Capitolo XIX

Mulai dari awal
                                    

«Non lo sapevo nemmeno io, ma avrei dovuto capirlo» ricordo di aver risposto.

I ricordi sono vaghi, ho sentito il terreno tremarmi sotto i piedi, come un terremoto. Avrebbero potuto spegnere il sole e fermare lo scorrere del tempo, prosciugare gli oceani e incendiare i boschi: io non me ne sarei accorta, intenta com'ero lasciarmi sopraffare dal dolore.

«Perché lei?» ripetevo come una cantilena  tra le lacrime, mentre mi graffiavo la faccia e mi strappavo i capelli. Una cosa è certa: quello provato prima non era niente rispetto a questo dolore qui.

Strascichi di quella conversazione continuano a riecheggiarmi nella mente: «Non lo sappiamo ancora con precisione» mi ha detto Connor «Forse Linnet ha sospetti riguardo te e noi dell'Intelligence. Sembra essere un avvertimento nei tuoi confronti, stiamo indagando...capiremo perchè lo ha fatto. Te lo prometto, Olivia. Fermeremo questa donna e il male che sta disseminando»

La foto del cadavere ricoperto dal lenzuolo azzurro, che avevo visto nello studio di Connor, mi toglieva il fiato restituendomi l'ennesima verità.

Di quel pomeriggio non ricordo nient'altro. Ho passato giorni interi in quella stanza, ho abbassato le serrande e mi sono cibata solo di buio. Non volevo mangiare, dormire, pisciare.

Dopo ventiquattr'ore rinchiusa lì dentro, mi hanno ritrovato svenuta sul pavimento: mi sono risvegliata in quello stesso letto con una flebo al braccio. Attorno al mio capezzale Connor, Michael e Maurice hanno vegliato a turno su di me, la scheggia impazzita, per tutto il tempo.

Ho passato una settimana a letto con un ago in vena che mi nutriva al posto mio. Persino Abigail è venuta a controllare un paio di volte come stessi, piena di rimorsi. Avevano tutti paura che mi facessi del male da sola, non parlavo e loro si limitavano a farmi compagnia in religioso silenzio. Fuori dalla stanza, li udivo sussurrarsi animatamente parole preoccupate.

Ma pian piano, giorno dopo giorno, ho iniziato ad alzare le serrande delle finestre un po' alla volta, finché una mattina mi sono svegliata e ho lasciato che la sfolgorante luce del giorno riempisse la stanza. Erano le sei di mattina e dalla finestra ho visto la neve danzare placida per aria, prima di appollaiarsi sugli aghi sottili degli abeti.

Il mondo non si è fermato assieme a me.

Il respiro mi é ritornato regolare e mi sono strappata via aghi e vestiti sporchi con gesto secco. A piedi nudi, sono uscita finalmente dalla camera nella quale si è consumato il mio esilio, la mia catarsi.

Connor, seduto sul divano, ha sollevato lo sguardo dalle carte che stava attentamente leggendo, meravigliato. Senza lasciargli il tempo di dire nulla, ho finalmente parlato: «Sono pronta» gli ho detto: «Ma faremo a modo mio»

Sono passati due mesi da quella settimana buia, ed eccomi qui, a rivangare il passato distesa sul duro materasso della piccola camera che mi hanno assegnato, in uno dei miei rari momenti di riposo.

Talisia la mia compagna di stanza, irrompe riscuotendomi dai ricordi, festosa: «Olivia, alzati, è arrivata!»

Mi tiro su di scatto, con l'adrenalina che scorre nelle vene. Talisia mi afferra una mano, facendomi alzare dal letto e trascinandomi nel piccolo salotto della camera che condividiamo qui in Centrale. Da quando ho messo piede qui dentro, non sono più uscita fuori.

Al centro del piccolo tavolino troneggia una scatola nera, accuratamente sigillata.

«Come hai aperto la tua?» domando incerta, rivolta alla mia coinquilina.

«Devo usare la tua scheda magnetica, sciocca» dice ridacchiando, più entusiasta di me.

Mi porto una mano alla fronte: «Già è vero, che stupida!»

Comincio a frugare nella tasca della mia divisa sportiva nera e avvicino la scheda alla scatola nera di metallo, questa si apre con uno scatto elettronico degli ingranaggi interni ne rivela il contenuto: il mio fucile di precisione personale.

Mentre afferro il bigliettino presente nella scatola, vergato da una grafia familiare, Talisia imbraccia il fucile per provarlo: «Caspita Olivia, un M-K120! Il mio è un reperto bellico in confronto»

Le sorrido mentre apro il bigliettino giallo, leggendolo attentamente:

Sei ufficialmente la benvenuta tra noi, Josephine. Fanne buon uso.
P.s: Non dimenticare l'addestramento di domani.
—C.

Talisia, sbircia il biglietto, spiando dietro la mia spalla: «Ti hanno chiamata Josephine? Che classe!» esclama.

«Non ci posso credere, Talisia» rispondo, richiudendo la scatola: «È lo stesso nome in codice di Nikita»

OLIVIA Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang