Capitolo XXVI

7.9K 350 286
                                    

L'accappatoio avvolge il mio corpo bagnato, mentre con una mano cerco la biancheria da indossare, trafugando tra l'ammasso di indumenti che ho gettato alla rinfusa in valigia. Il trillo del telefono fisso, posto sopra il comodino accanto al letto, mi fa trasalire. Gli squilli insistenti mi distolgono dal pensiero tormentato di Connor, che ha lasciato la mia stanza un'ora fa senza aggiungere altro, costringendomi ad alzare la cornetta.

«Pronto?» domando, cercando di celare l'ansia. Lancio un'occhiata rapida al mio orologio poggiato sul comodino, accanto al telefono: mancano due ore scarse.

«Olivia – sento pronunciare il mio nome dalla voce di Abigail – la Lucciola ha disdetto la cena»

Rimango interdetta e stringo d'istinto la cornetta tra le mani: «A che ora canterà il gallo, allora?»

«Domani mattina. Ore sette» mi conferma risoluta l'Ispettrice mentre mi siedo sul letto prendendo un respiro profondo. Linnet non cenerà, di conseguenza, è tutto rimandato alla prossima occasione utile, al suo prossimo pasto. Sbuffo al solo pensiero di essere costretta a posticipare tutto e riattacco la telefonata salutando frettolosamente Abigail.

Fisso il soffitto, da cui pende un sobrio lampadario di cristallo e chiudo le palpebre. L'immagine di Connor seduto sulla poltrona, deluso e umiliato, inizia ad ammorbare persino i miei sogni ad occhi aperti. Mi chiedo dove sia andato dopo essere uscito da questa stanza e se avrà un ruolo nell'Operazione. Ripenso a quello che ci siamo promessi a Chevy, alle nostre parole vuote e alle ferite reciproche.

Nonostante tutto, trovo la forza di travestirmi di nuovo per la cena. Mi infilo in un pantalone di cotone verde scuro assieme ad una camicia bianca e mi trascino verso il ristorante del Pigalle. Ceno in completa solitudine, velocemente e controvoglia, e cerco di sorridere cortesemente ai camerieri che mi posano il loro piatti raffinati davanti al naso e al maître che m'illustra la carta dei vini.

Quando esco fuori dal ristorante affollato, il chiacchiericcio della hall affollata m'investe e, seppur con l'intenzione di ritornare nella mia suite, l'occhio mi cade involontariamente sul lungo piano bar posto sul fondo della sala e sul suo giovane barista indaffarato.

Benché ci siano diversi metri a separarci e parecchia gente interposta tra noi, i nostri occhi si incrociano brevemente. Inspiegabilmente, decido di deviare il mio tragitto. A passo svelto, calpesto il pavimento di marmo della hall, colmando la distanza che mi separa dal moro. Lèon, pur continuando a soddisfare gli ordini dei clienti, non stacca lo sguardo dal mio corpo che avanza verso il bancone. Prendo posto su uno sgabello lasciato libero da un uomo di mezz'età in giacca e cravatta e mi ci accomodo sopra accavallando le gambe.

«Josephine» mi saluta, parandosi di fronte a me.

«Ciao» esordisco, ma in realtà non ho idea di ciò che sto facendo.

«Cosa ti porto?» mi chiede lui, mentre asciuga con uno strofinaccio nero i bicchieri.

«Un Negroni Sbagliato, grazie»

Dinanzi alla mia audace richiesta, Léon ammicca malizioso: «Vuoi per caso ubriacarti questa sera?»

«Non sarebbero queste le mie intenzioni» rispondo facendomi sfuggire una risata.

Lèon versa l'alcol nel bicchiere e me lo posa davanti: «Qualsiasi cosa tu abbia intenzione di fare questa notte...» comincia a dire abbassando la voce quel tanto che basta per farsi sentire solamente da me: «Il mio turno finisce tra mezz'ora»

«Io...» tentenno, spiazzata dalla proposta del ragazzo dianzi a me. La sua concezione di passare notte è sicuramente incompatibile con le mie prospettive omicide.

OLIVIA Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora