𝐖𝐇𝐀𝐓 𝐅𝐋𝐀𝐖𝐒 𝐈𝐍 𝐓𝐇...

By levonnehati

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Perché è la passione che ci tiene vivi, che ci fa respirare a pieni polmoni questa libertà. È l'adrenalina de... More

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By levonnehati

«Ti vedo distratta zuccherino»
Linda mi passò un bicchiere umido di lavastoviglie.
Lo appoggiai sull'apposito ripiano e mi misi a preparare alcuni cocktail per la serata. Stavo cercando di risparmiare tempo prima dell'apertura del locale e di occupare la mente in qualche modo.
«No, è tutto ok» risposi con noncuranza.
La ragazza dai capelli corvini mi diede una squadrata inarcando un sopracciglio e continuò a spostare i bicchieri dalla lavastoviglie al bancone.
«Sarà»
Annuii sminuzzando delle foglioline di menta e mettendone alcune all'interno di un bicchiere.

«Stasera ci sono i Rantipole, preparati
all'assalto del locale» continuò lei con un sorriso sulle labbra.
Mi cadde una fetta di limone dalle dita e mi affrettai a raccoglierla per buttarla nella spazzatura.

Ero visibilmente nervosa, ed il fatto che sia la band, che il gruppo di amici di Valentine quella sera sarebbero arrivati al locale, non aiutava a calmarmi. Volevo solo cercare di rimanere intatta all'interno della mia bolla di apatia e silenzio, troppo impaurita dalle sensazioni, dai sentimenti e dagli affetti che da tempo avevo dimenticato.
Non mi sarei potuta andare a nascondere nei boschi dietro casa per poter scappare da qualche mandria di ragazzi ubriachi in cerca di divertimento. Quella sera ci sarei stata in mezzo fino al collo e no, non ero ancora pronta, anche se fino a pochi giorni prima pensavo tutto il contrario.

Forse aveva ragione Becca, non sarei dovuta ripartire così presto.
Forse non sarei dovuta ripartire del tutto.

«Già, me l'hanno detto»
Un'altra fetta di limone per terra.
Un'imprecazione sputata a denti stretti prima di lanciarla nella spazzatura.

«Dre, fermati un secondo» mi disse poi Linda, posando l'ultimo bicchiere sul bancone per prendermi le mani tra le sue. Immaginai mi stesse per fare un discorso rassicurante di quelli che dovrebbero farti sorridere e ripartire con il piede giusto, infatti abbassò la testa in cerca del mio sguardo e mi sorrise dolcemente come si fa con i bambini. Sospirai ricambiando il sorriso non troppo convinta.

«Sono solo nervosa. È da tanto che non lavoro in un locale affollato ed è solo la mia seconda sera, quindi...» cercai di svicolare distogliendo lo sguardo.
«Oh ma stai tranquilla ci sono io qua con te. E poi Marshall preferisce tenerti al bancone e non farti girare per il locale dato che sei nuova. Sarà ancora più facile vedrai»
Ricambiai la stretta ed annuii, soffiandole un «Grazie» prima di veder entrare nel locale Mason con un borsone in spalla.

Mise fine alle rassicurazioni di Linda e si abbassò gli occhiali da sole sulla punta del naso. Fischiettando, si avvicinò al bancone con sguardo da belva prima di regalare un sorriso ad entrambe.

«Uh lalà che abbiamo qua. Ci vedo doppio io o questa sera ho due bellezze al lavoro con me?»
Alzai gli occhi al cielo e lasciai le mani della ragazza dai capelli corvini con un sospiro, per tornare ad occuparmi del cocktail.
Pensai di versarci qualche goccia di tranquillante per cavalli e passarlo a Mason. Immaginai non se ne sarebbe accorto nemmeno se l'avessi fatto davanti al suo naso.

«Ed io invece vedo un solo cretino. Mettiti al lavoro» lo rimbeccò Linda lanciandogli uno straccio bagnato in viso.
Lei e Marshall avevano una fissazione strana per gli strofinacci. E la faccia di Mason era il bersaglio prediletto.

Camicia hawaiana alzò le mani in segno di resa e scomparve dietro alle porte della cucina.
«Sempre lo stesso» sospirò lei riprendendo la sua occupazione vicino alla lavastoviglie.
Marshall, neanche l'avessi chiamato, comparve poco dopo con due bottiglie, di quella che mi sembrò vodka, in mano.

Linda lo guardò distrattamente per poi rigirarsi e piantargli gli occhi in viso non appena si accorse di ciò che portava con se.
Me le posò davanti e mi sorrise prendendo tre bicchieri puliti dal bancone. Senza dire nulla, stappò una delle due e si mise a riempirli con noncuranza sotto al sorriso carico di stupore di Linda ed al mio sguardo confuso.

«Capo abbiamo qualcosa da festeggiare?» chiese lei, forzando la prima parola forse troppo strana da pronunciare.
«Mia cara, se non te ne fossi accorta abbiamo una nuova componente. Qualcuno dovrà pur renderle onore»
Così dicendo, mi passò uno dei tre bicchieri e fece lo stesso con lei, entusiasta di quella svolta inaspettata.

Lo ringraziai titubante e rimasi con lo shottino ancora a mezz'aria per qualche secondo, incerta sul da farsi, poi lo svuotai seguendo l'esempio della ragazza dai capelli corvini di fianco a me che si stava già riempiendo il secondo bicchiere.
L'alcool mi bruciò la gola impreparata e mi fece socchiudere gli occhi mentre cercai di controllare quel calore inaspettato che mi avvolse la bocca dello stomaco.
Ode ai russi.

Marshall si soffermò, aspettando il suo turno come ad una gara, con lo sguardo puntato fuori dalla porta d'entrata, probabilmente via, verso l'oceano. Mi chiesi a cosa stesse pensando, così assorto con il suo bicchiere in mano, gli occhi cristallini riflettere lo stesso azzurro dell'acqua.

Lo vidi riscuotersi sotto il peso del mio sguardo e regalarmi un sorriso rassicurante con tanto di strizzatina d'occhio.
«Un aiutino non fa mai male. Ci aspetta una lunga serata» e tracannò la sua vodka tutta d'un fiato.

Valentine entrò nel locale frizzante e briosa come non mai, accompagnata al seguito da Noah e dagli altri ragazzi conosciuti, chi più chi meno, quello stesso pomeriggio.
Io e Linda, ormai troppo impegnate a riempire bicchieri e servire alcolici a ragazzi e ragazze dalle età più disparate, ci accorgemmo del loro arrivo solo dopo che Noah ebbe fatto iniziare un coro al centro del locale.

Con urla ed insulti a spese del batterista, che immaginai fosse il famoso Nathan, stava incitando i Rantipole a salire sul palco ed io avrei solo voluto poterlo zittire ficcandogli un limone in bocca.
La mia testa stava esplodendo e Mason era appena scomparso, solo satana sapeva dove, in compagnia di una bionda, lasciandomi tutta la sua parte di bancone ancora da servire.

Fui tempestivamente bloccata da una ragazza dall'eye-liner pesantemente marcato che ordinò un Cosmopolitan.
La servii con noncuranza e la lasciai al bancone, troppo impegnata a premeditare un soffocamento alle spese degli amici di Noah che non accennavano a smettere di urlare.
Ci pensarono i Rantipole a zittirli al posto mio. Salirono sul palco portando scompiglio all'interno del locale, ma perlomeno riuscirono a calmare lui ed il resto della cricca di Valentine, che vidi sedersi ad un tavolo.

Lasciai perdere la ragazza al bancone ed il resto dei clienti per poter donare tutta la mia attenzione ai ragazzi appena saliti sul palco. Questa volta la calca di gente non si era ancora formata al centro del locale ed io feci appena in tempo a lanciare un'occhiata fugace verso la band, prima di sentire una leggera stretta allo stomaco.

C'erano tutti quanti, lui compreso.

Distratto, nei suoi anfibi slacciati e dalle stringhe rosse, stava accordando il suo basso con lo sguardo rivolto verso terra, i capelli neri a coprirgli il viso.
Quello che mi parve di capire, dal modo in cui si appropriò del microfono al centro del palco, fosse il cantante, gli diede una leggera gomitata nel fianco riscuotendolo dalla sua occupazione primaria.
Portò il suo sguardo dalle corde della chitarra al viso di quest'ultimo e dopo un breve scambio di battute, volse lo sguardo verso il resto del locale permettendomi una volta per tutte di studiarlo con maniacale attenzione e curiosità.

Riuscii a scorgere una trepidante attesa sul suo volto dai lineamenti marcati e taglienti, mentre con gli occhi osservava attentamente il suo pubblico. Fece saettare lo sguardo sul viso di tutti i presenti con un sorriso appena accennato, prima di passare al bancone ed accorgersi della mia presenza.

Si bloccò, per quella che mi parve un'eternità, con gli occhi che mi sembrarono quelli di un lupo, puntati su di me, ancora ferma con uno straccio in mano ed il grembiule stropicciato indosso. Incastrò il suo sguardo con il mio, un ciuffo rosso in mezzo a quella macchia di nero corvino che erano i suoi capelli, la mandibola serrata ed una sorpresa appena accennata in viso.

Sentii il suo sguardo, bucare quello che da tempo era diventata il mio piccolo universo in cui mi ero rinchiusa per proteggermi, e sentii il locale farsi improvvisamente silenzioso, quasi non fossi stata lì.
Il rumore di sottofondo mi arrivò ovattato alle orecchie e si zittirono quelle voci che, nella mia mente, da tempo non mi permettevano di rimanere sola.

Non si mosse, continuando a studiarmi attentamente mentre io come in trance, non feci altro che lasciargli libero accesso senza rifuggire dalle sue attenzioni, senza distogliere gli occhi dalla sua figura slanciata.
Lo feci entrare senza obbiettare, con la stessa facilità con cui l'avevo visto impadronirsi del suono la sera prima, senza render conto a nessuno, nemmeno a se stesso.
Percepii un formicolio all'altezza del collo quando lo vidi muovere un passo verso la fine del palco e mi ritrovai incastrata in quegli occhi che non avevano lasciato nemmeno per un secondo la mia figura.

Gli occhi di un lupo, affamato, in cerca della sua preda e pronto ad uccidere chiunque pur di non lasciarsela scappare. Due schegge di vetro che stavano riflettendo i miei amati boschi, radicati fin dentro le mie ossa, il colore del mio respiro.

Continuai a sostenere il suo sguardo, beandomi della sua attenzione che mi riscoprii a sperare non regalasse più a nessun altro, aspettando incerta, di poter scorgere qualcosa di simile a ciò che avevo visto la sera prima.
E fu in quel momento, dopo essermi impercettibilmente mossa anch'io nella sua direzione, senza nemmeno essermene resa conto, che notai la ragazza che avevo servito al bancone poco prima.

Si avvicinò con passo sicuro verso il palco ed attirò il suo sguardo su di lei, interrompendo quello che fino a poco prima mi aveva fermato il respiro in gola, il battito nel torace.

Gli prese delicatamente un braccio tra le dita affusolate e lo attirò più vicino a se prima di lasciargli un leggero bacio sulla guancia.
Gli sorrise e spezzò definitamente la connessione che mi era parsa di percepire poco prima, iniziando a parlargli animatamente.

Lui mi regalò un ultimo sguardo, lucente e forse speranzoso, prima di portare la sua completa attenzione sulla figura della ragazza di fronte a lui, che aveva iniziato a ridere, tenendogli ancora il braccio tra le dita.

«Lui?»
«Come?»
Mi voltai, sentendo la voce di Linda vicino all'orecchio, riscuotermi da quella trance in cui ero inesorabilmente inciampata. I suoni ed il vociare all'interno del locale tornarono a riempirmi le orecchie e la testa.
Troppo impegnata a sperare che quegli occhi percepiti poco prima, non mi lasciassero andare, non mi ero accorta del suo arrivo al mio fianco.

Stava in piedi, con il mento appoggiato sul palmo della mano a fissarmi, un sorriso birichino stampato in volto.
«Aiden, il bassista» mi disse con un cenno del capo in direzione del palco.

Aiden.

«Mh» risposi voltandomi verso l'entrata con ancora una straccio bagnato in una mano.
Le dita tremanti e forse anche il respiro.
«Mh? Solo "mh"?»
«Cosa dovrei dire?» chiesi guardandola in viso.
«Non lo so, mi aspettavo un "che figo" o roba così»
«No. Solo "mh"» risposi prendendo un bicchiere pulito dal ripiano.

«Vi ho visti poco fa»
«Chi?»
«Voi due»
«Nemmeno so chi sia»
«Allora dobbiamo rimediare»
Sbuffai mettendomi a cercare una bottiglia a caso in mezzo al ripiano degli alcolici senza degnarla di uno sguardo.
Linda non si mosse.
«Non ti toglieva gli occhi di dosso»
«Stava solo osservando il locale»
«Non è vero»
«Si invece»
«Andrea...»
«Linda?»
«Questi occhi non dimenticano» disse indicandosi il viso.

Sbuffai divertita, cercando di porre fine alla conversazione e continuai a cercare nel ripiano degli alcolici.
La ragazza dai capelli corvini si allontanò dal bancone per andare a servire una cliente non prima di avermi regalato un'occhiata complice.

Lasciai perdere le bottiglie colorate appena la vidi scomparire e lanciai un'occhiata fugace verso il palco, trovandolo ormai gremito di persone pronte ad ascoltare la prima canzone dei Rantipole.

Non si attardarono ad accontentare il pubblico e dopo essersi scambiati un cenno fra di loro attaccarono a suonare.
Percepii indistintamente le prime note della canzone, probabilmente rivisitata da loro, ma dopo aver sentito pronunciare le prime parole dal cantante, mi fu terribilmente più chiara.

"And I give up forever to touch you..."

Barcollai non sentendo più la terra sotto i piedi. Lo straccio mi cadde di mano, libero dalla stretta delle mie dita.

No. Vi prego, no.

Andai a sbattere contro il bancone con un fianco e mi ci aggrappai saldamente con entrambe le mani. Sentii una scarica fredda percorrermi la schiena e la testa iniziare a girare.

"...cause I know that you feel me somehow"

Chiusi gli occhi con forza, sperando di spaccarmi le iridi e far esplodere i timpani per non sentire più nulla. Il vociare all'interno del locale divenne improvvisamente insopportabile, una coperta di catrame gettatami addosso a tradimento.

Basta, basta.

Il petto mi si abbassava freneticamente in una corsa matta contro il battito cardiaco, dove il vincitore, sembrava dovesse essere chi mi avesse spezzato in due per primo.

"...you're the closest to heaven that I'll ever be and I don't wanna go home right now."

Sentii la gola chiudersi, la saliva diventare improvvisamente acida ed il freddo stringermi le gambe in una morsa. Dovevo uscire da lì, allontanarmi immediatamente da quelle parole, da quella canzone.

Alzai lentamente il volto, tenuto basso a fissare la punta degli anfibi fino a poco prima, e feci saettare lo sguardo per tutto il locale cercando Linda.
La trovai verso il fondo del bancone, intenta ad ascoltare i Rantipole.

Feci uno sforzo enorme ed alzai una mano per attirare la sua attenzione cercando di risultare naturale il più possibile.
Mi vide, ed appena le feci capire che mi sarei allontanata un attimo, barcollai con il fiato corto verso le porte della stanza sul retro.

"And all I can taste is this moment..."

Un singulto mi smorzò il respiro e la testa iniziò a pulsare, le gambe cedere sotto il peso del mio corpo diventato ormai di ghiaccio.
Arrivai a tastoni nella stanza ed intravidi, colui che mi sembrò Mason, fare cenno ad una bionda di sedersi a cavalcioni su di lui.
Appena mi vide il suo sguardò cambiò e notai un accenno di disappunto e sorpresa coprirgli il volto.

Credo mi disse qualcosa, forse mi chiese cosa ci facessi lì, ma non riuscii a sentirlo distintamente. Caracollai fino alla porta del parcheggio sul retro e la aprii appoggiandomici di peso, uscendo finalmente dal locale all'aria umida e calda della sera.

Sentii una voce provenire da dietro la porta, forse chiamò il mio nome, forse si trattava invece dei Rantipole che imperterriti stavano continuando la loro canzone, non riuscii a distinguere bene le parole, il tutto mi arrivò smorzato ed ovattato alle orecchie.

Non percepivo alcun suono, se non il testo della canzone nella mia testa ed una voce gentile continuare a cantarla.
Sentii il fiato iniziare a correre, sempre più veloce, quasi volesse uscire dal mio corpo, liberarsi da quella stretta e sparire sotto la luce della luna.

Mi portai le mani sul viso e picchiettai, cercando di essere il più leggera possibile, prima sulle guance, poi scesi sulle clavicole ed infine mi fermai sulle ginocchia, impazzite anche quelle sotto l'effetto di una scarica elettrica fin troppo forte da sopportare.

Mi chiamo Andrea iniziai a recitare mentalmente, cercando di ricordare la lista di frasi da ripetere per poter percepire ancora la realtà e capire di essere ancora lì, con la schiena contro il muro freddo del locale.

Ho ventun anni.
Vivo a Forks.

No, bugia.

Iniziai a tremare ancora più forte e mi resi conto solo in quel momento delle guance rigate di lacrime e delle unghie conficcate a forza nei palmi delle mani. Cercai di aprire lentamente le dita e muoverle una dopo l'altra, in sequenza, ripartendo da capo con la lista ma capii che ormai nemmeno quella aveva più senso. I miei punti saldi erano stati spazzati via.

Continuai a fremere, come un animale in gabbia, con il panico che mi urlava nelle orecchie che niente e nessuno mi avrebbe potuto salvare. Mi stavo uccidendo da sola, come una rivolta, una ribellione che parte dall'interno di cui nessuno sa nulla fino a che ad un tratto, silenziosa ed invisibile agli occhi di tutti, esplode.

Un fragore assordante che solo una persona può sentire, ed io lo stavo sentendo quel fragore, cazzo se lo stavo sentendo. Mi urlava nella testa, prorompente come non mai, mi stava scalfendo le ossa e mi stava facendo battere i denti, accartocciata su me stessa con gli anfibi a battere ripetutamente sull'asfalto crepato, mentre le gambe strette al petto dalle braccia, non la smettevano di tremare.

Quella volta il panico ed il terrore mi urlarono che non ce l'avrei fatta. Io da sola, urlavo che non ce l'avrei fatta. Non sarei riuscita a salvare Andrea un'altra volta, ero stanca, allo stremo delle mie forze e con più nulla per cui lottare e cercare di rimanere ancora aggrappata a quella vita.

Il mio corpo, il mio involucro materiale stava implodendo su se stesso mostrando la prigione che era, io la mia stessa carceriera, la stessa bomba ad innescare il tutto. Mi ripetei nuovamente, come avevo già fatto altre centinaia di volte che tutto sarebbe finito in un attimo e sperai, come tante altre innumerevoli volte, di non svegliarmi più dopo quell'attacco.

Sperai di non aprire più gli occhi, di non vedere più la luce della luna illuminarmi il volto bagnato dalle lacrime, e di non sentire più nessuna voce cantare. Sperai di poter chiudere finalmente tutto, di poter porre una fine a quella vita e magari incominciarne una nuova.

Se così non fosse stato mi sarei dovuta risvegliare nuovamente e nuovamente cercare di tirare avanti. Percepire in qualche modo che ero ancora viva e che non si trattava solo di un brutto scherzo giocatomi dalla mia testa.
Risvegliarmi, capire cosa ci fosse all'esterno, percepire a forza quelle sensazioni dormienti ormai da tempo.

Riprendermi il mio respiro, sentirmi ancora parte di quel mondo, ancora effettivamente viva, in qualche modo, qualsiasi esso fosse.
Dal cercare di finire ammazzata sotto ad un'onda allo spaccarmi le nocche contro il muro fino a sentire il dolore lancinante e la percezione del qui ed ora data da esso.

Sentii gli occhi andare in frantumi e le mani muoversi impazzite, sfuggendo al mio controllo mentre ancora una volta, sperai di non riaprire più gli occhi e di non sentire più il terrore darmi la caccia e stringermi le budella in una morsa, ogni qualvolta avessi anche solo per pochi secondi, perso il controllo.

Sentii quello ed altro, ormai rinchiusa in un mondo non più appartenete a quell'Universo, prima di percepire, lontana, una porta sbattere violentemente, e le mie palpebre diventare troppo pesanti per poter essere rette ancora una volta.

note:
3217 parole.
credo di essere impazzita.
ma EHI mi sono fatta perdonare per l'assenza e godetevele tutte quante perché non succederà mai più.

dopo aver ripetutamente pensato di eliminare la storia spero di potermi ricredere, perché buttare via tutte queste lettere sarebbe uno spreco, quindi, ci si vede al prossimo capitolino :)

(lasciatemi qualche commento per farmi capire che ne pensate PLS. grazie, VI ADORO, me ne vado)

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