11. Everything I Didn't Say

226 23 7
                                    

Le mura di quell'ospedale erano veramente tristi, come se in qualche modo riuscissero a rispecchiare le emozioni di quei ragazzi che circondavano.
Calum era seduto accanto a Luke, su una sedia, a fissare il bianco soffitto crepato qua e là, mentre il biondo al suo fianco faceva scontrare i suoi occhi azzurri contro tutte le parti di pelle delle braccia di Michael che il lenzuolo non copriva.

«Eravate migliori amici?», chiese il moro. Luke fece scorrere ancora un po' lo sguardo sul suo amico sdraiato nel letto, poi si girò verso Calum e sospirò.

«Noi eravamo sempre qualcosa di più», ridacchiò. «A Michael piacevano i ragazzi, a me piaceva Michael».

Calum distolse lo sguardo, abbassando la testa per guardarsi le unghie. Giocherellò a lungo con le sue dita, poi scosse la testa e schiuse la bocca. «Senti, non ce la faccio a farmi i fatti miei», affermò, provocando a Luke una risata. «Ti prego, dimmi qualcosa di più».

Il biondo smise di ridere, lasciando ancora un sorriso ad adornargli il viso, e spostò lo sguardo sul soffitto che Cal aveva guardato fino a poco prima.

«Io e Michael litigavamo spesso, sai?», chiese, voltandosi ancora verso il moro, che lo guardava con entrambe le sopracciglia inarcate. «Sì», scrollò le spalle, «cioè, avevamo delle incomprensioni. Lui stava con questo tizio, James; io odiavo James», spiegò. «Volevo Michael tutto per me, avevo bisogno che lui fosse solo mio, ma avevo così dannatamente paura di rovinare tutto tra noi; la nostra amicizia era più importante di tutto. Non potevo dirglielo, dirgli che ero fottutamente innamorato di lui da anni, e che mi uccideva sapere che James possedeva il suo cuore».

Il moro mosse scompostamente i piedi sotto alla sedia, sentendosi leggermente a disagio; forse Luke stava dicendo anche troppo, troppi particolari che lui non intendeva sapere. Non avrebbe mai voluto intromettersi nella loro vita privata, ma sapeva che era ormai troppo tardi per fermare Luke dallo sfogarsi.

«Adesso che sono morto, vorrei poter ritornare in vita per potergli dire tutte le cose che non gli ho mai detto», constatò. «Ma probabilmente, se mi dovessi ritrovare faccia a faccia con lui, non gliele direi di nuovo».

La porta della stanzetta dell'ospedale si aprì, rivelando un dottore in camice bianco affiancato dalla mamma di Michael. Le stava parlando, le stava bisbigliando qualcosa.
«Ancora qualche altra coltellata e avrebbe potuto non farcela», disse l'uomo. La mamma sussultò percettibilmente a quelle parole, pensando a come sarebbe stata la sua vita senza Michael, chiedendosi se la vita senza Michael potesse veramente esistere. La donna si era chiesta tante volte come Liz, la madre di Luke e sua cara amica, potesse andare avanti senza il figlio. Non poteva nemmeno immaginarsi il dolore che doveva provare la sua compagna.

«Deve avere un angelo custode davvero in gamba», concluse il dottore, distogliendo la signora dai suoi pensieri.

«Sì, si chiama Luke...», sussurrò Michael, aprendo pian piano gli occhi. Finalmente si stava svegliando, facendo finire la snervante attesa di Luke, di sua madre e di Calum, che, anche se non lo conosceva, ci teneva a rivederlo sveglio.

«Mikey, ti sei svegliato!», stridulò il biondo, scattando in piedi e fiondandosi sul letto per abbracciarlo. Calum rimase a fissarlo con le braccia incrociate, mentre contraeva la mascella e deglutiva. «È così triste che lui non possa sentirmi», esordì, una volta tornato a sedere.

«Dobbiamo solo convivere con questa cosa».

«Amico, ti ricordo che siamo morti», scherzò Luke, ricadendo in una piccola risatina. Poi i suoi occhi azzurri incontrarono quelli color pece di Calum, il quale sorrise.

«Ok, allora... conmorire?», domandò titubante.

«Dobbiamo solo conmorire con questa cosa... sì, mi piace come suona!», esclamò, alzando le braccia al soffitto per stirarsi. «Non credevo che i morti potessero sentire la stanchezza».

Wanna fly with me? [Muke]Where stories live. Discover now