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Guardo passivamente la partita fino a quando qualcosa si sblocca in quell'enorme distesa di erba sintetica. Dusan ruba con agilità un pallone che serve a Federico Chiesa.

Scattano fino all'aria di rigore per scambiarsi nuovamente la palla che Dusan butta agilmente nella rete. Aveva detto che l'avrebbe fatto ed effettivamente ha reso realtà le sue parole.

Nonostante il momento di gioia, vedo il suo essere permaloso fuoriuscire in maniera plateale. Fa segno di averli zittiti tutti, anche se un gol non può bilanciare un inizio stagione non dei migliori. Capisco il voler zittire le critiche, ma non è questo il modo idoneo risultato ai miei occhi fin troppo arrogante.

Poco ci vuole per l'inter, che nemmeno troppo minuti di gioco dopo la pareggia con una splendida azione conclusa proprio dal capocannoniere, Lautaro.

Finisce così, come se questa partita a poco fosse servita. Un pareggio spesso per la gara scudetto è solo un inutile perdita di tempo.

Abbandono il mio posto in panchina per avviarmi direttamente nella zona interviste dove so già che Dusan verrà fermato. È il compito di ogni marcatore passare per di lì ed è compito mio supervisionare le parole dette.

Li vedo i suoi occhi brillare, nonostante non sia convinto di questo insulso pareggio. Voleva fare di più, però ha comunque contribuito molto più di altri a questa partita. Risponde a tutte le domande, chiarendo che il suo gol è niente se non ha aiutato la squadra a vincere e in lui rivedo un po' la passione di tanti altri che ho seguito.

Molti giocatori pensano solo a portare milioni a casa, lui invece gioca perché è rimasto ancora quel bambino innamorato della palla e si arrabbia perché poteva fare di più. Poteva segnare un'altra volta, ma va bene così. È molto simile a me in questo caso, poiché anche io voglio metterci molto di più di quello richiesto dal mio posto di lavoro.

Appena lo salutano, corre da me stringendomi tra le sue muscolose braccia. Non mi importa del sudore o di quanto sia sporco d'erba, mi lascio stringere accarezzandogli con dolcezza la nuca.

"Sei stato bravo"

"Non abbastanza"

Sospira quasi sconsolato nell'incavo del mio collo. Se non fosse per i tacchi che porto, non gli arriverei nemmeno alle spalle. È letteralmente un armadio e approfitta di questa sua fisicità sul campo.

Adoro come il suo profumo si riesca a sentire nonostante le ore passate a correre e a sudare e adoro ancora di più che quando scappa negli spogliatoi, io lo senta ancora sulla mia pelle.

Il mister mi convoca per parlare di questo fine partita, di cosa vorrebbe dire a riguardo e io cerco di accontentare sia lui, sia quello imposto dall'alto. Io so quanto ci tenga alla squadra, ha sempre avuto un occhio di riguardo per la Juventus eppure so che non è quello che serve al momento alla squadra.

Solo quando sono nel pullman mi tolgo finalmente quelle scarpe che hanno iniziato a farmi molto male. Sono convinta che passerò il viaggio in solitudine in quanto un pareggio provoca nei ragazzi l'amaro in bocca, portandoli così a preferire la solitudine e del sano riposo.

Invece mi trovo il serbo vestito di tutto punto a chiedermi se possa sedersi affianco a me. Non dice nient'altro e nemmeno io ne ho la forza, quindi poggio la mia testa sulla sua enorme spalla pronta ad accogliermi. Accarezza con dolcezza le punte arricciate dei miei capelli, cullandomi fino al sonno profondo. Che poi si fosse addormentato anche lui, lo scopro solo una volta arrivati.

"Thessa chiede se venite a cena fuori"

Ci si avvicina Manuel una volta scesi dall'autobus. Sto per rispondere che per me va bene, tanto non avrei avuto la forza di mettermi a cucinare una volta tornata a casa, ma vengo preceduta dal serbo che nega per entrambi.

"Abbiamo da fare"

"Ora voglio sapere però, altrimenti Thessa si arrabbia che scopro solo metà gossip"

Immagino la ragazza rimproverarlo per il lavoro fatto a metà, però nemmeno io saprei dare la risposta a questo nostro impegno.

"Dille che Dusan dice di farsi i fatti suoi"

Scherza allora il numero nove, approfittando poi per trascinarmi nella sua auto.

"Si può sapere che dobbiamo fare, Du?"

Poggia il suo zaino nel cofano della sua auto, andandosi poi a sedere nel posto del guidatore.

"Una promessa è una promessa, no?"

Sorrido ricordandomi solo ora cosa ci eravamo detti meno di una settimana fa. Mi avrebbe cucinato quei fantastici cibi tipici del suo paese che tanto decantava ed io stranamente ero più che eccitata all'idea di rimanere sola con il serbo.

Sarà la sensazione di protezione che ho sentito con lui quando ho incontrato nicolò o il semplice voler festeggiare il suo gol, ma qualcosa mi spinge a mettere su un tenero sorriso sulle labbra.

La sua casa già la conosco, ci sono stata più volte in gruppo ma mai da soli e stranamente ora mi appare nuova, ancora da esplorare. Lui si avvia ai fornelli solo dopo essersi messo una T-Shirt bianca e un paio di pantaloni della tuta grigi, mentre io cammino tranquillamente con una paio di calzini di spugna gentilmente offerti dal padrone di casa.

"Sai mentre facevo il gol sentivo la tua voce nella mia testa, mi urlavi come quando urli davanti alla partita del napoli e mi son detto devo segnare per forza, se no chi se la sente"

Scoppio a ridere a questa sua confessione bizzarra, ma che poteva tranquillamente diventare realtà se avesse sbagliato quel gol.

"Mi vedi come la cattiva dello staff, allora"

"No dai, la cattiva no. Diciamo che più paura di te ce l'ho del mister"

Non è per nulla una consolazione, tutti sono spaventati da Allegri e sapere di venire dopo di lui mi mette più o meno in alto alla classifica dei cattivi.

"Cioè stai lì a spronarci, a consolarci ma ehi i tuoi cazziatoni sono subdoli e manipolatrici. Ci fai sentire tutti in colpa, come se avessimo ucciso un cucciolo di cane. Fabio e Cambiaso hanno pianto alcune volte per colpa tua"

Quasi mi viene da ridere, ma mi fermo proprio per non apparire come lui mi ha appena descritto. Diciamo che una delle cose che mi ha insegnato Nicolò è proprio come toccare delicatamente i punti dove so che le persone ci tengono di più. Insomma devo saper far capire loro che hanno sbagliato, ma senza urlare come fa spesso il mister.

"Puoi tagliare le carote?"

Mi domanda poi e, sentendo il mio sbuffo, immagino che abbia iniziato a sorridere come suo solito. Fuori dal lavoro sono spesso svogliata e scansafatiche.

Mi alzo le maniche di quella camicetta ormai stropicciata, iniziando a tagliare con noncuranza le verdure. Con troppa noncuranza a quanto pare, poiché finisco per tagliarmi leggermente la punta del dito.

Subito lo metto in bocca "disinfettandolo" con la saliva ed è proprio così che mi trova Dusan appena si gira. I suoi occhi acquistano della malizia alla visione, eppure rimane tranquillo come prima.

"Sei un'imbranata, девојчица"

"Che?"

Lui non risponde prendendomi la mano e ponendola sotto l'acqua fredda che mi fa subito lagnare.

"Lascialo lì finché non smette di uscire il sangue"

Mi avverte mentre lui scompare andando nella zona notte della casa, ritornando pochi attimi dopo con un cerotto.

"Fa male"

Mi lamento in modo infantile mentre lui stringe un po' il dito per controllare che il sangue non fuoriesca più.

"La prossima volta stai più attenta"

"Gne gne"

Gli faccio il verso mentre con accurata delicatezza mi mette il cerotto. Lui mi sorride, mandandomi poi ad apparecchiare la tavola decretando che ero un pericolo pubblico in cucina.

➸Last first kiss || Dusan VlahovicDove le storie prendono vita. Scoprilo ora