Capitolo XXVII

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Flashforward

Stringo il bordo del tavolo di un ristorante elegante. Le ampie vetrate che ne circondano il perimetro ci permettono di godere a pieno della vista della Tour Eiffel illuminata, distante una manciata chilometri da noi. Davanti a me, il piatto colmo di squisite prelibatezze mi fissa ancora intatto.

«Raccontami qualcosa della banda, invece» mi esorta il mio interlocutore, seduto difronte a me.

«Sono passati tanti anni» rispondo cercando di sviare il discorso. Ci siamo promessi di essere completamente sinceri durante questa cena, ma si sta rivelando più difficile del previsto per me. Non credevo che rinvangare il passato sarebbe stato così angosciante.

«Ogni promessa è un debito e poi sono curioso» mi incalza il ragazzo qui dianzi, allentandosi di poco il nodo che gli stringe la cravatta.

«Allora – comincio a dire richiamando alla memoria quei nomi – eravamo in cinque o sei, a parte Iago. Si chiamavano Evan, Santiago, Margherita e Oswald mi pare. Non sono sicura degli ultimi due» ammetto, avvicinando il calice di vino alle labbra.

«I primi li ricordi bene però» osserva lui divertito.

«Ehm sì, per ovvi motivi» mi sfugge, ma ormai è troppo tardi per tornare indietro.

Lui mi fissa per un breve istante, poi spalanca le palpebre, incredulo: «Non mi dire...»

«Ci sono andata a letto» confesso, mentre le mie guance prendono fuoco.

«Ma non avevi detto di odiarli tutti?»

Allontano la sua giusta osservazione con un cenno della mano, mentre rimetto il bicchiere sul tavolo.

«In realtà non li conoscevo granché bene, alla fine era Iago a vietarci di avere relazioni interpersonali – comincio a spiegare – e con il senno di poi, capisco il perché della scenata che mi fece quando mi beccó con Evan nello scantinato»

Il mio interlocutore alza gli occhi al cielo, sorridendo appena: «Ci credo, era il tuo quasi-patrigno. Dev'essere stato uno shock per lui»

Lo fisso, cercando di decifrare la sua espressione, poi una domanda mi sorge spontanea: «Perché non ti sei ancora alzato e andato via?»

Di tutta risposta, allunga una mano verso di me, intrecciando le sue dita nelle mie: «Non sono geloso del tuo passato, lo sai» mi dice sincero. Cerco di protestare, ma tutto ciò che ottengo sono le sue mani che stringono ancora più saldamente le mie sulla tovaglia bianca del tavolo.

«Non voglio sentirti più dubitare di me» ribatte serio, mentre passa il pollice sul diamante incastonato nell'anello che porto al dito.

«È che mi sembra assurdo che tu-»

«Non hai bisogno di altre conferme – m'interrompe – stai per diventare mia moglie, dopotutto»

💎

Voci indistinte e suoni ovattati, come fossi sott'acqua, si fanno sempre più forti. Vorrei poter spalancare gli occhi e sollevarmi dalla superficie su cui sono distesa, ma riesco a stento a muovere i muscoli delle dita.

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