volta a tornare dallo studio» mormorò mia madre rivolta a me, studiando attentamente la coda di macchina che ci eravamo ormai lasciati alle spalle nel tragitto per giungere fino a casa nostra. I miei genitori avevano scelto di proposito la strada più lunga, per evitare di passare sul luogo dell'incidente, cosa che notai e di cui gli fui immensamente grata, ringraziandoli mentalmente per l'accortezza.
Eravamo arrivati dinnanzi al cortile della nostra abitazione e quando scesi dalla macchina mi sembrò così strano essere di nuovo lì. Non era cambiata di una virgola dall'ultima volta in cui l'avevo vista: le aiuole perfettamente curate, l'erba tagliata a puntino, il piccolo sentiero di marmo che conduceva sino alla porta di casa limpido e pulito come sempre, contornato da piccole margherite di vari colori. Eppure sembrava così diversa.

Dopo aver rivolto uno sguardo ai miei genitori, ci incamminammo verso la porta d'ingresso, mettendo poi finalmente piede nella nostra villetta. Il salone luminoso mi accolse nel suo bianco splendente e mi donò un senso di calore inaspettato, sebbene la luce del lampadario fosse per lo più fredda.
«Vieni tesoro, devi vedere la tua camera!»
Vidi mia madre sorridere ampiamente per poi condurmi al piano di sopra, facendomi strada come se non ricordassi dove fosse la mia stanza. Mio padre ci seguì a ruota, scuotendo la testa con un sorriso sghembo sul viso, rassegnato all'eccitazione di mia madre che, a suo parere, era immotivata.
Ma io tutto sommato la capivo. Dopotutto la sua unica figlia era appena tornata a casa dopo essersi ripresa da un'incidente che le aveva portato via un anno di vita, come biasimare la sua gioia? Ero certa che anche mio padre lo fosse, semplicemente avevano un modo di verso di esternare le emozioni, entrambi rispettabilissimi.

Quando vidi spalancarsi la porta della mia stanza mi trovai immersa in quello che, per anni, era stato il mio piccolo mondo. Le pareti erano state ripitturate di bianco, anziché di rosa come erano in precedenza, dettaglio che avevo apprezzato parecchio dato che lo trovavo più elegante e raffinato. Per il resto, oltre a qualche piccolo oggetto aggiunto, il mobilio e le decorazioni che avevo lasciato erano rimaste a loro posto.
«Grazie mamma. Grazie papà» dissi rivolgendo un sorriso a entrambi che, speranzosi, mi guardavano dalla soglia della porta.

L'anagramma del mio nome - IN PAUSAWhere stories live. Discover now