IL CORAGGIO DI RESTARE (In co...

By SarahAdamo

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Nina Steffens è una giovane ragazza di 23 anni che vive a Manhattan assieme a sua madre, dipendente dall'alco... More

#ANGOLOAUTRICE
Cast + Trailer
Prologo
1. Una nuova vita
2. La svolta
3. Coincidenze
4. Un brutto scherzo
5. La speranza
6. Il fato
7. La scommessa
8. Proviamoci
9. Una possibilità
10. Il pericolo
11. Petali e segreti
12. Tentazioni
13. Mente e cuore
14. In trappola
15. Il Banchetto
16. La fragilità del buio
17. Indecisioni
18. Cena a base di cheesecake
19. Conclusioni affrettate
20. Bisogna lavorarci sodo
21. Punto di incontro
22. L'inizio
23. Quei gesti improvvisi
24. Natale con i suoi
25. La sorpresa
26. Il compleanno di Derek
27. Una notte insonne
28. L'influenza
29. Talento nascosto
30. Il bacio
32. Pagine strappate
33. Dichiarazioni
34. Dessert
35. Parigi
36.Irresistibile
37. Bollenti spiriti
38. Una pioggia di debolezze
39. La ruota panoramaica
40. Decisioni importanti
41. Come neve al sole
42. Monopoli
43. Il profumo
44. Visite inaspettate
45. Amicizia
46. Nasce una stella
47. La città proibita
48. Piccoli passi
49. Dimmi la verità
50. I primi sintomi
51. Non è più lo stesso
52. Mi manchi, e tu?
53. Il passato
54. Non allontanrmi di nuovo
55.London Eye
56. L'orgoglio da parte
57.Come riavvolgere il nastro
58. E se fosse un'occasione?
59. Susan, occhi da cerbiatta
60. Persecuzioni
61. Tutto cambia velocemente
62. Festa d'addio
63. Notizie flash
64. Il riflesso nel dipinto
65. Indizi
66. Ripensamenti
67. La rielaborazione del cuore
68. Noi due e un Garofano
69. La nuova coppia
70. Riconciliamoci

31. Cocci rotti

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By SarahAdamo



"La verità è come il sole: fa bene finché non brucia."
(Emanuela Brenda)



Mi ero categoricamente chiusa nella mia camera, stanca e afflitta di dover avere a che fare con una persona dalle orecchie tappate e il cuore cucito, ero stanca delle persone difficili che la vita mi poneva davanti avevo bisogno di tranquillità, fiducia, pace. Mentre pensai a queste tre possibilità il cellulare segnò l'arrivo di una chiamata la quale stranamente non aveva un nome, il numero non lo avevo salvato nella mia rubrica. Distesi il braccio lungo il comodino di legno bianco affinché potessi recuperare il cellulare e tornare a gambe incrociate sul comodo materasso.
-"Pronto?"- sorrisi cordialmente, ma quest'ultimo svanì quando dall'altra parte della cornetta non udì esattamente nulla, bensì il silenzio. Corrugai le sopracciglia e mi sollevai col busto dal cuscino per essere più attenta.
-"Pronto??"- ripetei insistente. Ancora nulla, scostai il mio motorola per controllare che non avessero staccato la chiamata, questa continuava ma senza alcun suono. Decisi che forse si sarebbe potuto trattare di uno scherzo, svogliatamente riagganciai e fiondai il capo nel cuscino. Erano le dodici in punto, il primo gennaio duemila dodici solitamente si festeggia pranzando a casa di persone care mangiando manicaretti e cibi deliziosi a grande volontà, io invece ero a New York a Lower Side in casa di un ragazzo maleducato e bipolare il quale odiava la sua famiglia e le feste che l'anno proponeva. Ci saremo arrangiati con ciò che vi era in frigo, controvoglia decisi che era il momento di scendere di sotto sperando con tutto il cuore di non trovarci Alice. Dovevo mettere su la pentola, d'altronde non avevo neanche potuto fare colazione.
Quando fui al piano di sotto, mi rasserenai non percependo il profumo e gli schiamazzi di quella donna, ma bensì un delizioso silenzio. Soddisfatta, mi recai in cucina dove cominciai a rovistare nei mobili e nel frigo in cerca di qualcosa di opportuno da poter mangiare il primo dell'anno.
-"Che cosa stai cercando?"- la roca e profonda voce mi fece sobbalzare tanto da urtare col capo contro lo spigolo dell'anta rimasta aperta sopra di me.
-"Ahia.. cazzo"- imprecai, massaggiandomi la parte dolorante.
-"Non hai risposto alla mia domanda però"- ridacchiò malevolo senza neanche chiedermi se mi fossi fatta male o meno.
-"Cerco qualcosa da cucinare"- sbottai, rivolgendogli uno dei miei sguardi peggiori. Tornai alla mia ricerca, soltanto dopo mi accorsi che era vestito di tutto punto con un maglione verde bottiglia e dei jeans larghi.
-"Mio padre ci ha invitati a pranzo, in realtà ha inviato soltanto te ma onestamente non mi va di mangiare hamburger e patatine per pranzo, quindi  per tuo enorme dispiacere verrò anch'io"- sbarrai gli occhi, richiudendo tutto ciò che avevo aperto mi sporsi sull'isola della cucina sorridendogli di sghembo.
-"Mi stupisco che non ti abbia inviato"-sarcastica provai a sorridergli, egli mi si avvicinò si scorse sul pianale con le braccia arrivando a sfiorarmi perfino la punta del naso.
-"Sei perfida oggi, perché?"- sganciò uno dei suoi sorrisetti perfetti e beffardi.
-"Io non sono perfida"- sbuffai, sperando disperatamente che fossero rimasti uno o due pancake. Guardai ovunque, sul pianale di marmo sulla cucina, e nel microonde ma quando egli mi si avvicinò e dal frigo tirò fuori un piatto con dei pancake e sopra spruzzata della panna, lì porse sull'isola e soddisfatto tornò al suo posto, allo sgabello alto di fronte alla mia figura spossata. Cercando di non dargli ulteriori soddisfazione, storsi naso e ingerì il primo pezzetto di impasto.
-"Si che lo sei, specialmente oggi"- ribattè umettandosi le labbra.
-"Forse perchè non mi hai lasciata dormire, forse perché hai fatto sesso in salotto con una troia Der"- fui ironica, ero stanca di arrabbiarmi di continuo avrei mantenuto il punto, in silenzio e non dandogli troppo interesse.  Scoppiò a ridere di gusto, coprendosi la bocca con le mani.
-"Oh.. quindi hai sentito tutto?"- trattenne un ghigno, non fu per niente imbarazzato bensì divertito.
-"Si, direi di sì"- sbottai nervosamente, immergendo un altro pezzo di dolce.
-"Be' potevi unirti a noi, non ci hai pensato?"- la fame mi era di colpo passata, per far spazio ad una strana sensazione di nausea persistente, egli rise a fior di labbra per la mia probabile espressione esterrefatta.
-"Sto scherzando Nina, devi sorridere sei più bella te l'ho sempre detto"- rubò un pezzetto di impasto dal mio piatto e prima che potessi recuperarlo lo stava già masticando per bene.
-"E adesso va a vestirti Timor sarà qui entro mezz'ora"- così dicendo, osservó il Rolex al suo polso, e si andò a sistemare probabilmente sul divano. Mi era passata la fame ormai, scostai con un movimento di ribrezzo il piatto in ceramica e datone l'ora decisi che dovevo andare a vestirmi. Non ero molto entusiasta di andare dai McCarthy, il primo dell'anno segnava per me una nuova svolta ma anche il rimembrare degli eventi passati tutto ciò che avrei potuto evitare o sopprimere, gli errori stupidi e le occasioni mancante. In oltre ero in collera con uno dei suoi familiari, anche se d'altronde Derek era libero di scoparsi qualsiasi donna su questo pianeta purché non lo facesse apertamente nel nostro salotto disturbando quel sonno già contaminato e difficile da afferrare. La mia vita stava così cambiando drasticamente che non riuscivo più a capirne il verso, di colpo ero andata a vivere con una persona che di continuo faceva tornare vivo il mio passato, una persona tanto simile quanto lontana, dalla quale vorrei scappare ma che fa tacere i miei demoni notturni. Ero arrivata a New York da sola, senza sapere che John McCarthy direttore della Cartier Maison m'avrebbe fatta partecipare ad una sua sfilata mondiale, ricevendo addirittura dei complimenti da dei veri stilisti. Ero pronta, volevo disperatamente vincere quel concorso e fare della mia passione il mio lavoro, volevo vivere di moda respirare di moda ed essere la nuova era proprio come Coco Chanel. "Hai talento" mi avevano detto, sperai di avere altrettanta fortunata anche se passando dalle stelle alle stalle ero già sulla buona strada.
Faceva un freddo cane quel primo gennaio, così indossai al di sotto dei jeans un paio di calze nere e spesse e un maglione pesante. Per tutto il tragitto in auto Derek non mi aveva rivolto parole ne tanto meno lo avevo fatto io regnava un insormontabile silenzio quasi fastidioso. Si accese una sigaretta e soffiò il fumo per fortuna fuori dal finestrino. Riconobbi immediatamente quella leggera strada collinosa dove sorgeva la dimora dei McCarthy lussuosa fiera e gigantesca pensai ai mesi di luglio a quanto sarebbe stato emozionante e bello poter fare un tuffo in quella grande piscina e distendersi successivamente al sole con fra le dita un cocktell a base di ananas. Fantasticando, arrivammo all'ingresso dove Timor gentilmente ci aprì la portiera l'ultima volta che vi ero stata la notte regnava sovrana e con la luce del sole quell'architettura assumeva tutt'altro carattere.
-"Non sbavare troppo Stefens"- sussurrò il ragazzo, una volta che i miei piedi si erano conficcati nel prato osservando puntigliosamente ogni angolo della struttura. Mi passò di fianco, e salí la piccola scalinata che portava all'entrata principale.
-"Non sto sbavando, idiota"- sbottai silenziosamente ma il suo sorriso malevolo mi fece intendere che in realtà mi aveva sentito.
-"Salve, benvenuti"- l'uomo dai capelli grigi e l'abito elegante ci accolse all'uscio distinto e con le braccia dietro la schiena.
-"Francois, mio padre ti fa sgobbare come al solito non è vero"- così dicendo l'oltrepassó mi parve quasi che l'uomo fosse abituato a determinati atteggiamenti e risposte simili, come era di mia consuetudine fare gli porsi un leggero inchino.
-"Buongiorno Francois"- sorrisi cordiale.
-"Buongiorno anche a lei, prego mi dia il cappotto"- mi liberai dell'indumento datone che in quella dimora il calore riusciva a spandersi perfettamente quasi come se ci fosse un vero camino, c'era?
Prima che il governante potesse fiatare, il ragazzo lo bloccò sul nascere afferrando le mie dita e tenendole strette fra le sue, ebbi un sussulto quasi avevo dimenticato quell'incantevole fastidioso tepore.
-"Grazie Francois conosciamo la strada"- sgarbato come al solito, a passo spedito ci allontanammo dall'ingresso ricordai quella parte della casa addobbata per la festa e le persone distinte che vi camminavano a destra e a sinistra, l'enorme scala a chiocciola m'affascinava avrei voluto visitare ogni piano di quella casa. Ci ritroviamo in un lungo e largo corridoio composto da pareti bejie e quadri d'epoca.
-"Potresti essere più gentile con quell'uomo Derek"- sbottai acidamente, ignorando il fatto che egli continuasse con nonchalance a tenermi per mano.
-"Mi conosce da quando sono nato Nina non si scandalizzerà di certo"- mi rivolse un mezzo sorriso, che contagiò anche me cercai di nasconderlo ma egli lo aveva già catturato e conservato. Arrivammo in sala da pranzo, l'enorme tavolo rettangolare e le candele alte come centrotavola ospitavano John a capo, sua figlia e il suo genero. Mi sentì imbarazzata, io e Derek non eravamo fidanzati e per John vedere entrambi i suoi figli seduti a tavola con la rispettiva compagnia del sesso opposto doveva essere gratificante. Fui troppo impegnata a pensare per poter scorgere la figura troppo familiare seduta accanto a quest'ultimo, che schiamazzava e teneva la mano della donna.
-"Mamma!!"- strillai esterrefatta, tutti gli invitati si voltarono nella mia direzione, mollai la mano del ragazzo che ormai aveva raggiunto il petto per lo stupore. Ero infastida, disgustata del fatto che mia madre mi ignorasse completamente per uno dei suoi soliti uomini.
-"Salve a tutti"- ironico, Derek si accomodò accanto al posto lasciato libero per me. Ero rimasta in piedi, pietrificata.
-"Ciao tesoro scusami non ho avuto il tempo di avvisarti, sai è stato deciso tutto con troppo poco preavviso"- con ribrezzo osservai pezzo per pezzo il vestito color corallo che indossava, troppo fine nuovo ed elegante per lei ero abituata a vederla con abiti succinti e volgari o semplice sciatta sul divano a bere la sua bottiglia di tequila in quella lurida casetta di Manhattan.
-"Dove hai preso quel vestito?"- ringhiai, mi pentì di essere risultata maleducata agli occhi di John e della sua famiglia senza averli salutati.
-"Questo? Oh John è stato così carino da prestarmi un po' di soldi per rifarmi il guardaroba ma non è un tesoro?"- ridacchiò, strofinando il suo nasino con quello dell'uomo. Respirai a fatica, Derek prese a guardarmi sconcertato una volta ritornato serio.
-"Stai scherzando spero.."- risi nervosamente.
-"No cara, ma su siediti ho una fame da lupi"- a quella frase venne aggiunto un calice di vino rosso scolato tutto in una volta. Mi avvicinai al tavolo, vi sbattei sopra le mani sporgendo il mio corpo verso quello di mia madre seduta e avvinghiata accanto a John.
-"Tu non puoi soffiare i soldi a questa famiglia hai capito? Non puoi, sono contenta che tu abbia mandato a fanculo Richard ma non puoi adesso venire qui e credere di essere quel tipo di donna mamma"- forse stavo esagerando, ma mia madre dopo che mio padre ci aveva lasciate per un'altra donna non ne ha voluto più sapere di me o della mia educazione del miei bisogni, mi aveva abbandonata a me stessa pur vivendo sotto lo stesso tetto. Si era sempre comportata come se mio padre mi avesse portato con se, soltanto quando cominciai a lavorare ella si accorse di me o come meglio dire, dei miei soldi. Era venuta a conoscenza di Robert, ma pur tornando a casa con il sangue al labbro e il naso rotto continuava a tenere incollate le sue labbra alla bottiglia di un qualsiasi liquore.
-"Adesso basta stai esagerando, John è un brav'uomo Nina"- mia madre si alzò sfidandomi, percepivo le lacrime agli occhi ma non potevo di certo piangere lì davanti a tutti.
-"Proprio per questo.. non merita una come te"- quelle parole, qualche secondo dopo vennero offuscate da una forte pressione che percepí sulla gota destra, mia madre mi aveva dato uno schiaffo.
-"Kate!!"- esclamò l'uomo sconcertato, alzandosi in piedi. Gli occhi di ella si riempirono di lacrime, tremava come una foglia e anch'io d'altronde. Mi massaggiai la parte dolorante, mia madre non mi aveva mia picchiata in vita mia.
-"Nina.."- sibilò Kristie con occhi rammaricati, Derek provò disperatamente ad afferrarmi la mano ma la scansai, mia madre a testa bassa tornò al suo posto, mi sentivo in colpa nell'aver scatenato un terribile episodio proprio il giorno del primo gennaio, il giorno del nuovo inizio. Mi asciugai immediatamente quella lacrima fuggitiva, un dolore all'altezza del petto cominciò a diffondersi piano fino a farmi sentire una pessima persona. Senza che me ne resi conto, avevo abbandonato la sala da pranzo, mancando di rispetto a John e alla sua famiglia. Derek forse non aveva tutte le colpe la rabbia era davvero difficile da controllare.

Non conoscevo molto quell'abitazione, ma un posto in solitudine lo ricordavo. Inserì il cappotto e il necessario per non morire assiderata in giardino e quando l'aria fredda di gennaio mi colpì in viso avrei voluto sprofondare in un enorme baratro. Sedetti sull'altalena di ferro rossa e cominciai a dondolarmi lentamente, leggeri fiocchi di neve iniziarono a schiantarsi sul suolo erboso riaprendolo di bianco. Mi strinsi nel cappotto, nonostante i gradi sotto zero quella brezza fredda cominciai a sentirla di meno, per via probabilmente della mente continuamente in viaggio. Tentai di inviare un messaggio a Megan liberandomi un paio di dita dai guanti, le dissi che mi mancava che mi madre era tremenda come al solito, sperai che mi rispondesse.
Tre quarti d'ora più tardi probabilmente, udì dei passi pesanti e come potei non riconoscere la forte pressione di quegli anfibi. Il ragazzo incappucciato si accomodò al sedile accanto al mio e iniziò a dondolarsi.
-"Tutto bene?"- quella voce ovattata e coperta dalla sciarpa spessa mi fece sorridere mentalmente. Tirai un grande sospiro.
-"Si.. credo di sì"- adagiai il capo agli anelli di ferro, per fortuna quel giorno avevo indossato anche il berretto di lana.
-"Ne sei sicura?"- si sporse maggiormente cercando di indagare nelle mie iridi chiare.
-"No"- sentenziai, spazzando via con la punta delle mie scarpe un granulo di neve.
-"È stato parecchio forte.. quello schiaffo"- non risposi subito, probabilmente Derek aveva la fantastica capacità di sdrammatizzare le cose, di farti sorridere anche quando non ne era opportuno.
-"Nha, non tanto"- tirai un grosso sospiro nascondendo il naso infreddolito nella spessa sciarpa di lana.
-"Mi dispiace.. non volevo creare tanto disturbo, Timor mi accompagnerà a casa"- riflettei, non avevo più la minima voglia di guardare in faccia mia madre e di ricordarmi ogni volta quanto ella sia stata capace di farmi sentire sola nel corso negli anni.
-"Non scusarti, la mia famiglia non è poi così diversa dalla tua"- sbottó egli, guardando un punto fisso davanti a se. Quel sorriso era svanito ed aveva lasciato spazio ad uno sguardo rammarico e pensieroso. Per quanto non andassimo d'accordo, in cuor mio sapevo che Derek poteva capirmi più di qualsiasi altra persona al mondo, ero a conoscenza del fatto che egli avesse avuto uno di quei passati turbolenti dal quale è difficile scappare, lui era come me, per questo ne avevo paura.
-"Forza, entriamo si gela qui fuori"- soffiò l'aria dalla sua bocca che si trasformò in vapore, si strofinò le mani inserendole nelle tasche del suo giaccone. Non risposi, annuì e con passo felpato restai dietro la sua figura.  Non mi accorsi del paccoccio che teneva fra le mani, il quale probabilmente l'aveva appoggiato sull'erba nel momento in cui aveva preso posto sull'altalena. Sperai di non incontrare nessuno, mi sarei scusata con quella famiglia più tardi d'altronde ero pur sempre educata e rispettosa. Arriviamo all'ingresso senza passare per la sala da pranzo e salimmo lentamente la scalinata a chiocciola che tanto mi piaceva. Ci fermammo al secondo piano, il design era esattamente uguale per tutta la struttura, pareti écru quadri d'epoca, pavimenti lucidi e tappeti esotici. Dopo il lungo corridoio ci fermammo alla terza porta sulla sinistra la quale egli la aprì senza alcuna fatica.
-"Cos'è quello?"- indicai il cartoccio, egli mi aveva spalancato la porta di legno bianco e mi incitò ad entrarci, così feci.
-"Il tuo pranzo"- rispose con nonchalance.
Un enorme letto a baldacchino regnava al centro della stanza un mini sofà color crema con di fronte un enorme schermo al plasma, un tappeto circolare ai piedi del letto e un bagno privato. Tolsi via la sciarpa e il capello reggendoli fra le mani, osservai in giro soffermandomi minuziosamente su ogni dettaglio, nessuna traccia di disordine o di polvere pensai addirittura che non fosse mai stata usata.
-"Questa si che è una camera"- ridacchiai, concentrandomi sull'enorme comò bianco dai pomelli dorati, poi una cornice posta su di esso mi fece assottigliare gli occhi. M'avvicinai all'oggetto reggendolo successivamente fra le dita. Era una cornice di legno chiaro, in essa c'era incisa una foto di una donna affascinante da lunghi capelli castani e lisci col viso spiccicato a quello di un dolce bambino baffutello. Quegli occhi blu come il mare, in contrasto coi capelli corti e il sorriso sbarazzino mi fecero capire immediatamente.
-"Ma è la sua stanza questa"- con un tono affermativo mi voltai verso egli che in tanto era intento a sistemare il cartoccio sulla scrivania, tirò fuori due piatti con tanto di posate e bicchiere.
-"Si be' mio padre è sempre stato convinto che un giorno sarei venuto a vivere qui, come un principe, non ti sembra troppo?"- storse il naso osservando per un nano secondo l'arredamento della stanza.
-"Io dico di no, è bellissima"- lo contrastai, pigiai il cappotto assieme al resto al bordo del materasso coperto dalla trapunta marrone e mi avvicinai alla scrivania.
-"Allora qui ci sono carne, patate e un po' di pasta con il salmone"- dichiarò fiero di se, mi stupì del fatto che egli si fosse preoccupato di portarmi il pranzo datone che ero fuggita in maniera maleducata il giorno del primo gennaio. Mi sentì tremendamente nell'essere stata fuori luogo e capricciosa, non era il momento quello di azzuffarsi sul proprio genitore, non ero neanche a casa mia avevo causato un gran disturbo con la mia rabbia incontrollabile e fuori tempo. In oltre non avrei mai immaginato di ricever altri schiaffi, nessuno dopo Robert mi aveva mai toccato con un solo dito. Quel suono rimbombò ancora nelle mie orecchie e quella pressione la percepì premermi ancora sulla mi guancia.
-"Non ho molta fame"- anche se lo stomaco non era per niente d'accordo, quell'amaro in bocca non si decideva a sciogliersi così come i sensi di colpa. Egli non rispose, bensì si liberò anch'esso del suo cappotto rivelando il maglione color petrolio. Si posizionò dietro la mia figura e posò con forza le mani sulle spalle, un rapido movimento e lentamente mi incitò a sedermi sulla sedia accanto alla scrivania.
-"Stefens, non ci muoviamo di qui fin quando non avrai mangiato almeno la carne. Hai saltato anche la colazione stamattina"- come un genitore sgrida un figlio, si liberò anche della sciarpa e si sedette al bordo del letto picchiettando le dita sulle sue ginocchia. Osservai la sua immagine, e senza che me ne rendessi conto sfociai in una fragorosa risata.
-"Sembri mio padre, sul serio"- parlai fra un risolino e un altro.
-"Mi comporterò come tale se non mangi"- un sorriso scappò anche a lui, fui grata della sua presenza nonostante le milioni di cose che odiavo sul suo conto, ero felice quando ci ritrovavamo insieme quando le nostre risate non esitavano ad unirsi all'usignolo.
-"Tu? Non credo saresti un bravo genitore Derek"- appoggiai il mento al legno della sedia ruotandomi completamente e dando le spalle al mio pranzo. Con espressione fintamente allibita si guardò intorno e con l'indice indicò se stesso, quelle movenze mi fecero ridere ancora di più.
-"Io? Ma stai scherzando sarei un perfetto papà invece"- risi come una squilibrata per via dell'atteggiamento superbo che aveva assunto, rise anch'egli.
-"Si come no, tuo figlio a dodici anni saprà già distinguere un paio di tette finte da quelle vere"- sbarrò le iridi blu e rise come un matto tenendosi la mano sul ventre e calandosi all'interno sul materasso.
-"Questa è bella, si può essere"- rispose fra una risata e un altra. Fu rasserenante ridere insieme, per qualche minuto scordai quasi il motivo per il quale quella mattina era cominciata col piede storto per finire con un rumoroso e possente schiaffo. Virai lo sguardo sulla cornice per poi schiantarmi nuovamente contro il suo oceano blu.
-"Sei tu in quella foto?"- la sua risata scemò lentamente fino a smettere e a far spazio ad una serie di pensieri vaganti e insistenti. Quell'oceano divenne immediatamente buio. Osservò anch'egli la foto posta sul comò, così rapidamente che tornò a strofinarsi le dita sul tessuto dei pantaloni.
-"Si sono io"- quel tono in colore mi fece rabbrividire, probabilmente non sapeva che suo padre aveva piantato lì una foto con sua madre.
-"Ti manca molto tua madre?"- mi pentì subito dopo di quella frase, forse Derek non era quella persona a cui far rimembrare i momenti passati, preferiva tenerli per se starsene in silenzio e non parlaci. Non volevo essere invadente, anche se le cose a quel periodo non mi erano ancora del tutto chiare. Si continuava a dire che Derek avesse fatto uno di quegli errori madornali dai quali non si può più tornare indietro, e che sua madre fosse morta in un incendio. Avrei tanto voluto sapere le origini di quella storia. Sperai in una reazione passiva piuttosto che una sfuriata e probabili cocci rotti sul pavimento, d' altronde stavamo davvero provando ad essere amici. Si schiarì fortemente la gola prima di rispondere.
-"Forse si"- quella vaga domanda fu accompagnata da un sguardo confuso e imbarazzato, forse mai nessuno gli aveva posto quella domanda.
-"Siamo amici, non devi vergognarti"- provai a continuare, datone la sua reazione probabilmente positiva. Cercai di rassicurarlo con gli occhi, provando in continuazione di incastrare le sue iridi oscure, ci riuscì e sorrisi dolcemente inclinando il capo verso sinistra.
-"Se mi guardi in quel modo, dovrò smettere di vergognarmi"- canzonó, seppur quel tono a mio parare parve sensuale e seducente, ma cercai di ignorarlo come del resto ormai facevo da quando lo conoscevo. Ridacchiai divertita, scostando il capo a destra e a sinistra.
-"Sei sempre il solito"- tacque qualche secondo, e dopo delle leggere risa tornò serio.
-"Comunque si, mi manca molto.. non lo nego, è stata tutta colpa e mi odio per questo"- il fievole tono distrutto dal dolore si schiantò diritto nel petto, facendomi sciogliere come neve al sole. Non volevo dargli strane aspettative, ne certamente volevo darle a me stessa me ormai in sua presenza l'impulsività e quelle sensazioni predominanti prendevano il sopravvento. Senza che potessi continuare, lentamente mi avvicinai al bordo del materasso mi ci sistemai su con tutte le scarpe spostando il penso interamente sulle ginocchia. Non esitai, ma forse avrei dovuto farlo, appoggiai il capo sulla sua grossa spalla e gli avvolsi il petto con entrambe le braccia. Non avrei dovuto farlo, specialmente in virtù del bacio che ci eravamo scambiati la sera prima che come un schiocco di dita pareva essere stato dimenticato sia da me che da egli. Sorrise appena, e cominciò a strofinarmi il dorso della mano col pollice. Schiusi le labbra, ma poi ci ripensai preferivo il silenzio.
-"Un giorno ti racconterò tutto, promesso"- precedette le mie domande, le mie intenzioni e forse aveva ragione doveva essere lui a parlarmene come io dovevo essere pronta a raccontargli ogni cosa. Mi venne da sorridere, non ci eravamo mossi di un solo millimetro il suo profumo maschile mi aveva ormai posseduta respirarlo mi sembrò ormai un'abitudine.
-"Stiamo diventando sentimentali"- mugolai seccata, egli ridacchiò divertito. L'altra mano, quella libera avvolse il mio capo, afferrando delle piccole ciocche di capelli e attorcigliandoseli fra i polpastrelli, sarei rimasta in quella posizione per sempre. Quasi avvertì le palpebre chiudersi.
-"Si.. lo so, ma non fa niente"- il suo petto si alzò e si abbassò allo spasmo di risata che aveva emesso, io mi stavo godendo quella tranquillità e quella pace che tanto avevo bramato per tutta la vita.

Tra battute divertenti e lotte col cibo, riuscì a finire quasi tutto il piatto di pasta e una fettina di carne non ero mai stata una mangiona bensì l'alcol mi toglieva l'appetito a quei tempi. Mi ero tolta anche la scarpe, tirando le ginocchia al petto e giocherellando con la forchetta nel piatto.
-"Ho finito!"- annunciai fiera come una bambina.
-"Ottimo, stai apposto per una settimana ora da qua"- mi incitò a passargli i piatti, obbedì e li sistemò a forma di torre per poi posarli sulle sue braccia come fa un cameriere.
-"Porto giù questi, tu aspettami qui"- mi schioccò un occhiolino malizioso al quale risposi con una sventolata di occhi al cielo.
-"Sai, credo tu debba farti fare una visita a quegli occhi"- spalancai le labbra non poteva averlo detto sul serio, afferrai rapidamente un cuscino qualsiasi e glielo lanciai, aveva ormai raggiunto la porta io ero ancora alla scrivania. Schivò il cuscino, e rise come un matto.
-"Pessima mira Stefens"- canzonò, e girò la maniglia lasciandomi sola in quella stanza reale. Dieci minuti dopo, datone la sua assenza decisi che forse era arrivato il momento di chiedere scusa a John e a sua figlia. Erano le sedici del pomeriggio fuori il tempo non era dei migliori, quella scaricata d'acqua non voleva terminare. Inserì i miei stivali pesanti, sistemai il maglioncino sui fianchi e scesi al piano di sotto. Regnava un gran silenzio, mi ero accorta però che al primo piano si trovava la camera di Kristie datone le sue iniziai dietro la porta di legno. Arrivata all'ingresso per fortuna incontrai Francois.
-"Oh ehm, Francois sa per caso dove sia John adesso?"- sperai con tutto il cuore che non fosse impegnato con mia madre, non volevo vederla al momento era sempre stata la causa dei miei mali nonostante una madre non si scelga, ti tocca quella che hai e devi volerle bene comunque.
-"Si certo signorina è in salotto a prendere il thè, infondo al corridoio e poi a destra"- quell'uomo aveva un paio di occhi simpatici e frizzanti, e due guanciotte rose nonostante la sua anziana età. Era alto, e vestito elegantemente.
-"La ringrazio"- sorrisi, e finì con un inchino del capo. Seguì le istruzioni ritrovandomi dove si era svolto quasi tutto il momento di aperitivo del banchetto d'inverno lo scorso mese. Scorsi due grossi divani color crema in pelle, e quel meraviglioso camino dal quale si diffondeva un grazioso e confortante calore. Egli era seduto con le gambe accavallante sulla poltrona leggeva qualcosa, ma quando percepì la mia presenza si tolse gli occhiali da vista e ne rimase sorpreso.
-"Oh.. Nina ciao, come stai?"- forse, dopo tutto mi ero mancato un padre una figura maschile su cui contare quando hai paura, quella sicurezza e protezione che vorresti ricevere da un uomo. Intimidita mi avvicinai alla poltrona tenendo le mani salde in grembo.
-"Salve John.. io, volevo scusami per oggi non avrei dovuto rovinarvi il pranzo"- calai lo sguardo, egli restò in silenzio per qualche secondo poi mi incitò a sedermi sul divano in pelle accanto ad egli.
-"Siediti"- mi aveva detto, obbedì.
-"Ascoltami Nina, dispiace a me credevo che tua madre ti avesse avvisato lei è una brava donna intelligente e affascinante mi ci trovo bene con lei.."- mi imbarazzò sentir parlare così bene di mia madre solitamente gli uomini che frequentava la trattavano come la loro pupattola, un oggetto da cui ricavarne sesso e una foglia sconsiderata.
-"Lo so che sei molto in collera con lei, abbiamo parlato mi ha raccontato tutto dopo che sei andata via in quel modo.."- sollevai di scatto gli occhi su quell'uomo tanto gentile.
-"E che cosa le ha detto?"-
-"Be' che.. non è stata una brava madre, ma può sempre rimediare Nina non è mai troppo tardi. Anch'io vorrei fare del mio meglio con mio figlio Derek e devo dire che da quando ti ha incontrata ha fatto passi da gigante e soltanto grazie a te"- sorrise dolcemente, parlottava con fra le dita i suoi occhiali spessi e neri e sulle ginocchia aveva lasciato perdere il libro che stava leggendo prima del mio arrivo. Era un uomo stimabile, oltre che ad essere un genio nel suo lavoro era gentile cordiale forse Derek si sbagliava sul suo conto. Forse entrambi potevamo lasciar perdere il passato e perdonare i nostri cari, ma non sarebbe stato di certo una gradevole passeggiata.
-"Io.. io non ho fatto niente John"- arrossì di botto, non capitava tutti i giorni che il direttore del lavoro fosse anche il padre di un tuo amico.

Già, amico.

-"Non essere modesta cara, anche mia figlia è contenta del fatto che Derek si sia avvicinato di più a noi. Ti segue ovunque, ci tiene a te.."- quelle ultime parole mi fecero vibrare l'anima come una corda di violino, Derek aveva parlato di me a sua padre? John lo aveva intuito?
-"Voi.. siete una bella famiglia, e nonostante ciò che sia successo in passato dovreste restare uniti"-
-"Questa è una bella cosa"- sorrise ampiamente, mi alzai dal mio posto lisciandomi i pantaloni leggermente imbarazzata.
-"Oh Nina.."- mi chiamò egli, e ritornai a fissare i suoi occhi scuri.
-"Si?"-
-"Tua madre è molto pentita per quello schiaffo"- mi immobilizzai, forse sarebbe stato più piacevole se fosse stata ella in persona a dirmelo, sapevo che le dispiaceva ma forse era quasi sempre troppo ubriaca per dirmelo. Annuì sorridendo, non avevo altre parole. Prima che potessi uscire dal salotto egli mi richiamò ancora una volta.
-"Nina, sappi che puoi contare su di me per qualsiasi cosa.. e congratulazioni ci vediamo a Parigi"- mi schioccò un occhiolino, non potevo crederci la mia collezione era stata promossa avevo superato lo step successivo, la meravigliosa Parigi aspettava soltanto me. Mai mi sarei sognata di arrivare fino a quella città chic e ricca di moda, della sua storia.. Ero entusiasta, fiera di dove mi ero spinta avevo avuto coraggio ed ero stato premiata con meritocrazia.
-"Grazie"- sorrisi, avevo le lacrime agli occhi egli tornò al suo libro ed io mi imposi di cercare Derek e dargli la bella notizia.
Passai nuovamente per l'ingresso ma nulla, in sala da pranzo e di nuovo in salotto ma non vi trovai nessuno. Decisi così di ritornare in camera, lungo la scalinata incontrai Kristie stranamente vestita con una tuta e un paio di scarpette.
-"Dove vai così di fretta?"- le sorrisi, provando anche in questo modo a scusarmi per la figuraccia fatta a pranzo.
-"Al piano di sotto, qui c'è anche una palestra lo sapevi?"-
-"Sul serio?"- sbarrai gli occhi.
-"Certo che si, raggiungimi dopo se ti va"- mi incoraggiò e riprese a scendere velocemente le scale.
-"Kris"- ella si voltò confusa.
-"Mi dispiace per oggi"- la giovane sorrise gentilmente senza ombra di rabbia o rancore.
-"Sta tranquilla qui siamo abituati a delle sfuriate del genere.."- così dicendo, accanto a se passò suo fratello e di fatto lo guardò divertita facendo intendere che la sua frase aderisse perfettamente ad egli. Ridacchiai, quando Derek osservó stranito sua sorella e raggiunse pian pian tenendosi al corri mano la mia figura a qualche scalino più in alto.
-"Che state dicendo?"- curvò le sopracciglia incuriosito.
-"Niente fratellino, sei fortunato che Nina sia la tua unica migliore amica"- non ci avevo mai pensato prima d'ora, che egli potesse essere il mio migliore amico d'altronde non avevo mai avuto uno non credevo molto nell'amicizia fra uomo e donna. La ragazza scese velocemente la gradinata ritrovandosi a piano terra, mentre egli con uno sguardo confuso continuò a salire, lo seguí.
-"E così Der.. sono la tua migliore amica eh"- lo canzonai, tenendo le braccia conserte sperando di metterlo in imbarazzo, continuammo a salire la scalinata intenti a raggiungere il secondo piano.
-"Se non posso portarti a letto e neanche farti qualche proposta indecente direi di sì che lo sei Stefens"- gli lanciai una leggera spallata fingendomi offesa, alla quale egli finse di barcollare.
-"Ah, tuo padre mi ha detto che andrò con lui a Parigi fra qualche settimana non è grandioso?"- gesticolai entusiasta non stavo nella pelle, sarei voluta partire immediatamente.
-"Congratulazioni"- trattenne un sorriso che tentò di nascondere. Poi corrugai stranita la fronte .
-"Tu lo sapevi?"- avevamo raggiunto ormai il corridoio dove si trovava la sua camera.
-"Si che lo sapevo"- rispose in maniera spavalda.
-"Da quanto tempo?"- ribattei incredula.
-"Da circa qualche ora"- finse di non ricordare osservando il soffitto e massaggiandosi il mento, amava prendermi in giro soltanto per il gusto di poter osservare il mio viso sconcertato e offeso.
-"E non mi hai detto niente? Sei un verme"- gli lanciai un buffetto sulla spalla, eravamo alla porta di legno egli girò la maniglia. Scoppiò a ridere e ammetto che un po' riuscì a contagiare anche me.
-"Non era compito mio Nina, e poi non sono un verme mh?"- mi puntò con l'indice e quando fummo in camera, decisi che probabilmente era arrivata l'ora di tornare a casa così inserì i miei stivaletti.
-"Che stai facendo?"- egli invece con un solo salto si era sistemato sul grande materasso accavallando le caviglie e tenendo salde le mani dietro la nuca, come un pascià.
-"Mi preparo per andare a casa"- risposi con nonchalance, poi un fortissimo tuono proveniente dalla finestra mi fece sussultare. Fuori stava ormai diluviando.
-"Oh merda.."- imprecai, correndo alla finestra e appicciando le dita al vetro.
-"Già, un bel disastro"- in quel momento preciso bussarono alla porta, andai ad aprire datone che egli continuava a starsene a letto tranquillo. Pensai poi che sarebbe stato imbarazzante per chiunque fosse trovarci in camera insieme. Quando aprì la porta di legno, la figura di John mi fece arrossire.
-"Cara volevo parlare con voi, credo che per stasera dovreste rimanere qui non è prudente uscire con questo tempaccio"- restò sulla soglia.
-"Io.. cioè non credo sia il caso non vorrei dare troppo disturbo.."- Derek prese posto al mio fianco.
-"Tranquillo John tra un po' toglieremo in disturbo"- sorrise finitamente per poi tornare al suo comodo letto. Suo padre restò imbarazzato, non voleva insistere ma neanche metterci in pericolo. Forse era davvero il caso di restare lì in quella casa al caldo, d'altronde avevo ancora un giorno di tempo il lavoro sarebbe iniziato il tre gennaio.
-"Grazie John resteremo volentieri"- sconcertata di ciò che avevo appena fatto, cercai in tutti i modi possibili di sorridergli almeno come segno di gratitudine.
-"Oh bene, Derek ha qui un po' della sua roba per te ci penserà Rose la mia domestica"- così dicendo, sorrise cordialmente e si congedò con un gesto del capo.
-"Si può sapere perché hai deciso anche per me?"- sbraitò egli, una volta che suo padre si fosse allontanato.
-"Perché mi sembrava scorretto non accettare poi.. sono in debito"- mi rattristai, ripensando all'episodio di quel pomeriggio. Sedetti sul materasso a gambe incrociate in attesa che la domestica mi servisse i miei indumenti da notte. Egli ignorò la mia constatazione osservando attentamente lo schermo del suo Motorola e premendo qualche tasto. Mi sporsi verso la sua figura distesa e con le caviglie incrociate, ma quando egli notó la mia curiosità scostò l'aggeggio chiudendo lo schermo del suo cellulare.
-"Non si guarda sul cellulare degli altri"- sentenziò fra un sorriso nascosto sotto i baffi. Tornai in posizione erette trattenendo anch'io un sorriso, talvolta mi sentivo ancora una bambina, capricciosa e curiosa aggiungerei.
-"Posso farti una domanda?"- egli sconcertato ripose il cellulare nella tasca e posando le mani dietro la nuca mi prestò tutta la sua attenzione.
-"Spara!"- esclamò. Non seppi il vero motivo di quella domanda, probabilmente ne ero curiosa, soltanto per sapere se avrei dovuto averci a che fare o no più spesso con quella persona, Derek ed io vivevamo nella stessa casa volendo o nolente dovevamo essere un po' a corrente della nostra vita privata, per quieto vivere.
-"Tu ed Alice state insieme?"- sbarrò incredulo le iridi blu, che in quel modo mi fecero avvampare di botto specialmente se ripensavo alla sera precedente e i gemiti uditi dal salotto.
Scoppiò in una fragorosa risata.
-"Cosa te lo fa pensare?"-
-"Vorresti negarlo? Avete fatto sesso nel salotto dovete per forza stare insieme"- scrollai le spalle, ma infondo sapevo come Derek la pensasse sul fattore fidanzamento e donne.
-"Non è detto, abbiamo scopato si ma non è per niente la mia ragazza"- mi fece un rapido check in che momentaneamente riuscì a scuotermi poi però, percepì una sorta di tranquillata come se ne fossi ormai abituata.
-"Io non ho bisogno di una fidanzata"- concluse stavolta gelido come quell'inverno del duemila dodici. Sollevai un sopracciglio divertita.
-"Ah, se è per questo neanche io ho bisogno di un fidanzato"- forse trovai l'unica cosa sulla quale eravamo del tutto d'accordo, mi accostai con la schiena alla spalliera del letto stiracchiandomi le gambe. Egli maliziosamente con un passo da felino si avvicinò alla mi coscia e con una mano sola la strinse leggermente per poi picchiettarci leggermente su, quei contattati ravvicinati ormai stavano diventando pane quotidiano.
-"Proprio per questo possiamo essere amici"- sorrise infine accompagnato da un occhiolino simpatico.
-"Allora, ti va una pizza?"- fece un grosso scatto sgranchendosi la schiena e il collo.
-"Cavolo si, ho una fame da lupi"- mi massaggiai l'addome, in quel preciso istante lo stomaco reclamò e me ne vergognai ma quando pensai al fatto di essere lì con Derek la timidezza svanì di colpo.
-"Ci credo Stefens mangi come un uccellino specialmente oggi"- così dicendo si infilò le scarpe pesanti chinandosi verso il basso.
-"Faccio preparare due pizze al formaggio e bacon"- prima che potesse raggiungere la maniglia mi scaraventai giù da letto sistemandomi allo stipite della porta di legno.
-"Aspetta no, io odio il bacon!!"- esclamai forse a voce troppo alta.
-"Troppo tardi"- canzonò, che cominciò a camminare lungo il corridoio con le mani in tasca e in maniera spavalda. Mi sporsi leggermente, dovevo fargliela pagare.
-"Der"- egli si voltò confuso, ma anche leggermente divertito e col suo solito sorrisetto da schiaffi spiattellato sul viso.
-"Mh?"- mugolò, gli mostrai un dito medio al quale egli ricambiò con una sonora risata ma mi parve durare in eterno. Ero sicura che egli non avesse dimenticato quel bacio che mi aveva dato, come d'altronde neanch'io ma forse se ci convincevamo del contrario potevamo crederci veramente.





PS: EVENTUALI ERRORI VERRANNO CORRETTI
#ANGOLOAUTRICE

Innanzitutto tutto, cominciamo questo nuovo anno con un nuovo capitolo della storia volevo augurare a tutti un felice anno nuovo e che questa storia possa crescere ogni giorno sempre di più!!

E voi, ci credete nell'amicizia fra uomo e donna?

Miss Adams❤️❤️

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