Capitolo XXII

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Connor

Vederla dire addio a ciò che resta della sua famiglia fa scricchiolare la corazza che mi sono cucito addosso per mantenermi alla larga da lei. Olivia entra in auto e si riallaccia la cintura di sicurezza senza aggiungere altre parole. Aumento la velocità premendo sul pedale dell'acceleratore, per frenare l'istinto di allungare una mano verso di lei, seduta sul sedile di fianco al mio, e posarla sulla sua gamba.

Avvolta nella sua pesante felpa nera, non mi degna di uno sguardo, mentre rimane assorta a contemplare gli enormi alberi ai lati della strada che scorrono veloci disegnando strie verdastre. Mantiene la dignità tipica di chi è abituato alle batoste della vita. Pur di sentire la sua voce, sono disposto a farmi mandare a quel paese: «Ti piace il panorama?»

Lei distoglie pigramente lo sguardo da tutto ciò che si trova dall'altro lato del finestrino e che, molto probabilmente, fissava al solo scopo di evitarmi e mugugna frastornata: «Umh?»

«Ti ho chiesto se ti sta piacendo il panorama» ripeto.

Che domanda da imbecille.

«Ah, sì certo» risponde controvoglia, rigirandosi dal lato opposto al mio. M'impongo di non aggiungere altro e di rispettare il fatto che lei non abbia nessuna intenzione di parlarmi.

Come mi rammenta sempre Michael, non me la merito. A dirla tutta, nessuno merita questo angelo caduto dal cielo che si sta assopendo al mio fianco. La guardo con la coda dell'occhio socchiudere le palpebre e piegare la testa di lato, stanca. Le folte ciglia risaltano sui suoi occhi chiusi e ha le labbra leggermente aperte, come se il mondo circostante avesse deciso di lasciarla in pace per un po'.

Attraverso la foresta di Okanogan-Wenatchee, con Olivia ancora addormentata sul sedile, quando un anonimo cartello eretto sul ciglio opposto della strada attira la mia attenzione. In vernice rossa, sul legno deteriorato, campeggia una scritta familiare: "Chevy Beach — tra 140 km"

Senza pensarci ulteriormente, devio la mia rotta, facendo una rapida inversione.

«Fanculo» mi dico tra me e me, prendendo a guidare verso la costa.

💎

L'odore della salsedine mi arriva forte alle narici. La fitta foresta ha lasciato spazio al cielo nuvoloso e a strette strade sterrate che costeggiano la scogliera lungo il perimetro. Il bordo della strada lascia poco spazio all'immaginazione: è un profondo precipizio roccioso che si apre direttamente sull'oceano. Il forte odore trasportato dall'aria e l'eccessiva umidità del posto svegliano Olivia, che si stropiccia gli occhi con le mani. Non appena si rende conto del cambio di visuale, si mette sull'attenti.

«Dove siamo?»

«Cambio di programma» le dico, ostentando sicurezza. In realtà, non so come la prenderà e un po' temo la sua reazione: «Tranquilla, non sei stata rapita»

Lei si ricompone sul sedile, assumendo una posizione vigile: «Mi spieghi?» chiede, guardandomi con aria interrogativa.

«Non mi andava di tornare subito in Centrale, tutto qui. Siamo a Chevy»

«Chevy? Ma tu non stai bene!» mi dice guardandomi con un'espressione che vuol essere severa ma che in realtà rasenta il buffo.

«Non ti piace?» mi azzardo a domandare. Tuttavia, difronte al suo silenzio ostinato, decido di essere più chiaro: «Amo venire qui quando devo trattenermi per lunghi periodi in Centrale. Ho pensato potesse fare bene anche a te passare del tempo qui, dopo ciò che è successo...»

Olivia mi rivolge un'occhiata dura, prima di abbandonarsi con le spalle sul sedile dell'auto: «Non ho bisogno della tua pietà»

«Olivia» la chiamo sospirando, ma lei si rigira dall'altro lato imbronciata.

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