Prologo

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Era facile per gli altri giudicare.
Puntare il dito su qualcuno e giudicare senza pensare minimamente se l'altro ne potesse soffrire.
Io l'avevo provata quella sensazione; sentirsi diversi, fragili e terribilmente vulnerabili.
Non era stato per nulla bello, anzi, questo aveva decisamente influenzato sulla mia autostima che non aveva mai raggiunto alti livelli, anzi, direi che era praticamente sotto zero.
A scuola ero quella timida e i miei voti erano sempre bassi per via del mio cattivo umore.
A casa, i miei genitori non sospettavano mai nulla e questo solo perché io non volevo dar loro altri dispiaceri.
Tenevo tutto dentro e la notte, solo la notte, lasciavo che gli incubi mi venissero a fare visita.
Era difficile avere tra i piedi dei tredicenni senza cuore ma anche a loro cercavo di non far vedere la parte più fragile di me.
Me ne stavo buona buona e zitta zitta al mio posto e contando i secondi aspettavo che un altro giorno di scuola passasse.
Avevo provato a farli smettere, a fargli cambiare opinione su di me ma era stato tutto inutile.
Loro erano bravi a farmi sentire imperfetta e io ero brava a dimostrarglielo.
Incapace di relazionarmi con le mie coetanee mi vestivo in un modo tutto mio; felpe larghe, jeans sbiaditi e sneakers ormai fuori moda per loro.
Io mi sentivo normale ma solo un attimo prima di incrociare i loro sguardi; era così ogni mattina, proprio quando entravo in classe.

I loro occhi erano sempre puntati su di me, osservavano il mio modo di camminare, di poggiare i libri sul banco o addirittura il mio modo di respirare qualora ne avessi avuto uno diverso dal loro.
Dovevo stare attenta a chi il mio sguardo incrociasse lungo i corridoi della scuola e dovevo stare alla larga da chi non voleva avermi tra i piedi.
Ho passato la mia adolescenza da sola.
Nessuna delusione in amicizia, nessuna delusione in amore. Perché non avevo amici e nessun ragazzo che fosse interessato a me.
Ero sola e da una parte mi stava anche bene.
Se essere circondata da persone significava avere degli stronzi tra i piedi, allora avrei preferito passare la mia intera esistenza da sola. E anche se cercavo di convincermi che la solitudine facesse per me, per fortuna alle superiori ho incontrato Alexander Noel, il migliore amico che tutte le ragazze complessate come me avrebbero dovuto avere.
Lui era entrato in punta di piedi nella mia vita e sempre in punta di piedi mi aveva fatto capire che a nessuno piace la solitudine e che la mia era solo una menzogna per non pensare a quanto facesse schifo la mia vita prima che arrivasse lui.
Alexander era un tipo strano, un po' fuori dal comune, ma piaceva a tutti, specialmente alle mie compagne di classe.
Quello che mi aveva fin da subito catturato di Alexander era il suo senso dell'umorismo. Alex lo avevo conosciuto il primo giorno di superiori. Eravamo stati assegnati a due classi diverse ma quel giorno, il destino ha voluto che noi due ci incontrassimo o meglio, ci scontrassimo.
Il nostro incontro/scontro attirò subito l'attenzione di tutti gli studenti attorno a noi i quali non si trattennero dal ridere per la figuraccia che avevamo fatto lungo il corridoio principale della scuola.
Quel giorno lo ricordo come se fosse ieri, sentii di nuovo quella sensazione che pensavo avessi lasciato alle spalle con le scuole medie. Mi sentii di nuovo diversa e pronta per essere giudicata e lì, per terra mentre con la testa china raccoglievo i libri che mi erano caduti per terra, mi sentii fragile e terribilmente fuori luogo. Quel giorno Alexander e io ci rialzammo da terra insieme.
Io ero imbarazzata più che mai, mentre lui, sicuro di sé, mi sorrise.
Tra Alexander e me ci fu subito complicità. Quella complicità che non avrei mai potuto credere possibile tra una emarginata come me e un popolare come lui.
Eravamo sotto lo sguardo di tutti ma poca importava, quando i nostri occhi si incontrarono entrambi ci rendemmo conto di aver appena trovato un amico sul quale poter contare.
Ignorando lo sguardo degli altri, ci premurammo a raccogliere i libri che ci erano caduti per terra ma nella confusione, Alex scambiò il suo libro di filosofia con il mio di letteratura.
Quel gesto mi permise di rivederlo. Ma avevo paura. Avevo paura che lui potesse prendersi gioco di me.
Nel mio cuore speravo di potermi fidare di lui, ma la mia mente cercava di mettermi in guardia dai tipi come Alex.
Il giorno dopo lo aspettai davanti la sua classe fin quando lui non arrivò. Non appena mi vide mi rivolse un sorriso che mi fece sentire a casa.
Si era accorto anche lui dello scambio dei libri e senza che io gli dicessi nulla, si affrettò a rimediare all'errore.
«Ti chiedo scusa ma credevo fosse il mio» disse e fu lì che sentii per la prima volta la sua voce.
«Non preoccuparti, ecco il tuo».

PERFETTI SCONOSCIUTI (COMPLETA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora