Capitolo 1

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La mattina era uggiosa, una fine pioggia ne faceva da sovrana, il vento soffiava forte e l'unica cosa che riuscivo a pensare, sul grigio taxi che mi portava all'agenzia, era il mio letto che stamattina avevo lasciato di tutta fretta.

Palazzi e auto di tutti i tipi mi sfrecciavano davanti mentre le goccioline si rincorrevano come dolci amanti sul finestrino posteriore al quale ero affacciata.
Una musica travolgente ammantava l'abitacolo e il tassista se ne inebriava, felice e ammaliato da tale bellezza sonora.

Io no. Io ero sorda in quel momento, persa nelle mille cose che avrei dovuto fare quel giorno, alla mia audizione, alle emozioni che avrei provato, alla svolta che la mia vita avrebbe avuto, in bene o in male che fosse.
Avevo terrore, ma anche eccitazione che pompavano mescolate nelle mie vene e non riuscivo a smettere di tremare, stringendo convulsamente la custodia nera del mio violino con una mano e la borsa afflosciata sulle mie gambe con l'altra.

Finalmente, dopo quasi quaranta minuti nel traffico congestionato delle 7 di mattina, raggiunsi l'edificio enorme dell'agenzia nella quale avrei fatto l'audizione, la BigHit, situata nel centro nevralgico della Corea del Sud, Seoul.

Scesi dal taxi, tirai fuori l'ombrello tascabile appena comprato dalla borsa e, aprendolo, mi avviai verso la porta principale dell'agenzia, davanti alla quale non potei fare nient'altro che fermarmi e pensare a tutto quello che avevo vissuto per arrivare fino a lì, in quel preciso giorno e in quel preciso istante.

Ero straniera, italiana per la precisione, ma mi ero trasferita in Corea anni fa per inseguire il sogno che il mio paese sembrava tanto disprezzare: essere un'idol.

All'inizio è stato difficile imparare la lingua, comunicare, essere completamente sola in un mondo a me sconosciuto; l'unica cosa che mi faceva andare avanti erano le telefonate con mio padre ogni sera prima di andare a dormire.

Lui e i miei fratelli, che però sentivo più di rado, erano gli unici tra tutti quanti che avevano riconosciuto il mio sogno e lo avevano accettato spronandomi a inseguire la mia felicità. Mia madre d'altra parte non lo fece mai e ad oggi sono esattamente quattro anni che non ho più contatti con lei, anche se attraverso mio padre, contro la mia volontà, resto aggiornata sulla sua vita.

Quando arrivai qui ero eccitata e pronta a vivere, tanto che andai subito nel liceo che in Italia mi aveva accettata nella fascia degli studenti stranieri, senza prima neanche fermarmi a quello che sarebbe stato il mio dormitorio a lasciare giù le valige. Lì incontrai subito quella che scoprii dopo sarebbe stata la mia insegnate di canto, la stessa che sarebbe anche diventata e rimasta la mia stella polare in quel mondo che mi pareva tanto estraneo.

Quest'ultima rimase scioccata e divertita dall'arrivo di una ragazzina di sedici anni, che, trafelata, correva, ansimando e con al seguito due enormi valige, per il viale d'ingresso delle superiori.
Allora decise di approcciarsi a me in inglese, lingua che sapevo padroneggiare abbastanza bene e mi disse chi era, Seo-yun, e che cosa insegnava.
Le dissi il mio nome, Angelica, e che ero la studentessa straniera che il college aveva accettato dopo una durissima selezione. Dopo la presentazione mi disse, con un sorriso materno, che dovevo prima passare dal dormitorio a posare le mie cose e poi avrei potuto sapere tutto il necessario riguardo le mie lezioni e la mia vita in quella scuola.

Fu da quel giorno che fui parte di quel liceo artistico, che divenne casa mia per i successivi tre anni, e fu proprio lì che Seo-yun mi prese sotto la sua ala e mi insegnó tutto ciò che sapeva. Grazie a lei imparai a cantare molto meglio di come già sapessi fare e sempre grazie al suo aiuto e al suo sostengono continuai ad allenarmi a suonare quotidianamente il violino, a discapito dei miei voti; non mi diplomai brillantemente infatti.

Suonare il violino e il canto per me erano molto più importanti di tutto il resto, erano linfa vitale, azioni che ogni volta che le facevo mi ricordavano le melodie di casa, il sorriso dolce del mio papà, la cioccolata calda la sera della vigilia di Natale bevuta con gusto sul divano con mamma, le risate dei miei fratelli.

Fu proprio a scuola, dove piano piano imparai perfettamente a parlare coreano, che i miei insegnati, per prima Seo-yun, mi dissero che avevo talento e che potevo aspirare a diventare un'idol.
Così, una volta diplomata, mi trovai un appartamentino in periferia, con l'aiuto di Seo-yun, con la quale rimasi in contatto anche dopo il diploma, diventando a poco a poco la mia migliore amica, se non l'unica, e un lavoro part time in una caffetteria, affinché guadagnassi il giusto per poter sopravvivere, e dopo pochi mesi decisi di fare il grande passo iscrivendomi per l'audizione della mia vita.

Eccomi qui quindi, davanti a questo portone immenso fatto di lastre di vetro imponenti, violino alla mano, sudori freddi, cuore scalpitante e occhi tremanti a pregustare quello che potrei diventare, il mio unico desiderio da quando avevo cinque anni.

Sono pronta?
Non credo lo sarò mai, ma se non lo faccio adesso all'età di 18 anni non lo farò mai più, è il momento giusto per fare le più grandi follie e la mia sarà questa.

Così, con un respiro profondo, spinsi le porte dell'agenzia e entrai in quello che, speravo, sarebbe diventato il mio nuovo mondo.


𝐋𝐨𝐯𝐞 𝐚𝐭 𝐟𝐢𝐫𝐬𝐭 𝐜𝐥𝐚𝐬𝐡 || 𝙆. 𝙎𝙅.Where stories live. Discover now