Capitolo XV

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Connor

È l'alba. Scosto il pesante piumone bianco che copre a stento il mio corpo nudo e mi metto a sedere sul bordo del letto. Alle mie spalle, lei. Dorme tranquilla con i lunghi capelli neri scompigliati sul cuscino, qualche ciocca che le ricade ribelle sul viso e le labbra carnose lievemente socchiuse. M'incanto per qualche secondo a osservare la sua pelle ambrata in netto contrasto con il candore della mia camera da letto. La festa, Maurice, il molo, noi due nel mio attico. Ma cosa diavolo ho fatto ieri notte? La voce della mia coscienza mi riporta di piedi per terra.

Dopo essermi fatto una doccia, mi trascino nella cabina armadio dove i completi eleganti appesi e in bella mostra iniziano a darmi la nausea alla sola visione. Disgustato, inizio ad aprire dei cassetti alla ricerca di qualche   vecchio indumento da indossare che mi faccia sentire me stesso. Alla fine infilo dei pantaloni neri, una t-shirt scura e il chiodo di pelle e mi guardo allo specchio: finalmente, mi riconosco nella figura riflessa.

In mezzo ai vestiti cosparsi sul pavimento della mia camera da letto, cerco il mio cellulare facendo il meno rumore possibile. Non voglio che lei si svegli, né che mi veda così: calato nei panni di me stesso. Recupero il casco della moto, dopo aver buttato giù due righe su un bigliettino e averlo poggiato sul cuscino. So che dovrei rimanere freddo e impassibile ma avvicinandomi a lei, così addormentata e indifesa tra le mie lenzuola, non mi trattengo dall' accarezzarle la guancia con due dita.

Perchè proprio te, Olivia?


💎


Abigail mi aspetta in piedi sul ciglio della 23esima, una trafficata strada del centro. Quando mi fermo ai lati del marciapiede mi rivolge uno sguardo accigliato, ma senza troppe cerimonie infila il casco e sale in sella sulla mia moto. Premo l'acceleratore e sfreccio tra le strade del centro, pronto a ritornare a casa.

Arriviamo davanti l'ingresso del grattacielo che ospita il mio attico e Abigail si libera del casco scuotendo i capelli castani, dando finalmente voce ai suoi pensieri: «Sei consapevole di essere stato un'incosciente ieri notte?»

Non le rispondo.

«Allora?» m'incalza lei, aggrottando le sopracciglia.

«Sì ne sono consapevole, cazzo. Ne sono fottutamente consapevole!» sbotto, rassegnato.

«Questo ti è valso il trasferimento immediato a Cali, sappilo»

«Me ne farò una ragione, Abbie»

Mi poggio con le spalle al muro del palazzo. La gente, indaffarata di prima mattina, ci passa davanti ignorandoci.

«Sono sicura che in Colombia trai narcotrafficanti darai meno problemi che qui» constata lei, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.

Prendo una sigaretta dall'interno della tasca del mio giubbotto, evitando nuovamente di rispondere, dal momento che sarebbe inutile. Inspiro il fumo e mentre lo sento invadermi i polmoni, supplico con tutto me stesso che questa stupida singola azione possa bastare a calmarmi.

«Ho perso il controllo» ammetto, portando via la sigaretta dalla bocca: «Maurice è stato un'idiota. Quando l'ho visto avvicinarsi a lei, in quel modo... non l'ho potuto sopportare. Mi ha provocato, lui conosce benissimo la situazione tra me e Olivia...»

«Stava semplicemente cercando di portare a termine ciò che non sei stato in grado di fare tu» m'interrompe Abigail, poggiandosi con le spalle al muro di fianco a me. Ricaccio fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca e glielo porgo: senza esitare, sfila una sigaretta e se la accende imitandomi.

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