Capitolo 1

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Il giorno in cui sono morta

 Tutto iniziò durante una serata di mezza estate. L’aria afosa di Macerate mi faceva sudare come un maiale, e il ventilatore non aiutava. Proprio in quei giorni, aveva deciso di guastarsi. Naturalmente, quando qualcosa ti serve per forza non puoi averlo. Quindi rimasi lì, buttata sul mio letto con un libro in mano a strapparmi di dosso il pigiama per avere un minimo di sollievo. Chi ha provato lo sa: spogliarsi funziona solo per i primi istanti, poi il caldo torna. Mi alzai e poggiai il libro sulla scrivania. Lanciai un’occhiata alle lenzuola. Fradice. Ancora non sapevo quanto mi sarebbe mancato poter sudare. Corsi in bagno a farmi una doccia fresca e ci restai per un bel po’, finché mio padre non mi chiamò.

- Grid, il pranzo è pronto!

Mi vestii e scesi di corsa le scale, ritrovandomi in cucina. Fissai il tavolo, e il mio stomaco fece salti di gioia. Papà aveva cucinato le lasagne incassate, il mio piatto preferito. Lo vidi sbucare da dietro il frigorifero con due lattine di birra tra le mani.

- Buon compleanno, tesoro! – esclamò, felice come un bambino.

Ricambiai il sorriso, e non mi venne difficile dato quel che stavo per mettere sotto i denti.

- Oh, papà, hai fatto le lasagne!

Mi sedetti a tavola e il calore della pasta al forno mi incendiò il mento (metaforicamente parlando) e mi fece lacrimare gli occhi. Versai subito la birra fresca nel bicchiere e feci un brindisi con mio padre. Entrambi lanciammo un’occhiata al posto vuoto della mamma. Era il quinto compleanno che passavo senza di lei. Lo sguardo di papà si rabbuiò, perso nei ricordi, e io gli presi una mano tra le mie. Tra i due ero io quella più forte emotivamente e dovevo evitare che cadesse in depressione.

- Su, papà. Oggi compio sedici anni. La mamma sarebbe contenta, vuole vederci sorridere. – gli dissi.

Lui mi guardò, mandò giù un lungo sorso di birra e infine sorrise.

- Hai ragione, cara! Dobbiamo festeggiare. Allora che farai stasera?

Era da un sacco che non organizzavo una festa per il mio compleanno, ma per quel giorno Eva, la mia migliore amica, aveva, testuali parole, “preparato un festino che non si dimentica facilmente”. Probabilmente aveva invitato mezza scuola.

- Vado a casa di Eva. – risposi, ingozzandomi, mentre il sugo delle lasagne mi colava giù per il mento. Ci passai sopra il dorso della mano e continuai a mangiare.

- Ricordati di tornare prima delle undici. – disse papà, puntandomi contro la forchetta.

Come avrei potuto dimenticarlo? L’unica volta che avevo ignorato il coprifuoco lui si è messo a cercarmi per tutta la città credendo che mi fosse successo qualcosa di orribile.

- Non preoccuparti, non tornerò tardi. – dissi, cercando di tranquillizzarlo.

Non gli avrei più fatto prendere un colpo del genere. Lui sorrise, io sorrisi e il pranzo passò nella gioia più assoluta, tra cibo delizioso, bibite fresche e racconti di prima giornata. Io e mio padre non eravamo molto ricchi, lui aveva uno stipendio piuttosto basso, ma riusciva a mantenerci entrambi. E io sapevo come avrei risollevato il morale della famiglia: sarei diventata una scrittrice di successo. Il mio sogno era di riuscire a vendere tante storie quanto bastava per poter vivere almeno un po’ nell’agio, senza doversi preoccupare di risparmiare soldi sui vestiti e, soprattutto, sui libri. Sapevo che gli scrittori, soprattutto quelli emergenti, non guadagnavano molto, ma io miravo in alto, miravo a diventare una scrittrice di fama internazionale, come la Rowling, come Suzanne Collins. I libri italiani non venivano considerati molto, ma io ce l’avrei fatta. Subito dopo pranzo mio padre andò a farsi un sonnellino in salotto e io corsi in camera mia. Lanciai un’occhiata alla mia libreria. Tutti i volumi mi fissavano e mi urlavano “Rileggimi, ti prego!”. Distolsi lo sguardo.

- Non oggi, ragazzi.

Sì, parlavo ai libri. Ovviamente nessuno lo sapeva, ma lo facevo. Oltre ad Eva e a papà, avevo solo loro. Corsi alla scrivania e accesi il computer. Calcolai che avevo due ore, poi mi sarei dovuta preparare per la festa. Iniziai a scrivere il capitolo 23 del mio adorato fantasy, la mia seconda “opera”. La mia prima storia era una specie di rosa parecchio svenevole che solo mia madre avrebbe mai letto. L’avevo buttato via. Odio le storie sdolcinate, ma era un periodo difficile della mia vita ed era uscita fuori quella schifezza. Non mi accorsi che il tempo stava passando finché il telefono non vibrò accanto al pc. Sbloccai lo schermo senza guardarlo, poi lessi il messaggio.

Da: Eva

Ma insomma, tesoro! Vuoi farmi saltare tutto in aria? Non ho preparato la festa per un fantasma, devi esserci!

Subito gli occhi corsero a guardare l’ora. Le 19:17. Salvai il documento Word e spensi il computer in fretta e furia. Mi infilai alla svelta dei jeans neri, le All Star e una larga maglia bianca con la stampa MAD HATTER a fiammeggianti caratteri cubitali. Lo so, non sono un asso in fatto di moda, ma me ne sono sempre fregata. A papà andavo bene così, a Eva andavo bene così e a me andavo bene così ed era quello che importava. Mi diedi una veloce occhiata allo specchio. Avevo gli occhi rossi per le troppe ore al computer e i capelli sembravano un riccio. Li pettinai velocemente e il caschetto nero tornò alla normalità. In salotto salutai papà farfugliando qualcosa tipo “Sono altamente in ritardo”, poi mi precipitai in strada. Corsi a perdifiato lungo tutta la via. Eva abitava all’incrocio. Quando, dopo cinque minuti, raggiunsi il bivio, una voce acuta strillò dall’altro lato della strada.

- Muoviti, festeggiata! Gli invitati ti aspettano. – urlò Eva, agitando una mano per salutarmi da lontano. Dalle finestre di casa sua si scorgevano decine di persone. Come previsto.

Sorrisi, fermandomi a riprendere fiato. Ora, vi dico che ero sicurissima di essere sul marciapiede. Anzi, non ne ero sicura, ne ero completamente certa. Non capii come, ma un istante ero sul marciapiede e quello dopo ero in mezzo alla corsia. Guardai Eva, confusa. Era pallida come un lenzuolo e scrutava i due lati della strada. Capii che era quello che dovevo fare anch’io, dato che ero esattamente al centro della carreggiata, ma lo feci troppo tardi.

- Grid, spostati! – urlò Eva, con voce rotta dal panico.

Furono le ultime parole che sentii. Voltandomi a sinistra, vidi un camion enorme sfrecciare verso di me a una velocità pazzesca. I suoi fanali mi accecarono per un istante e l’unica cosa che riuscii a fare fu spalancare la bocca per la sorpresa. Fino a qualche giorno prima, mi piaceva pensare alla morte. Mi chiedevo come fosse, quale sarebbe stato il modo più doloroso di andarsene, se mia madre avesse sofferto. Vorrei poter dire che durante quel lungo istante avevo riflettuto su quanto fosse ingiusto il fatto che mio padre restasse solo e che ero troppo giovane per andarmene così, ma mentirei. L’unica cosa che pensai fu Perché?

Poi il camion mi venne addosso e tutto divenne buio.

La Scrittrice FantasmaWhere stories live. Discover now