IL CORAGGIO DI RESTARE (In co...

By SarahAdamo

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Nina Steffens è una giovane ragazza di 23 anni che vive a Manhattan assieme a sua madre, dipendente dall'alco... More

#ANGOLOAUTRICE
Cast + Trailer
Prologo
1. Una nuova vita
2. La svolta
3. Coincidenze
4. Un brutto scherzo
5. La speranza
6. Il fato
7. La scommessa
8. Proviamoci
9. Una possibilità
10. Il pericolo
11. Petali e segreti
12. Tentazioni
13. Mente e cuore
14. In trappola
15. Il Banchetto
16. La fragilità del buio
17. Indecisioni
18. Cena a base di cheesecake
19. Conclusioni affrettate
20. Bisogna lavorarci sodo
21. Punto di incontro
22. L'inizio
23. Quei gesti improvvisi
24. Natale con i suoi
25. La sorpresa
26. Il compleanno di Derek
27. Una notte insonne
28. L'influenza
30. Il bacio
31. Cocci rotti
32. Pagine strappate
33. Dichiarazioni
34. Dessert
35. Parigi
36.Irresistibile
37. Bollenti spiriti
38. Una pioggia di debolezze
39. La ruota panoramaica
40. Decisioni importanti
41. Come neve al sole
42. Monopoli
43. Il profumo
44. Visite inaspettate
45. Amicizia
46. Nasce una stella
47. La città proibita
48. Piccoli passi
49. Dimmi la verità
50. I primi sintomi
51. Non è più lo stesso
52. Mi manchi, e tu?
53. Il passato
54. Non allontanrmi di nuovo
55.London Eye
56. L'orgoglio da parte
57.Come riavvolgere il nastro
58. E se fosse un'occasione?
59. Susan, occhi da cerbiatta
60. Persecuzioni
61. Tutto cambia velocemente
62. Festa d'addio
63. Notizie flash
64. Il riflesso nel dipinto
65. Indizi
66. Ripensamenti
67. La rielaborazione del cuore
68. Noi due e un Garofano
69. La nuova coppia
70. Riconciliamoci

29. Talento nascosto

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By SarahAdamo




"Dubitate di tutto, ma non dubitate mai di voi stessi."
(André Gide)


-"Non sono un bambino, puoi andare adesso"- sbottó acidamente, al che la donna rammaricata abbassò lo sguardo tristemente. Eravamo in camera sua, stavo finendo di leggere un libro che avevo comprato a New York ma che non avevo ancora finito per via del duro lavoro da Cartier. Egli se ne stava nella sua parte del materasso, io dalla mia comodamente e con la gambe incrociate. Non appena udì quelle parole che mi fecero ribollire il fegato, sollevai il capo e gli rivolsi uno dei miei migliori sguardi omicida.
-"Penso proprio che tu sia guarito"- bofonchiai, ritornando poi alle mie pagine, egli stava provando ad avvicinarsi, sua nonna era uscita di scena senza ribattere alla maleducazione di suo nipote.
-"No, resta lì dove sei"- gli puntai l'indice contro, stava provando ad avvicinarsi e a ficcare il naso sul mio libro.
-"Che c'è, perché ora fai così?"- rise sarcastico, probabilmente seccato da ciò che gli avrei detto li di a poco.
-"Perché tratti male tua nonna, lei.. è gentile con te"- continuai a sfogliare il mio libro dalla copertina rosso scuro, mancavano ancora dieci pagine. Quella mattina del trenta la febbre di Derek era nettamente calata, non aveva più vomitato ma in compenso aveva approfittato nello starsene a letto e costringendomi a restare al suo fianco. La sera prima mia madre e Megan avevano abbandonato il cottage ritornando nella loro modesta abitazione di Manhattan, John promise a mia madre che si sarebbero visiti presto che l'avrebbe invitata alla sfilata di Capodanno e poi al cenone che si sarebbe tenuto nelle ore successive, sperai egoisticamente che ella fosse troppo ubriaca per accettare, quella relazione non mi convinceva per niente.
-"Non la tratto male, è lei che insiste su tutto"- era ritornato al suo posto completamente distante dalla mia figura, aveva acceso la tv e bazzicava fra i vari canali.
-"Insiste perchè ti vuole bene Derek"- ribattei seccata, stufa del fatto che l'atmosfera e la concentrazione fossero state distrutte, chiusi rumorosamente il libro e mi alzai dal materasso sgranchendomi la schiena e il collo.
-"Dove vai?"- sul viso di egli comparve un grosso cipiglio.
-"A mangiare qualcosa sto morendo di fame"- era l'ora della merenda e Ellen aveva sempre in servo per noi tantissime carinerie.
-"Resti anche stanotte?"- aveva puntato lo sguardo alla televisione, osservando distrattamente una partita di hokey che stavano trasmettendo in diretta.
-"Si"- tentennai, dormivo bene in camera con lui, gli incubi sembravano momentaneamente spariti, scappati a gambe levate. Fui grata del fatto che Derek di notte non provasse ad avvicinarsi o a cingermi la vita con le braccia, ci limitavamo a dormire ognuno nella parte propria e questo mi fece sorridere.
-"Se prometti di essere più gentile con tua nonna"- imposi, a braccia strette al petto e adagiata allo stipite della porta prima che potessi varcarla. Avevo indossato dei pantaloni aderenti e caldi mentre sopra avevo scelto un largo maglione color bronzo.
-"Non puoi ricattarmi in questo modo"- sorrise di sghembo, osservandomi serio, fin troppo serio.
-"Certo che posso"- controbattei leggermente ironica. Egli prese un grosso respiro, non sembrava divertito come lo era solitamente.
-"Nina non sono affari tuoi va bene? Non tratto bene qualcuno soltanto perchè lo sta facendo adesso, avrebbe dovuto pensarci tempo fa quella vecchietta.."- quelle parole m'arrivarono dritte al cuore, facendomi chiudere immediatamente lo stomaco in una morsa stretta e decisa. Non avevo mai sentito parlare qualcuno in una maniera così rude e menefreghista, sua nonna avrebbe avuto più o meno una settantina d'anni e non era giusto trattarla in quel modo per i pochi anni che le sarebbero rimasti da vivere.
-"Si.. mi sa proprio di si, sei guarito"- una smorfia di ribrezzo e rabbia si impregnò sul mio viso, non gli lasciai modo di rispondere, innverosita mi piantai fuori da quella stanza sbattendo probabilmente la porta un po troppo forte.

Quella sera saremo dovuti partire per New York, il yet privato di John era pronto Timor si mostrò efficiente come al solito e sua nonna rimase nuovamente sola nel suo cottage. Avevamo legato molto, Ellen era una donna dolce e amorevole il suo passato non lo conoscevo, non sapevo se anch'essa avesse accusato Derek trattandolo come suo padre e sua sorella. D'altro canto, con me si era comportata nel migliori dei modi, avevo sempre sognato di avere una nonna come lei una di quelle che ti rimboccano le coperte che ti preparano la cioccolata calda e si prendono cura di te come se fossi sua figlia. Non avevo approfondito la questione, Derek non si ricordò nulla di ciò che aveva fatto e detto la sera dell'influenza ne rimembrava di aver pianto. L'unica cosa che ricordò amaramente è di essermi stato così vicino da potermi sfiorare le labbra sottili, di fatto quando rinsavì dallo svenimento fu tremendamente spaventato dal fatto che mi fossi potuta offendere. Onestamente non volevo dar conto a quei momenti, conoscevo i miei limiti le mie promesse e le mie intenzioni, Derek non sarebbe mai stato per me più di un amico. Certe volte, tendiamo ad ignorare credendo che probabilmente sia la cosa più semplice da fare, di fatto ignoravo continuamente quei battiti che aumentavano ogni volta che ci ritrovavamo troppo vicini o quando mi rubò quel bacio fulimeno la prima volta al centro sportivo, ignoravo il fatto che nonostante egli rappresentasse il mio passato continuavo a sbatterci contro come le onde contro gli scogli. Era questa la mia soluzione, sperare che egli se ne dimenticasse. La febbre per fortuna o per sfortuna gli era passata del tutto, a suo modo anche se non l'aveva detto esplicitamente mi aveva chiesto scusa per come si era rivolto, specialmente riguardante sua nonna che con uno sforzo enorme provò a sorriderle salutandola con la mano. Timor ci accompagnò alla villetta di Lower Side, i bagagli pesavano parecchio così quando finalmente chiudemmo la porta di casa li scaraventai sul pavimento sfinita.
-"Oh santo cielo, la prossima porterò sicuramente meno roba"- parlottai fra me e me, togliendomi il cappotto e accendendo i lumi del soggiorno.
-"Già.. direi"- costatò egli canzonandomi come al solito e guardado sott'occhio le mie due valigie. Tremai come una foglia, egli se ne accorse poichè continuavo a strofinarmi le braccia coperte dal maglioncino rosso.
-"Si gela qui dentro.."- pronunciai coi denti che battevano l'uno sull'altro.
-"Aspetta, vado ad accendere i riscaldamenti"- quando egli si allontanò dal salotto di colpo mi ricordai di non avere più le mie pillole e che almeno quella notte non sarei riuscita a dormire, avrei dovuto aspettare l'indomani per recarmi in una farmacia. Avevo superato il trauma dormendo in camera con Derek al cottage di Portland ma lì a New York in quella casa non era di certo la stessa cosa. A sua insaputa mi rimisi il giaccone e recuperai le chiavi della macchina, forse sarei riuscita a trovare l'unica farmacia che ancora non aveva spento le luci, ma fui colta infragrante.
-"Dove vai a quest'ora?"- mi mordicchiai il labbro inferiore maledicendomi di non averci pensato qualche minuto prima.
-"In.. in farmacia"- calai lo sguardo osservando la punta delle mie scarpette.
-"E che cosa ci devi fare?"- mi si era avvicianto, con lo sguardo duro e le braccia salde al petto. Era ad un palmo dal mio naso.
-"Io.. be', non sono affari tuoi"-
-"Lo sono eccome, mi pare che avevamo trovato una soluzione no?"- arrossì al pensiero di noi due dormienti nello stesso letto.
-"Non è una soluzione quella"- bofonchiai, stava cominciando a stufarmi non poteva di certo dirigere la mia vita.
-"Si che lo è, cosa c'è di strano?"- quel tono basso e cupo mi fece rabbirividere.
-"Che siamo amici, e gli amici non dormono negli stessi letti"- nervosa, agitai in aria le mani in maniera teatrale.
-"Noi siamo diversi"- quella costatazione mi fece perdere il sorriso seppur sarcastico che avevo sfoggiato, ingoiai la saliva che mi si era fermata alla gola, quelle iridi scure vagarono nelle mie senza sosta come se ne avesse tutto il diritto di passeggiarci dentro, riusciva a percepirci ogni maledetta emozione. Rattristata, presi a strofinarmi la fronte osservando il pavimento scuro e piastrellato. Con un lento movimento dita egli mi sollevò il mento costringendomi a sprofondare nuovamente nei suoi occhi tenebrosi.
-"Ehi, a me non dispiace mica"- aveva quel suo solito sorrisetto malevolo, e una tipica faccia da bronzo che avrei voluto immediatamente cancellare. Quella espressione però mi fece ridere appena, non riuscivo più ad evitarlo ormai.
-"Sei il solito cafone"- divertita sollevai gli occhi al cielo, egli se la rise di gusto.
-"Grazie, questo sì che è un complimento"- pavoneggiandosi si allontanò dalla mia figura permettendomi finalmente di poter respirare di nuovo regolarmente si avviò verso la cucina stiracchiandosi e grattandosi la nuca.
-"Pizza stasera?"- forse non aveva tutti i torti, nessuno l'avrebbe saputo che avremmo dormito insieme tutte le sere e al cottage si era dimostrato rispettoso nei miei confronti, non ci eravamo mai sfiorati e questo era un bene per noi, specilamnete per me. Esausta e senza via di fuga come al solito, mi tolsi l'ennesima volta il giaccone.
-"Ok, ma la ordiniamo sono stanca morta"- assecondai la sua richiesta, seguendolo in cucina.
-"Peccato, la tua è sicuramente migliore"-
-"Si come no, per metà bruciata"-
-"A me piaceva"- scrollò con nonchalance le spalle e bevendo un succo di mela.
-"Ah, e non mettere quelle puzzolenti acciughe sulla tua pizza mi fanno vomitare"- rise sonoramente, quella risata, quel timbro ormai sapevano di casa. Forse stavamo entrando in un nuovo circolo vizioso, quel circolo però capace di scacciare via i demoni che mi
avevano ormai per da anni perseguitata.
Ero pronta per mettermi a letto, avevo indossato il pigiama di flanella spazzolato i capelli e lavata i denti, presunsi che Derek avesse fatto lo stesso datone che si era rintanato nella sua camera da più di mezz'ora ormai. Stavo commettendo un enorme sbaglio, sarei dovuta uscire comprare le mie pillole e dormire nella mia nuova camera. Controvoglia e con il cuscino sotto braccio varcai la soglia della sua camera bussando innanzitutto. Mi accostai allo stipite, indecisa sul da farsi egli aveva sollevato lo sguardo dal suo fumetto come al solito indossava una canotta e dei pantaloni celesti ed era a piedi nudi.
-"Per quando tempo hai intenzione di restare lì impalata?"- ridacchiò sotto i baffi, sbuffai pesantemente non volevo dargliela vinta, ma ormai da quando lo avevo conosciuto non facevo altro che perdere di continuo, di lasciare che manovrasse ogni decisione della mia vita, in quel momento non fui da meno. Egli premette lentamente il palmo della mano sul materasso incitandomi con lo sguardo a seguirlo accanto al suo posto. Lo osservai per svariati minuti, poi cedetti come al solito. Quel materasso mi sembrò più morbido dall'ultima volta in cui mi ci ero seduta, la federa del mio cuscino era fresca, rapidamente e stranamente imbarazzata mi infilai sotto le coperte distanziandomi al massimo dal suo corpo e voltandomi dal lato opposto. Lo percepì ridacchiare sottecchi, si alzò per spegnere la luce ma in compenso il lume si preoccupò di far luce a quel libro che stava leggendo. Avrei voluto essere forte, magari come Megan, saper decidere senza essere corrotta o convinta ma la determinazione per quanto avessi cercato di ottenerla non era il mio forte. Non mi sentì rilassata come a Portland, quella era la sua camera e quello lì era il suo letto stavo occupato il suo spazio vitale.


*****

Trentuno dicembre, Capodanno, la festa più chic e confusionaria dell'anno ma anche quella in cui lasci il vecchio anno per affacciarti a quello nuovo sperando che sia migliore del precedente. Avevamo dei seri piani per quella serata, prima di tutto ci sarebbe stata la sfilata, il giorno che attendevo ormai dal primo in cui ero arrivata in quella città, e dopo ci saremo goduti il cenone che John assieme al suo team avevano organizzato al "The Met".
John non era stato molto chiaro, ma sapevo soltanto che avevo creato una collazione di collane, orologi e gioielli vari che avrebbe sfilato sulle passerelle della Cartier Maison quella sera stessa. Sapevo e immaginavo, che ne fossero stati realizzati di prototipi e che i veri prodotti se fossi passata allo step successivo ovvero Parigi, sarebbero finiti nei loro punti vendita. Sognavo Parigi fin da bambina, e credere che ella fosse quasi ad un passo da me mi fece strillare dalla gioia, forse la mia vita stava davvero cambiando. Ero in ufficio, al computer per controllare l'andamento della sfilata quasi tutti i biglietti erano stati venduti pensai ai flash dei giornalisti alle star che probabilmente sarebbero state sedute in prima fila, e se i miei accessori non fessero piaciuti? se mi avrebbero fischiato o peggio lanciato dei pomodori? dovevo fare una pausa, in fretta chiusi il laptop concentrata sulla tazzina di caffè che avrei avuto fra le mani pochi minuti dopo. Presi un'altro caffè da portare in ufficio e quando mi sedetti alla scrivania, gli occhi puntarono la figura di John e la sua voce alta entrare nel nostro reparto designer, datone che avevo lasciato aperta la porta.
-"Come sarebbe a dire? No Phil ti avevo detto mille pezzi e non cento"- lo sentì strillare, quindi pensai che stesse ancora girovagano nel nostro reparto per costatare che tutto fosse prefetto.
-"Va bene Phil per stavolta passo, sono stanco di discutere con te aspetta ho un'altra chiamata, Pronto?"- sembrava agitato, d'altronde la sua come direttore era una grossa responsabilità.
-"Stai scherzando vero? Come diavolo è potuto accadere?"- corrugiai le sopracciglia, stavolta mi sembrò davvero esasperato. Si posizionò davanti alla porta del mio ufficio in modo che potessi osservarlo perfettamente di fronte alla mia figura, continuava a parlottare al telefono agitato e con le mani fra i capelli.
-"George non m'importa un fico secco se una se beccata l'influenza e che all'altra sia morto il criceto.. "- mollai le mie prese al computer decisa ad ascoltare ormai la sua conversazione nonostante non fosse totalmente educato da fare.
-"Non mi interessa, trova una soluzione"- così dicendo staccò il cellulare e lo ripose nella tasca della sua giacca, fulmineamente tornai a guardare lo schermo del mio laptop fingendomi impegnata. Egli farneticò qualcosa di incomprensibile, si massaggiava le tempie per qualche secondo aveva tolto anche gli occhiali.
-"Collin"- chiamò, il ragazzo dopo qualche secondo lo raggiunse con l'acqua alla gola e un metro avvolto attorno al collo.
-"C'è un problema, abbiamo un grosso problema"-
-"Signore cosi mi spaventa, che cosa succede?"-
-"Un criceto, un maledetto criceto"- quasi pensai che si fosse messo a piangere, stavano parlando praticamente sotto l'arco della mia porta, era impossibile non assistere alla conversaizone, d'altronde cercai di farmi vedre disinteressata.
-"Criceto?"-
-"Lascia perdere il criceto.. non abbiamo più quattro modelle"- il ragazzo irrequieto cercò in tutti i versi di far calmare il suo capo, ma senza alcun risultato.
-"Oh signore.."- imprecai sotto voce, fissando le loro immagine come un ebete, probabilmente non mi ero neanche accorta di averlo detto ad alta voce tant'è che i due uomini saettarono in mia direzione, arrossì nel momento in cui John mi fissò per un lasso di tempo indefinito.
-"Stefens.. ho un idea, raggiungimi in sala riunioni d'accordo?"- spaesata, e senza aver modo di chiedergli il perchè abbandonò il reparto velocemente e in pre dal panico.
-"Questo è un vero disastro"- esasperato il ragazzo quasi tentò di strapparsi i capelli.

Dopo esattamente dieci minuti, arrivai in sala riunioni ero sola, cominciai a battere il piede sul parquet nervosamente accompagnato da un sfregamento di mani continuo. Poi il cigolio della porta mi fece sussultare, John mi aveva ormai raggiunto in sala riunioni. Di fatto, entrò con la sua solita cartella sotto braccio che sbattette violentemente sul tavolo ovale assumendo un espressione disperata.
-"Nina da come hai ben capito c'è un grosso problema"- non risposi, annuì cordialmente agganciando le mani dietro la schiena.
-"Ci servono altre modelle, non c'è tempo di rintracciarle perciò.. sto per chiederti un enorme favore, mi fido di te e so che in gamba"- sapevo dove volesse arrivare.
-"Io ecco.."- avanzai, ma venni bloccata dalla sua frase che spezzò la mia.
-"Devi sfilare stasera, te ne sarei grato se tu lo facessi"- sbarrai violentemente gli occhi, percepì addirittrua una specie di capogiro avvertì il bisogno di sedermi ma non lo feci.
-"Signor John.. con tutto il rispetto io non so sfilare, non l'ho mai fatto per cui.."- ancora una volta non mi lasciò finire la frase.
-"Puoi farcela ne sono certo"- insistette e stavolta provò a sorridermi.
-"Ma Signore io.."-
-"No Stefens, ho deciso non si discute"- mi sorrise soddisfatto, e battendo ancora una volta la sua cartellina sul tavolo ovale uscì rapidamente di scena piantandomi li in asso con la mente confusa e estereffatta. No, non poteva essere non me l'aveva chiesto davvero. Io non sapevo sfilare, ero goffa anche ingrassata in quel periodo ero impacciata a malapena riuscivo a camminare diritta. Non ero riuscita a muovermi neanche di un milliemtro, ero introversa talvolta apatica e non mi andava di certo di farmi vedere in pubblico fotografata e tutta in ghingheri. I miei pensieri saettarono sull'uomo assetato di vendetta che mi stava cercando, se tutto ciò fosse finito sui giornali ed egli lo avesse visto mi avrebbe scoperta in un batter d'occhio e non potevo assolutamente permetterlo. Il direttore della Maison ci disse che nel pomeriggio saremo dovute recarci in Atelier per costatare che gli abiti che dovevamo indossare da cornice agli accessori ci calzassero in maniera adeguata, per fortuna portavo una quaranta due. Dopo di che ci avrebbero truccato sistemato i capelli e iniziato con le prove sulla vera passerella. Quando dopo aver recuperato le mie cose dall'ufficio uscì dall'enorme grattacielo il gelido freddo dicembre mi finì in pieno viso facendomi rabbiridire nonostante avessi sia i guanti che il cappello. Mi incamminai sul marciapiede di fronte dove di li a dieci minuti avevo parcheggiato la mia auto, lì in una caffetteria che mi passò di fianco contornata da una grande vetrata che dava alla strada intravidi una figura a me conosciuta, capelli scuri e sulle spalle e un sorriso smagliante. Mi intrufolai della caffetteria alla ricerca del suo tavolo, quando ella prese a sventolarmi la mano per farsi riconoscere sorrisi a trenta due denti. Mi sentì in colpa nei confronti di Jassie nel non averle neanche inviato un messaggio di augurio, ero una pessima amica. Non appena mi sedetti alla sedia vuota dinanzi ad ella, le si illuminarono gli occhi, ma poi la luce venne sostituita da un broncio.
-"Be'? Ti sembra il modo? Potevi almeno scrivermi"- mi liberai del cappello e dei guanti.
-"Jess hai ragione, non merito il tuo perdono"- piagnucolai con occhi tristi e il labbro fra i denti.
-"Si è vero sei una pessima amica ma.. cos'hai fatto durante le vacanze? Sei sparita"- inutile mentirle, ero stanca di mentire. Ordinai una cioccolata, nonostante fosse quasi ora di pranzo.
-"Allora? sputa il rospo avanti"-
-"Un disastro, ho avuto dei problemi a casa e cosi.. Derek mi ha invitato a Portland dalla sua famiglia"- biascicai sperando che nessuno stesse ascoltando la nostra conversazione, ella si trattenne dal non strillare.
-"No!! Ma anche con John e sua figlia?"- si sporse dal tavolino sgranando gli occhi.
-"Si.. sono stata bene a dire il vero"- confessai allegramente, seppur leggermente rammaricata.
-"E racconta, come sono? fuori da lavoro intendo"- farfugliò mangiucchiandosi le pellicine dalle unghie.
-"Be'.. sono gentili, a John ho regalato una cravatta e a sua figlia un paio di orecchini poi.."-
-"Aspetta!! vi siete scambiati anche dei regali?"-
-"Per forza, non potevo mica andare li a mani vuote?"- la mia cioccolata era arrivata, ringraziai con un sorriso la cameriera, e comiciai a soffiare sulla tazzina.
-"E poi? continua"- incitò ella, le raccontai che egli con tanta premura si era preoccupato di invitare anche mia madre è la mia migliore amica a passare li qualche giorno per le feste, menzionai il suo compleanno ma evitai di specificarle la sorpresa che gli avevo preparato e ovviamente non le dissi che li di a quel momento avevamo sempre dormito nello stesso letto. Ad ogni parola la mia amica sgranava gli occhi e ridacchiava maliziosamente, fu piacevole passare del tempo con lei specialmente dopo giorni di assenza da parte mia.
-"La cosa che mi preoccupa adesso è la sfilata.. santo cielo"- mi misi le mani nei capelli cercando di eliminare i nodi dai miei boccoli lenti.
-"Sta tranquilla i tuoi lavori saranno sicuramente i migliori"- sorrise rassicurandomi.
-"Non è questo Jess, John mi ha chiesto di sfilare alcune delle modelle hanno avuto dei problemi.."-
-"Sul serio? Oh mio Dio questa sì che è una grande notizia"- sorrise ampiamente con gli occhi che le si illumavano come stelle del firmamento.
-"Affatto, anzi è una notizia terribile io non so sfilare!!"- replicai in pre dal panico.
-"Devi soltanto camminare, poi di sicuro ci saranno delle prove non è difficile"- osservai la tazzina e lo zucchero raggrumito sul fondo.
-"Non sono pronta"- sospirai pesantemente, avrei voluto piangere ma forse sarebbe stato meglio conservare le lacrime per qualche altro momento.
-"Sarai bravissima vedrai!!"- quelle parole mi fecero sorridere lievemente ma purtroppo non migliorarono di certo la situazione.

Arrivai frettolosamente a casa, chiudendo la porta alle mie spalle e privandomi del mio cappotto, quel fitto calore mi fece rinsavire. Oltrepassato il piccolo corridoio vi trovai Derek, intento a scrivere qualcosa al pc , disteso sul divano a piedi nudi.
-"Tuo padre deve essere impazzito"- sbottai, egli saettò con lo sguardo verso di me m'osservò per qualche secondo corrucciando lo sguardo poi, ritornò al suo schermo.
-"Che ha fatto stavolta?"- mi recai in cucina e afferrai dal frigo un succo di mela, ritornai poi in salotto e mi sedetti sulla poltrona.
-"Vuole che sfili stasera, ma ti rendi conto? ti immagini me su una passerella sexy e audace? io non sono cosi"- farneticai agitandomi, accavallai le gambe.
-"Ne sei proprio sicura?"- ammiccò egli, osservandomi maliziosamente di rimando gli sollevai gli occhi al cielo.
-"Der sono seria, sono nei guai"- con un fugace movimento mi privai dei miei stivali e tirai le ginocchia al petto sulla comoda poltrona rossa.
-"Dirgli che non puoi e il gioco è fatto"- fece spallucce, mentre era intento a smanettare con il laptop pigiato sulle cosce. Quel giorno, diversamente dal solito indossava una maglietta color crema a maniche lunghe, aveva rasato perfettamente le sue guance rendendo la pelle liscia e velluatata.
-"No!! Non posso gli ho già detto di si"-esclamai nascondendo il viso nei palmi delle mie mani.
-"Avresti dovuto pensarci prima"- rispose distrattamente, non continuai bensì mi concentrai sul suo sguardo attento al computer e al suo strano modo apatico di comportarsi.
-"Che fai di così interessante?"- mi alzai dalla poltrona raggiungendo il retro del divano per potermi sedere sul bracciolo ove egli aveva appoggiato la schiena.
-"Niente di che, alcune pratiche che mi ha chiesto mio padre"- tagliò corto, scrollai le spalle con nonchalance, poi di colpo chiuse il laptop adagiandolo sul tavolino di vetro.
-"Su, vieni qui coraggio"- mi incitò egli, tirò le ginocchia al petto cosi da permettermi la seduta sul divano rosso accanto a se. Obbedì e a braccia conserte sprofondai sul comodo sofà. Si avvicinò maggiormente, avvolgendo un braccio attorno allo schienale a dove io ero seduta.
-"Ma ci pensi? Io non sono così spigliata.. e non sono neanche bella perciò"-
-"Infatti, sei uno schianto"- roteai gli occhi al cielo, sapevo che non dicesse sul serio, non poteva.
-"Non scherzare.. vorrei sotterrarmi"- tirate le ginocchia al petto vi profondai col capo avvolgendo il tutto con braccia.
-"Ok, non sono bravo a consolare gli altri e di certo non lo farò adesso ma, pensa che non durerà molto"- fece spallucce, e sollevai il capo dalla mia tana.
-"Sei di grande aiuto sul serio"-
-"Lo sono stato cucinando un bel piatto di spaghetti al sugo con polpette però"- ridemmo sonoramente, fu rasserenante provare quel pizzico di sollievo. Inclinò il capo, e acchiappò alcune ciocche dei miei capelli giocandoci fra le dita ruvide e affusolate. Quelle iridi languide e profonde mi costrinsero a spostare lo sguardo altrove.
-"Sei più carina quando sorridi"- ridacchiai alla dolcezza che egli provò ad inserire in quella frase, fui grata del fatto che nonostante non sapesse come comportarsi con gli altri cercava in ogni modo di regalarmi anche solo un fievole sorriso. Instinstivamente, senza che ormai ci pensassi troppo mi inclinai verso la sua figura e posi le mie labbra sulla sua gota liscia e morbida. Percepì il forte profumo del suo dopobarba e quella vicinanza mi mandò fuori di testa. Quando mi staccai m'accorsi della sua espressione stupita ma specilamente diverita dalla mia ormai imbarazzata e dalle guance leggermente scarlatte. Mi strinsi in me stessa, avvinghiando le gambe al petto e nascondendo le braccia. Forse s'imbarazzo anche lui, perchè calò lo sguardo ridacchiando.
-"Stai facendo progressi Stefens"- si umettò le labbra, e di rimando gli lanciai un leggero buffetto sul braccio che era rimasto avvolto dietro la mia figura.
-"Dopo la sfilata tuo padre ha organizzato un cenone"-
-"Lo so, infatti ci andrò per i primi quindici minuti ho altri piani in mente"- si alzò dal divano ed osservai il suo fisco scolpito e muscoloso dall'alto. Pensai alle ultime parole, al fatto che egli avesse organizzato qualcosa nella quale io probabilmente non ne avessi fatto parte, d'altro canto vivevamo insieme ma non era di certo obbligiatorio doverci frequentare anche fuori.
-"Oh"- riuscì a dire.
-"Tranquilla, tu verrai con me"- mi schioccò un occhiolino e lo raggiunsi a passo svelto in cucina dove cominciai ad apparecchiare la tavola.
-"Non ho mica accettato!"- trattenni un sorriso, mentre sul tavolo quadrato posai una bottiglia d'acqua mentre egli fu intento a riscaldare il sugo in pentola.
-"Non penserai mica che ti lascerò da sola a quel cenone?!"- assaggiò la salsa immergendo la punta dell'indice nel composto.
-"Guarda che so badare a me stessa"- sbottai acidamente, stava comiciando ad innervosirmi, non ero mica sua figlia. Mi avvicinai all'isola della cucina tagliuzzando le fette di pane.
-"Lo so, ma credo che poi mi mancheresti troppo"- mi lanciò a volo un mestolo che per fortuna grazie ai miei rifelissi pronti afferrai di colpo. Corrugai la fronte nonostante fossi divertita da quella frase sdolcinata e beffarda al contempo.
-"Io resterò al cenone"- conclusi, versando gli spaghetti nei rispettivi piatti che egli afferrò e portò in tavola.
-"Ti farò cambiare idea vedrai"- mi strizzò un occhiolino il quale venne ricambiato con un paio di occhi rivolti verso l'alto.

Nel pomeriggio Derek, in sella alla sua moto, mi aveva accompagnato in Atelier dove li si sarebbero preoccupati di aggiustare il mio viso nel miglior modo possibile, c'erano anche altre ragazze nettamente più alte e belle di me, sicuramente con quel pizzico di charm che mi mancava. La sfilata si sarebbe tenuta al The Met un importante museo sottoposto spesso ad eventi di alta moda come quelli, dopo di che lií si sarebbe svolto l'intero cenone di capodanno con tanto di fuochi d'artificio. Entrai nei camerini, e alcune donne sulla quarantina mi fecero segno di accomodarmi su delle sedie pieghevoli, proprio come quelle che usavano i registi. Nonostante l'ansia e la nausea, fui felice di aver raggiunto finalmente quel modo che tanto avevo ambito da bambina,dopo sacrifici una vita piena di sofferenze e dolore era arrivato il mio momento, quel fatidico momento. Il ragazzo dai capelli scuri di tanto in tanto si allonatava per rispndere al cellulare ridacchiava e si umettava le labbra come faceva di solito non parlava con suo padre ne tanto meno con un'amico datone la sua espressione. Poi seguirono altre chiamate stavolta lavorative. M'osservava tutto il tempo, si limitava a starsene li a braccia incrociate mentre il pennello del fard scorreva sulle mie guance e il rossetto rosso dipingeva le mia piccole labbra. Adoravo quella pettinatura anni trenta, ondeggiata sul davanti e racchiusa sul retro con un enorme treccia al centro come cornice. Non mi ero mai truccata così tanto in vita mia, sulle palpebre stesero dell'ombretto nero e grigio sulla labbra dominava un forte rosso fuoco e sulle guance un rosa tenue a contrasto con gli zigomi illuminati. Quasi non mi riconobbi quando la truccatrice si allontanò per controllare altre ragazze tenute sotto la sua cura, mi avvicinai allo specchio e ripensai all'ultima volta in cui mi fossi osservata così tanto. Il rosso era spalmato sulle guance a contornarne altri graffi e il nero degli occhi era posizonato invece sotto le occhiaie. Rabbrividì a quella sensazione, quando la truccatrice tornò, mi pose ai lombi un paio di orecchini lunghi e brillanti ,incastonati da diamanti puri.
-"Prego, vada dalla sarta le sistemerà il vestito"- mi congedò gentilmente la donna allontandosi da me. Percepì i suoi occhi pungenti, osservavano vagamente ogni parte del mio viso seppur non mi fosse davanti il suo calore lo avvertivo addosso ugaulmete. Avevo indossato una vestaglia firmata Cartier in corsivo all'altezza del seno.
-"Credi che sia troppo?"- chiesi, egli sembrò in difficoltà le sue iridi si indurirono di colpo
-"No, stai bene"- si limitò a dire, e lo squillo del suo cellulare lo costrinse ad allontanarsi di nuovo, avrei tanto voluto sapere perchè si stava comportando in quel modo. Dopo svariati tentativi nel prendermi le misure sui fianchi e sul sedere, indossai un ambito nero e bianco con due grosse fasce che mi coprivano i seni. Lungo e morbido sui fianchi, Derek fece il suo ingresso nel mentre mi osservavo come il tessuto mi calzasse sul fondo schiena, restò attonito aveva intascato le mani e schiuso le labbra respirava a fatica e i suoi occhi blu come la notte vagarono senza sosta e senza chiedermi alcun permesso su ogni angolo del mio corpo. Gli sorrisi lievemente, alcune donne mi aiutarono a inserire le décolleté nere ai piedi facendo risaltare così la mia figura.
-"Torno a casa, devo.. ancora vestirmi"- balbetto quasi, e ciò mi fece ridacchiare  vederlo impacciato e in difficoltà non era il suo forte, solitamente si mostrava spavaldo e sicuro di se l'avere la capacità di fargli quel determinato effetto mi rese stranamente feria.




#ANGOLOAUTRICE

Dobbiamo avere fiducia nelle nostre qualità, specialmente quelle nascoste dentro di noi!!

Miss Adams ❤️

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