//Capitolo 25//

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2013- Seattle, Washington


-Mikey, voglio un cane- gridò Evan tra una risata e l’altra. Le sue piccole braccia avvolgevano il ragazzo dai capelli verdi mentre un largo sorriso compariva sul suo viso.
Michael amava questo bambino tanto quanto avrebbe amato suo fratello o suo figlio.
Luke guardò divertito i due mentre beveva un bicchiere d’acqua –avrebbe dovuto lavarlo poi, altrimenti i genitori di Evan si sarebbero fatti domande sue come un bambino di soli sette anni avrebbe potuto raggiungere degli scaffali così in alto; ancora-
-Amico, tre giorni fa hai chiesto una tartaruga ed ora come ora non ne è rimasto più niente- rise Luke.
Evan rise a sua volta, contagiato da Luke, mentre si preparava per saltare sulla schiena di Michael. Entrambi i ragazzi amavano Evan con tutto il cuore, era incredibile.
Per ora, era l’unico incarico che non aveva dato nessun tipo di problema ai due, era come uno spiraglio di luce in una stanza buia.
-Però ora voglio un cane! Così posso chiamarlo Cacca, perché marrone è il colore che ottieni mischiando rosa e verde-
-Ci stai chiamando cacca?!- Michael fece finta di sentirsi offeso, un gemito di sconforto uscì dalla sua bocca. Strinse leggermente una delle gambe di Evan. –Ora cadrai- la fata lasciò le gambe del bimbo per qualche secondo, lasciando che Evan si attaccasse al suo collo per assicurarsi di non cadere. Michael lo prese subito quando sentì uno strillo. Si girò a guardare un Luke sorridente prima di cercare un modo per guardare Evan (considerando che era ancora a cavallina su di lui).
-Scherzavo piccolo uomo, non ti lascerei mai cadere, e nemmeno Luke. Giusto Lukey?-
Tirando su con il naso e avvicinandosi alle uniche due persone a cui teneva nella sua vita, Luke roteò gli occhi e spettinò i capelli di Evan prima di rispondere: -Non ho ben capito di cosa stiamo parlando Mikey, però non lascerei mai andare questo bambi- Il suo discorso fu interrotto dal suono di una macchina da fuori.
I suoi genitori –di Evan- erano tornati.
Schioccando le sue dita, il bicchiere che aveva usato poco prima era ora pulito ed asciutto, nascosto tra gli altri bicchieri sulla mensola, mentre loro tre aspettavano con pazienza i genitori di Evan nella sua camera. La magia non lo deludeva mai.
-Abbiamo bisogno di allenarci amico. Rischio l’attacco cardiaco ogni volta che i tuoi tornano- disse Michael. Evan rise a bassa voce notando che ogni volta che un singhiozzo usciva dalla sua bocca, il suo petto si alzava e abbassava. Lo trovò divertente.

Michael e Luke erano piuttosto preoccupati quando –con passo regolare- camminavano avanti e indietro per la stanza di Evan, aspettando il ritorno della famiglia. Mai nella loro vita con Evan avevano dovuto aspettare così tanto.
Il loro ‘lavoro’ era quello di stare con lui tutto il tempo, ma questa volta li aveva pregati di rimanere a casa. Tra le due fate, la prima ora passò velocemente –si distraevano facilmente con le loro stesse battute stupide- ma dopo un po’ la tensione cominciò a diventare sempre di più, fino a diventare quasi palpabile.
Evan stava bene? Era tutto ciò a cui loro riuscivano a pensare.
Entrambi sapevano che la sua salute ultimamente non era al massimo, ma non sapevano del perché il piccolo bimbo decise di non dirlo ai due ragazzi.
Riservato non era esattamente l’aggettivo adatto per descrivere Evan, anche se ora, era forse l’unica parola adatta. Non era più se stesso –nemmeno con i suoi fanta-genitori- e fu questo a preoccuparli ancora di più.
Era chiaro che la sua mente era occupata dei pensieri che un bambino di sette anni non dovrebbe avere. Era sempre nervoso.
Il rumore –ormai conosciuto- della macchina dei genitori di Evan raggiunse le orecchie dei due. Michael e Luke si diedero un’occhiata preoccupata prima di schioccare all’unisono le loro dita e trasformarsi in due piccoli pesci rossi.
Si qualcuno avesse chiesto come mai questi pesciolini non erano ancora morti, Evan si sarebbe messo a ridere scuotendo la testa senza sapere cosa dire.

-Sei spaventato quanto lo sono io?- chiese Michael a Luke.
-Probabilmente-

***
-Fa attenzione!- Luke esausto implorò ad un Evan particolarmente spericolato.
Erano ormai passati due mesi da quando avevano scoperto –obbligando il bambino a parlare- che al loro piccolo angelo era stato diagnosticato il cancro.
Ora, Evan non aveva raccontato loro l’intera storia –loro pensavano che era perché era piccolo e non riusciva a ricordare molte cose- ma sapevano che era molto più delicato ora. Ogni tanto sveniva ed il cibo che mangiava di solito era ora proibito, lasciando spazio a piatti sani che i dottori avevano raccomandato.
Apparentemente, il suo cancro non lo aveva fermato dall’essere il solito bimbo senza controllo che era. Non lo aveva nemmeno fermato dal saltare sul divano o dal farsi il bagno alle 20:00 prima di andare a letto, dall’urlare ogni volta che vedeva una cimice e dal chiamarla poi con nomi tipo Carlos o Eugene. Non lo fermarono neanche dalla sua voglia di volare che puntualmente lo faceva sporcare il soffitto –che Michael e Luke si dimenticavano di pulire-
Roteando gli occhi ed incrociando le braccia al petto continuando a fluttuare nell’aria, Evan lanciò a Luke uno sguardo fulminante.
-Questo è esattamente il motivo perché non volevo che voi due veniste a sapere che stavo male. Mi trattate come se potessi rompermi se dovessi inciampare, non mi piace. Lo odio!-
A Michael non piaceva molto il linguaggio che il bambino aveva appena usato, ‘odio’ era una parola forte e dava una sensazione terribile. IL ragazzo dai capelli verdi aveva sparato a lungo che Evan non scoprisse mai il significato di questa parola, non voleva farlo soffrire.
Appena sentì i suoi occhi riempirsi di lacrime, Michael le mandò via sospirando. –Piccolo uomo, per piacere, stiamo solo cercando di prenderci cura di te. Vedi, a volte fai fatica a respirare e--
-No Michael, ha ragione, non dovrebbe interessarci- disse Luke secco, raggiungendo lentamente il terreno con i piedi e avvicinandosi al letto di Evan.
Evan era ora sdraiato nel suo letto con gli occhi chiusi. Onestamente, fu stata una fortuna che Luke non avesse detto qualcosa del tipo ‘dovremmo lasciarlo morire’. Dovette pensare un attimo prima di riprendere a parlare, ogni tanto non riusciva a controllarsi.
-Non parlare così- Michael lo rimproverò notando il modo in cui gli occhi di Evan –dopo essersi aperti alle parole di Luke- si chiusero lentamente. La luce che emanavano prima si stava lentamente dissolvendo.
Era triste.
-Evan, Luke è solo un po’ irritato, non ti arrabbiare anche tu- Michael ebbe un po’ di problemi nel trovare le parole giuste.
Evan scrollò le spalle alzandosi. –Non mi importa, mamma mi sta facendo da mangiare, sarò qui tra un po’-
Michael ora voleva piangere.
Luke ora voleva piangere.
Evan stava piangendo.
E stava anche pensando a cosa dire a sua madre quando lo avrebbe visto.
Si era fatto male al mignolo del piede, questa era la scusa.
Quello che lui non capiva –secondo Luke- era che loro erano molto più che preoccupati. Se avesse voluto usare una metafora per descrivere Evan avrebbe detto che era fragile quanto un foglio di carta. Dovevi stare attendo, altrimenti lo avresti strappato. Certo avresti sempre potuto provare ad incollarlo, ma non sarebbe più stato lo stesso – sarebbe stato rovinato.
La salute di Evan era più o meno così: un solo piccolo errore e tutto sarebbe andato perduto.
E Michael e Luke sicuramente non avrebbero voluto perderlo.

***

11 Ottobre 2013
Evan Johnson , sette anni, è stato ricoverato. Il cancro era troppo diffuso per fargli vivere una vita normale.

25 Ottobre 2013
I dottori e le infermiere hanno ormai perso le speranze. I genitori di Evan piansero tutte le lacrime che aveva in corpo.
Quello di Luke e Michael fu davvero un lungo abbraccio. Avrebbero voluto schioccare le dita e curare il bambino, ma non potevano.

27 Ottobre 2013
Tutti fecero i loro addii ad Evan, che nonostante tutto aveva un sorriso stampato sulle labbra. Quando a mezzogiorno gli orari di visita erano finiti ed i dottori avevano finalmente lasciato la stanza per lasciar che Evan si riposasse un po’, Michael e Luke apparirono nella stanza. Sorrisi triste sui loro volti.
Gli avevano portato –lo avevano fatto loro, con le loro mani, senza l’uso della magia- un costume da pirata.
Il bambino, dichiarò settimane fa di voler essere Jack Sparrow. Le due fate pensarono che sarebbe stato bello far avverare il suo desiderio- come avevano sempre fatto.
Evan guardò i due ragazzi, -Non lo voglio perchè—Michael e Luke continuavano a sussurrarsi parole poco gentili tra loro –perché voglio essere come voi. Voglio essere una fata. Mamma dice che sarò un angelo. Gli angeli sono okay? Anche loro sono ragazzi arcobaleno?-

29 Ottobre 2013
Evan Johnson, sette anni, morì la notte prima di Halloween.
Si dimenticò di portare i suoi guardiani con lui.
Perché –e questo non deve essere dimenticato- fate ed incarichi rimangono incatenati l’uno all’altro per sempre, non importa cosa succede

EVAN E' MORTO ):
GRAZIE ANCORA PER I VOTI E PER I COMMENTI <3
a 30 voti e 15 commenti aggiorno :)
Alla prossima belle

Fairly oddparents ||traduzione italiana||Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin