Devo ammettere a me stessa che, quella che mi propone lui è l'unica opzione possibile e quindi, dolorante e depredata di tutti i miei pochi averi, abbandono la testa trai soffici cuscini del letto. Connor spegne la luce, poi si avvicina a me posandomi un bacio sulla fronte.

«Buonanotte» sussurra nel buio della camera da letto.

Le mie dita si aggrappano al bordo della sua camicia semi aperta, «Resta qui» lo imploro, attirandolo maggiormente a me. Non voglio rimanere sola stanotte.

Lo sento inspirare profondamente e rimanere immobile sotto il mio tocco. Dopo un breve momento di incertezza, avverto qualche lieve movimento nell'aria: immagino si stia liberando della camicia. Il materasso del letto si abbassa dolcemente, accogliendo il suo corpo e mi lascio scivolare al suo fianco. Mi accoglie in silenzio, cingendomi la vita con un braccio. Il calore del suo corpo è l'antidoto al mio malessere interiore. Mi calmo concentrandomi sul ritmo dei nostri respiri sincroni e sprofondo in un sonno pesante e senza sogni.

É la luce del sole che passa tra serrande a svegliarmi. Mi rigiro nel letto in cerca di lui ma ciò che trovo è il suo cuscino vuoto. Mi metto a sedere di scatto, l'antidolorifico deve aver fatto il suo effetto, perché riesco a farlo senza troppi problemi. Sulla panca, ai piedi del letto, è poggiata una pila di vestiti perfettamente piegata, con sopra un bigliettino giallo vergato da una grafia fitta e sottile.

Ti ho lasciato dei vestiti puliti e delle scarpe,

spero siano di tuo gradimento.

Ti aspettiamo di sotto per la colazione.

Non volevo svegliarti.

— C.

«Ti aspettiamo?» ripeto a voce alta tra me e me. Lancio il bigliettino sul letto, dopo averlo riletto attentamente, e mi dirigo verso il bagno per lavare via dal mio corpo i segni della terrificante nottata appena trascorsa. L'acqua calda lava via il sangue incrostato sui palmi delle mie mani, sui piedi e dalle gambe. Vorrei poter lavare via anche il dolore. Quando ritorno in camera, mi prendo un momento per fissare meravigliata i vestiti che mi ha lasciato Connor: devono valere una fortuna, non ho mai indossato niente di così costoso. Ripenso con nostalgia ai miei jeans strappati e ai miei anfibi neri, quando mi ritrovo a indossare un tubino verde scuro con le maniche corte e delle Louboutin abbinate. Scivolo dentro quei vestiti e quando mi guardo allo specchio non mi riconosco. Raccolgo i miei lunghi capelli in uno chignon basso e dopo aver lanciato un' ultima occhiata all' immagine della sofisticata ragazza riflessa nello specchio, esco fuori. Sono in ansia per la colazione, ma la presenza di Connor, inspiegabilmente, mi placa.

Al tavolo della sfarzosa sala da pranzo, sapientemente arredata in uno stile classico che gioca con le tonalità del bianco dell'oro, mi accolgono con un sorriso gentile Connor e un uomo di mezz'età, brizzolato e impeccabilmente avvolto in un completo nero.

«Buongiorno» li saluto entrambi, un po' nervosa.

«Papà» comincia a dire Connor,  senza staccare gli occhi da me, «Lei è Olivia Bowls, la ragazza di cui ti ho parlato poco fa»

«Piacere di conoscerla, signorina. Benvenuta a Villa Pence» risponde cordiale l'uomo, poggiando il giornale che stava leggendo sul tavolo imbandito per la colazione.

«Io sono Harnold Pence, il padre di Connor» si presenta.

«Piacere di conoscerla, signor Pence» rispondo con un sorriso tirato, ancora impalata sul ciglio della porta.

«Non startene lì. Vieni a sederti qui con noi» esclama Connor, facendomi un cenno con la mano.

Prendo posto a tavola sedendomi di fronte a padre e figlio e, superato l'iniziale momento d'imbarazzo, cominciamo a fare colazione. Harnold non fa alcun riferimento al motivo per il quale io mi trovi lì e non cerca in alcun modo di mettermi in imbarazzo. Connor avrà sicuramente avuto modo di rifilarli una scusa e lui sembra averlo assecondato senza farsi problemi. Mi domando se il loro rapporto sia sempre stato così, basato presupposto di non porsi troppe domande.

«Dove hai detto che è andata Rogerway?» chiede Connor ad un tratto, mentre è intento a spalmare la marmellata di albicocche sul suo toast.

Il padre indugia per qualche secondo, prendendosi il tempo necessario per finire di masticare la sua colazione:  «È andata da sua madre ieri sera. È rimasta lì tutta la notte: ha detto che si sentiva poco bene. Dovrebbe essere qui a momenti»

Poi, rivolto verso di me, si spiega meglio: «Linnet Rogerway... è la mia compagna»

«Capisco, signore» rispondo, abbozzando un sorriso di cortesia. Non faccio in tempo a concludere la frase una donna irrompe nella sala.

«Buongiorno» esclama la bionda, con una voce stridula.

«Linnet!» la saluta Harnold, girando la testa nella sua direzione.

«Rogerway!» gli fa eco Connor, roteando gli occhi all'indietro non appena la vede.

La donna si avvicina a passo spedito al nostro tavolo, posa le labbra sulle guance del compagno, per poi rivolgersi a me e a Connor: «Buongiorno. Connor, noto con dispiacere che il tuo sarcasmo è difficile da estirpare»

Una strana sensazione si fa pian piano largo in me, mentre le afferro la mano per presentarmi e la guardo per la primissima volta in viso. É molto più giovane di Harnold.

«Ti sta particolarmente bene il mio vestito, anche se ti vedrei meglio in rosso» mi dice sorridente.

Rimango pietrificata al mio posto, incapace di cominciare una conversazione con la nuova arrivata. Dinanzi al mio silenzio, Linnet si volta verso il suo compagno cercando con gli occhi una spiegazione alla mia presenza lì.

Ascolto distrattamente Harnold spiegare alla compagna il mio "essere un'amica di Connor che si è fermata a Villa Pence per la notte" ma la mia mente è completamente annebbiata, persa nell'analisi dei connotati facciali di Linnet. Diversi ricordi piuttosto recenti si sovrappongono gli uni sugli altri, facendo aumentare le palpitazioni del mio cuore. Un'amara verità, alla quale stento a credere, mi è appena stata sbattuta in faccia.

«Io andrei un attimo in bagno» dico alzandomi di scatto dalla tavola, sopraffatta da dubbi e interrogativi. Devo agire immediatamente.

M'infilo nel primo bagno che trovo lungo corridoio, non appena esco fuori dalla stanza, lasciandomi dietro gli sguardi perplessi dei miei commensali. Tiro fuori il cellulare dalla tasca del vestito e compongo un numero che ormai conosco a memoria. Dopo pochi squilli, la voce metallica di Iago, dall'altro capo del telefono mi risponde irritata: «Olivia, cazzo, ma dove diavolo eri finita? Ero in pensiero per te»

«Sto bene, Iago» lo rassicuro frettolosamente. «Mi serve un'informazione al volo»

«Ovvero?»

«Con chi avevi appuntamento ieri sera?»

«Non vedo perchè dovrei dirtelo, sono affari che non ti riguardano» risponde secco.

«Ti ho visto con una persona»

«E quindi? Era pieno di persone lì dentro!» sbotta spazientito.

«Rispondi solamente sì o no»

Dall'altra parte ricevo solo silenzio ma continuo, decisa: «Quella donna con cui parlavi ieri sera al bancone del bar...era per caso Linnet Rogerway?»

«Sì» commenta lapidario, per poi riattaccarmi il telefono in faccia.

Mi appoggio alla parete del bagno, con il fiato spezzato."Stavo cercando una persona" il ricordo della voce di Connor esplode nella mia testa, mettendo tutti i tasselli in ordine. Ecco chi stava cercando Connor ieri notte

OLIVIA Where stories live. Discover now