Capitolo 8

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Trappola francese

Con quale criterio ci si inizia a fidare di un completo sconosciuto? Non ne avevo idea. Ma durante quella giornata passata nell’Oltretomba, nel Regno dei Re, capii che era meglio non fidarsi di nessuno. Il viaggio in quella terra fu decisamente più piacevole di quello nel Regno del Lupo. Se lì  l’avarizia, di cui era simbolo il lupo, aveva divorato ogni cosa lasciando solo un infinito bianco, qui tutto era piacevolissimo. I prati erano curati con la perfezione dell’erba sintetica, ma si poteva capire che era tutto vero dalla terra sotto i piedi. Ci abituammo presto alla cupola d’oro che era il cielo di quel luogo, e anche ai vari personaggi famosi che incontrammo lungo la strada. Strinsi la mano a Leonardo da Vinci e a Dante, e per poco non mi scontrai col naso di Cristoforo Colombo, che mi guardò piuttosto male. Alessandro Manzoni si unì per un po’ alla nostra combriccola, chiacchierando amabilmente con Vera, ma probabilmente il mio odio per i suoi Promessi Sposi trapelava da ogni poro del mio corpo, perché dopo un po’ si allontanò con aria infastidita. Subito dopo ci passò davanti uno schianto di ragazzo in armatura antica, forse greca, o macedone. Vera iniziò a saltellare, fissandogli esplicitamente il didietro, e mi spinse (letteralmente) a fare conversazione. Dopo non poche incomprensioni linguistiche, capii che il bel modello dai tratti scultorei era Alessandro Magno. Ricordai l’immagine di un mosaico nei miei vecchi libri di storia, che raffigurava un giovane uomo dal naso… indimenticabile. Oh, come si sbagliavano. Insomma, restammo non poco a tentare di fare conversazione con il Grande, ma probabilmente si stancò della nostra scarsa capacità di parlare il greco, perché dopo che Vera tentò di toccargli i bicipiti scappò via. Letteralmente. Io e lei ci guardammo negli occhi. Lei scoppiò in una sonora risata, che io subito imitai, altrimenti avrebbe capito. Sentimmo Edo dietro di noi sospirare, e quando mi voltai vidi che aveva nascosto il viso dietro una mano, scuotendo la testa e sussurrando qualcosa che suonava molto come “Donne”. Ci prese per mano e ci trascinò via. Continuammo a camminare e a camminare, e tutto sembrava andare bene. Sul serio, sembrava che niente potesse andare storto. Poi però incontrammo Napoleone. Stavamo passeggiando tranquillamente, quando a un certo punto vedemmo una specie di piccola legione avanzare a passo di marcia verso di noi. Scambiai uno sguardo con Edo, confusa, ma continuammo a camminare. Quando ormai era chiaro che non ci avrebbero fatti passare, incrociai le braccia e fissai l’uomo a capo della schiera. Era alto più o meno quanto me (ovvero non molto, per essere un uomo) e indossava un grosso copricapo simile a quello dei marescialli dei carabinieri, una feluca, forse. Nella giacca blu della divisa erano appuntate decine di medaglie colorate, a indicare la sua esperienza in battaglia. Mi fissava come se fossi stata un insetto parecchio fastidioso che non vedeva l’ora di schiacciare.

- Grid la Os. Che cognome ridicolo – disse, e subito lo odiai. Non solo per il fatto che avesse appena insultato il mio nome (che conosceva chissà come), ma anche perché la sua fastidiosa pronuncia francese rendeva ancora più seccanti le sue parole.

- E tu chi diavolo saresti, nanetto? – chiesi giusto per stuzzicarlo un po’, anche se avevo già indovinato chi fosse.

L’effetto su di lui fu esilarante. Fece un’espressione per metà come se gli stessero tirando le orecchie e per l’altra metà come se stesse facendo i capricci. Avrei detto rosso di rabbia, ma era bianco come un cadavere, come tutti noi altri.

- Come osi, ragassina? Io sono le grand Napoleone Bonaparte, Imperatore dei Francesi e Roi d’Italie! Dovresti inchinarti al mio cospetto!

Alzai un sopracciglio, cosa che gli diede ancora più fastidio. – Senti ometto, io sono morta, tu sei morto. I miei amici sono morti, i tuoi amici sono morti. Facci passare e vivi il resto della tua fine in pace e armonia a farti la guerra da solo, okay?

La Scrittrice FantasmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora