Capitolo 22 - Essere uomo [Revisionato]

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Brycen sospirò, chiudendo il libro. Sapeva che molti sayfani non erano al corrente di come si vivesse davvero a Zima, ma che lo ignorassero persino i suoi studenti... Nessuno aveva provato lo stimolo di approfondire l'organizzazione sociale del regno di cui stava imparando la lingua? O forse una struttura matriarcale suonava così assurda alle loro orecchie che non la credevano realmente possibile?

«A Zima c'è distinzione tra i mestieri che possono essere svolti solo da donne o solo da uomini. Per utilizzare una semplificazione, tutto ciò che è legato alla creatività o all'intelletto è prerogativa della sfera femminile; ciò che richiede uno sforzo fisico o un impegno considerato degradante per una donna è invece lasciato agli uomini.» Brycen arricciò le labbra in una smorfia. Il solo spiegare quei concetti gli provocava un prurito sottopelle, ma afferrò un gessetto e cominciò a tracciare rune dai tratti decisi, composizioni di linee rette e angoli. Li pronunciò ad alta voce mentre ne scriveva la traslitterazione in alfabeto sayfano, più morbido ed elegante. «Soldato, locandiere e minatore, mestieri maschili. Musicista, insegnante e dottoressa, mestieri femminili. Sono solo alcuni esempi, vi farò avere un elenco più ampio appena possibile: purtroppo è raro, se non impossibile, che esistano eccezioni. Tenetelo a mente, se non avete modo di comprendere il sesso tramite contesto o pronomi.»

«Quindi possiamo dire che lei è la nostra professoressa?» Adam sghignazzò, e alcuni studenti lo seguirono in una breve risata.

Tu non sei una ragazza.

La baritonale voce di suo padre rimbombò prepotentemente nella testa di Brycen, sovrastando qualsiasi altro suono. Non c'era ilarità in quella voce. Non c'era alcuna risata nei suoi ricordi. Soltanto uno sguardo talmente carico di disprezzo da gelare persino il suo sangue.

Brycen strinse il gessetto tra le dita. «Sì, è corretto. Se si trattasse di una traduzione, non potrei considerarlo un errore.»

Si sforzò di sorridere mentre tornava alla cattedra, afflosciandosi sulla sedia. Avrebbe preferito stuzzicare l'indignazione dei suoi studenti, piuttosto che un becero e superficiale senso dell'umorismo. Come poteva essere quello l'unico commento che avevano da muovere a riguardo? Nessuno si era stranito di quella divisione tanto netta da influenzare la lingua. Nessuno gli aveva chiesto perché.

Forse era colpa sua. Avrebbe dovuto scagliarsi con più veemenza contro quella disparità di genere, invece che lasciar trasparire il suo malcontento da qualche smorfia e un tono di rimprovero. Non ne avrebbero riso con tale leggerezza, se avesse spiegato che per insegnare era stato costretto a lasciare il suo paese; non avrebbero scherzato su quella situazione se avessero saputo il dolore e l'umiliazione che aveva dovuto sopportare.

Ma se gli zimei stessi non nutrivano alcun interesse per l'argomento, tollerando pigramente la situazione o peggio riconoscendola come verità incontestabile, come poteva pretendere qualcosa di diverso dagli stranieri?

Un gigante ghiacciato da cui estrarre minerali.

Brycen non era stato assunto per fare polemica sul suo paese, per istruire sulla sua cultura o dibattere sui dogmi teologici alla base del contesto sociale e religioso, ma per insegnare la sua lingua. Era tutto ciò che importava ai suoi studenti quando entravano in classe e quello a cui avrebbe dovuto attenersi.

Infiammare i loro animi? Spingerli ad aprire le menti? Non ne sarebbe mai stato capace. Tutto ciò che sapeva fare era rimuginare, raccogliere idee e scriverle centinaia e centinaia di volte per occhi che non avrebbero mai letto, costruendo monologhi che nessuno avrebbe mai ascoltato. Se anche si fosse alzato in piedi, sciorinando alla classe le sue argomentazioni, non sarebbe cambiato nulla: dopotutto, nonostante i suoi sforzi, Brycen non era mai riuscito ad ottenere neppure la comprensione della sua famiglia.

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