//Capitolo 17//

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1950, New York, Stati Uniti d’America
Fumare era la nuova tendenza allora e beh, Michael era un ragazzo particolarmente influenzabile. Portava dei pantaloni rovinati ed una semplice maglia bianca, come tutti d'altronde. Le sue nere e pesanti scarpe erano sporche di fango, ma non gli interessava. Ogni persona in quell’epoca era vestita così, comunque.
-Hai intenzione di finirla quella Mike?- chiese il ragazzo biondo. La sua voce era roca, apparentemente uno degli effetti del fumo era quello, anche se con Michael non sembrava funzionare –lui era un’eccezione.

Il ragazzo dai capelli neri fece un altro tiro e guardò il ragazzo più piccolo sorridente. –Si, ne vuoi una?-
Luke scosse la testa ed indicò le scale d’emergenza che stavano a pochi metri da loro. –Lei è quella giusta-
-Infatti- Michael concordò. Si muoveva come se la città fosse sua ed il blu nei suoi occhi gli faceva gelare il sangue. Il suo cuore stava battendo sulla sua cassa toracica come se volesse uscirgli dal petto, mentre le vene continuavano a pulsare violentemente. -Qual è il suo nome?-
-Clarice- Luke strappò la sigaretta dalla presa di Michael e se la mise in bocca. –Ansioso?-
Michael rise sotto voce alla domanda dell’amico e scosse la testa. Calciò un piccolo sassolino che si trovava vicino alla punta delle sue scarpe, finì molto vicino a Clarice. Lo guardò e sembrava quasi di stare in una scena di un film diretto da Audrey Hepburn. Il suo sorriso furbo ed il modo in cui il vento muoveva i suoi capelli fecero agitare Michael più del solito. Ora era determinato e parlarle. Fanculo alle regole.

-Ciao ragazzo- disse una voce vicina a Michael. Clarice ora era la, sorseggiando della cherry coke con una cannuccia flessibile. Sembrava appena uscita dalla copertina di una rivista. Con la sua maglia aderente, i jeans, i capelli scompigliati ed una giacca di pelle.
-Il mio nome è Michael, non ragazzo- non riusciva a capire da dove quella frase fosse uscita fuori. Da quando gli anni ’50 erano iniziati Michael era diventato più diretto e sarcastico. Solitamente l’avrebbe trovato maleducato, ma era cambiato molto durante gli anni, era il lato negativo di essere una fata.
Era strano stare sulla terra mentre non avevano nessun incarico al momento  li, però Michael la prese come una buona azione dal suo non-così-buon-amico Ashton. Faceva questo con le fate che secondo lui erano brave abbastanza.
Michael lo apprezzò, non voleva deludere ne Luke ne se stesso, ma Clarice se ne stava li in piedi con il suo fantastico sorriso ed il suoi bellissimi capelli ramati.
-Sono Clarice, ma penso che tu già lo sappia- era così così egocentrica e Michael ne era attratto.
Decise che una piccola bugia non avrebbe ucciso nessuno. –In realtà non lo sapevo-
Clarice ridacchiò dando un altro sorso alla sua bevanda prima di parlare di nuovo. –Immagino di non essere così conosciuta allora. Le persone  mi hanno mentito-
-L’hanno fatto. Non sapevo chi tu fossi fino ad ora. Davvero- bugie, bugie, bugie… Michael disse a se stesso. Ovviamente sapeva chi lei fosse prima di oggi.


Ora erano nella cantina del padre di lei, continuavano a baciarsi mentre le loro mani erano occupate ad esplorare ogni centimetro del corpo dell’altro. Michael  si dimenticò delle ali, della magia, si dimenticò anche delle regole e del motivo per cui ora si trovava li. Si dimenticò di tutto fino a che del fumo non apparì nella stanza accompagnato da un Ashton con un espressione severa ed un Luke deluso al suo fianco.
Clarice stava dietro di loro nervosa, pensava di essere diventata pazza a diciannove anni. Si pizzicò il braccio destro per verificare che il tutto fosse reale. E lo era. Di fronte a lei c’erano due ragazzi e il fumo che ricopriva l’intera stanza era troppo denso, quasi soffocante per lei. Michael si sentiva stupido ed orribile. Per una volta aveva pensato di poter essere normale, ancora. Per una volta aveva pensato che tutta questa storia delle fate fosse un sogno. Ma una fata era quello che era e lo sarebbe rimasto per sempre. Un fanta-genitore che aveva appena infranto le regole, proprio come aveva fatto il suo partner. Era una delusione per la sua famiglia ora.
-Cosa cazzo sta succedendo?- chiese Clarice. Confusione e paura erano le uniche due emozioni che riusciva a decifrare al momento. Tutto il resto era sfocato mentre la stanza continuava a girare.
-Penso che tu sappia quello che devi fare, vero Michael?- quella di Ashton era una domanda retorica. Il ragazzo con i capelli neri continuava ad annuire, mentre il suo corpo rimaneva completamente immobile davanti al divano. –Mi dispiace Clare- borbottò velocemente.

Michael guardò Ashton ipnotizzare la ragazza. I suoi occhi divennero completamente bianchi per alcuni secondi. Diede uno sguardo veloce a Michael ed al ragazzo vicino a lui prima di svenire sul divano. Per qualche ragione tutto questo faceva male. Dopo tutto, Michael era un ragazzo sensibile, guardare una ragazza –che secondo lui- era forte e piena di potere, sentirsi confusa ed insicura lo stupì.
Clarice non si meritava tutto ciò.


Michael pianse tutta la notte, il piccolo cuscino che gli avevano procurato era completamente bagnato. Luke lo guardò singhiozzare contando i respiri profondi che prendeva ogni tanto. La cella era uguale a come Luke e Michael se la ricordavano, solo gli anni e le circostanze erano cambiate.
-Luke, mi dispiace così tanto. Non avrei voluto farci finire qua di nuovo-
-E’ okay Mike, ti ho già perdonato-

WELLAHEYYYYYYYYYY
MichaEL CHE COSA FAI? 
che dolcino, regalatemi Michael Clifford grazeipregociao
GRAZIE PER I VOTI E I COMMENTI VVB RAGASSE MIE.
bon, evaporo che è meglio

Fairly oddparents ||traduzione italiana||Where stories live. Discover now