Blue Rose [boyxboy]

By Andyspace_0

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NUOVA VERSIONE 2024 💥 revisione / nuovi capitoli / 18+ • Blue Rose playlist su Spotify Evan è un ragazzo di... More

Ă—
PAUSE
DISCORSI DA ROCK STAR
MIGLIORI AMICI
RICCIOLI D'ORO
MAI, IN CHE SENSO?
PROFUMO DI PANCAKE
IN TRAPPOLA
COCA COLA
VODKA E MUFFIN AL CIOCCOLATO
NUOVO PEZZO
L'ULTIMO GAMBERETTO FRITTO
NINNA NANNA
IL CIELO DI NOVEMBRE
LA TERZA MARLBORO
MUSTANG SHELBY
LA CITTĂ€ DELLE STELLE

PLAY

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By Andyspace_0

Il parquet in legno chiaro che rivestiva il pavimento era stato lucidato così bene che brillava sotto le luci intense che illuminavano l'ambiente.

Il Blue Rose era pieno quel sabato sera e dopo aver lasciato al tavolo 10 la Coca Cola alla spina, Evan camminò velocemente verso il palco incastrato nell'angolo tra la parete frontale e quella laterale destra del locale.

Usò la superficie in legno per far scivolare la suola di gomma ormai consumata delle sue amate All Star nere e si fermò proprio davanti al ragazzo che stava pizzicando le corde della chitarra dietro all'asta del microfono.

Era arrivato il loro momento, finalmente.

«Siete carichi?» domandò, rivolgendo lo sguardo verso il bassista e il batterista, prima di tornare al cantante.

«Ah sì» replicò lui alzando gli occhi su Evan. «Rischio solo di vomitare da un momento all'altro.»

Evan ridacchiò divertito e lo ammonì dolcemente con lo sguardo. «È normale essere tesi al primo concerto,» disse cercando di confortarli. «ma sono sicuro che andrà benissimo. Oggi alle prove eravate perfetti!»

«È troppo tardi per ritirarsi, vero?» domandò il batterista, come se non avesse sentito nemmeno una parola di quello che aveva detto Evan.

«Scott!»

«Cosa?»

«Sono mesi che proviamo le canzoni,» Si intromise il bassista. «nel mio garage o qui non fa differenza» aggiunse, anche se il tono di voce teso tradiva la sicurezza che aveva messo in quella frase.

Scott sospirò pesantemente, poi si fece girare le bacchette tra le dita come faceva sempre mentre aspettava che i suoi compagni fossero pronti. «Sì» affermò e una delle due gli cadde di mano, lasciando sorpresi tutti quanti. «Okay, ora viene da vomitare anche a me» mugugnò impaurito.

Evan saltò sul palco e raccolse la bacchetta, proprio al centro tra gli strumenti e i musicisti. «Siete delle future Rock Star, questo è niente a confronto con gli stadi che riempirete di migliaia di persone.»

Sul viso dei ragazzi si aprì un sorriso e Evan passò di nuovo a Scott la sua bacchetta, poi si incamminò per tornare giù sul pavimento del locale, ma fu fermato dallo sguardo del cantante che si era voltato verso di lui.

Gli si fece più vicino con un passetto piccolo piccolo e rimase per interi secondi a guardare il blu acceso di quelle iridi. Li conosceva a memoria gli occhi di Ray, dopo quattro anni che ci si perdeva dentro ogni giorno, aveva imparato a catalogare ogni sfumatura di quel colore che trovava sempre più bello.

Ray non disse nulla, aspettava che Evan parlasse mantenendo sulle labbra quel sorriso che era un misto tra eccitazione e paura. «Ehi» mormorò lui piano, perché quello che voleva dire era solo per loro due.

Per Evan e Ray, due ragazzi di diciassette anni che si erano conosciuti per caso un pomeriggio d'estate e avevano costruito un'amicizia che sembrava essere stata scritta dal destino.

Due migliori amici. Due fratelli.

Inseparabili.

«Mi fido di te» mormorò, allungando verso di lui la mano chiusa a pugno. «sei il migliore, lo sai» aggiunse con un sorriso.

Ray ricambiò e scontrò il suo pugno contro quello del migliore amico, prima di seguirlo con lo sguardo mentre scendeva dal palco. Non tornò al bancone, si fermò lì davanti e attese, perché non voleva perdersi l'inizio del primo concerto degli Aisthetike.

Ray si aggiustò la tracolla della chitarra elettrica sulla spalla, lanciò un'occhiata ad Harris che teneva il basso e poi a Scott che aveva le bacchette strette nelle mani, infine, tornò sugli occhi verdi del suo migliore amico; al suo sorriso e a quella forza con cui credeva in lui molto più di quando Ray non avrebbe mai fatto.

Con cui credeva in quel sogno che gli sembrava più reale quando era Evan a parlarne e a fantasticarci sopra.

Battè il tempo con il tallone delle All Star bianche sul legno del palco, al quale si aggiunse Scott che scontrò tra di loro le bacchette, poi passò il plettro sulle corde della chitarra e attaccò con un assolo al quale si aggiunsero la batteria e il basso subito dopo.

Cominciarono con One More Night, la loro prima canzone. Ray e Evan avevano aggiustato i versi, poi insieme ad Harris e Scott avevano perfezionato la melodia. La sapevano solo loro quattro e Evan si mise ad intonare le parole insieme a Ray quando partì con la prima strofa.

Non gli era passata quella schifosa sensazione di nausea che gli aveva chiuso lo stomaco da ore, così Ray guardò Evan cantare per tutto il tempo, senza pensare alle persone che erano sparse per il locale e che tenevano gli occhi puntati su di loro.

C'era solo lui, Evan, il suo migliore amico. La rappresentazione vivente del suo sogno più grande.

Lui che a tredici anni si era seduto sul cofano del pickup del padre di Harris e li aveva ascoltati suonare la cover di I Love Rock 'N Roll e Wake Me Up When September Ends. Che aveva passato i torridi pomeriggi d'estate in camera di Ray a imparare a strimpellare la chitarra acustica. Che aveva cantato con lui a squarciagola Demons saltando sul letto e alzando al massimo il volume della cassa.

Evan che non aveva alcun dubbio che prima o poi Ray sarebbe diventato il frontman di una delle band più famose del momento.

Ne era certo, anche se dovette per forza allontanarsi dopo la prima canzone per tornare dietro il bancone e mettersi ad aiutare sua mamma con le ordinazioni. Lo sapeva già da quando li aveva sentiti la prima volta ed erano ancora una cover band e più che mai se ne rese conto quella sera quando per la prima volta si esibirono davanti ad un pubblico.

Era tutto racchiuso nei sorrisi delle persone che li guardavano, negli applausi che si scatenavano ogni tanto alla fine delle canzoni. Quando a mezzanotte corse da loro reggendo il vassoio con tre bicchieri di Coca Cola ghiacciata, Evan aveva il cuore che batteva a mille.

Ma non si rese conto subito a cosa fosse davvero legato quel movimento frenetico che gli rimbombava nella cassa toracica e nella testa, nemmeno quando abbracciò velocemente Ray dopo avergli passato la bibita fresca.

La consapevolezza scivolò dentro di lui piano piano, come una pianta di Edera che si arrampica sul muro e scrosta l'intonaco lasciando crepe e squarci.

Si fece spazio mettendo profonde radici nel suo cuore e poi si espanse rigogliosa in ogni angolo del suo corpo, fino a raggiungere la sua mente, i suoi pensieri e le sue fantasie.

Quando Evan si rese conto di che cosa fosse quello che sentiva era troppo tardi per tornare indietro. Le crepe erano profonde e l'unico modo per rimanere intero era affidarsi alle radici che si erano appropriate di lui, che lo avevano distrutto per prenderne possesso, ma lo tenevano insieme.

Ad ogni sorriso di Ray le foglie si infittivano, le radici scavavano più in profondità quando gli occhi di Evan incontravano quelli azzurri di lui. Quando si ritrovavano vicini e Evan desiderava di poter baciare quelle labbra carnose e rosate, era quel rampicante a risucchiarlo e nascondere le sue debolezze.

Quella stessa forza che lo soffocava gli impediva di cadere a pezzi.

Evan si nascondeva dietro a quel groviglio di foglie e radici, sperando che nessuno lo avrebbe mai scoperto. Teneva a bada i suoi sentimenti chiudendoli dentro di sé nella speranza di riuscire ad annientarli, ma diventava sempre più difficile, giorno dopo giorno.

Passava con Ray così tanto tempo che quando era da solo non riusciva a reggere la sua mancanza ed era costretto a riempirsi la testa con altro, per non pensare costantemente a lui.

La sera, quando si metteva a letto, osservava il soffitto della sua camera e piangeva, chiedendosi perché doveva essere diverso, perché non potevano semplicemente piacergli le ragazze come a tutti gli altri e, soprattutto, perché doveva essere proprio Ray l'oggetto dei suoi più intimi desideri.

Aveva il terrore di quell'amore che provava per lui, aveva paura che venisse scoperto e che la loro amicizia sarebbe finita.

Se a Ray avesse dato fastidio? Se gli avesse fatto schifo?

Ogni sera si ritrovava steso a guardare quel soffitto bianco a chiedersi cosa ne sarebbe stato di lui se la loro amicizia fosse finita e in ogni occasione finiva sempre col piangersi addosso per poi farsi consolare dall'unica cosa che poteva stargli vicino in momenti come quello.

La sua playlist.

La sua preziosa migliore amica.

Prendeva le cuffie, le collegava al telefono e la faceva partire perdendosi sulle note e sulle parole fino a quando la sua mente non cancellava ogni brutto pensiero, permettendo alla testa di spegnersi piano piano. Si addormentava tra le sue braccia, così come faceva quando era bambino e sua mamma gli cantava la ninna nanna.

La musica era stata la costante di tutta la sua vita. Era stato persino concepito dentro allo spogliatoio del Blue Rose che le band usavano per sistemarsi prima dei concerti. Suo padre era il batterista di una band emergente che aveva sfondato pochi mesi più tardi, ma non avevano avuto molto successo e si erano ritirati subito.

Amy aveva solo sedici anni, ma non aveva mai pensato di abortire. Andava a scuola e studiava il pomeriggio, poi si metteva ad ascoltare la musica allo stereo perché in qualche modo pensava che potesse sentirla anche quella creaturina che stava crescendo dentro di lei.

Quando era appena nato lo coccolava canticchiando, lo portava al Blue Rose nelle prime ore del pomeriggio poi tornava a casa per farlo dormire tranquillo. Da bambino giocavano a rincorrersi tra i tavoli di legno del locale e aveva festeggiato tra quelle mura ogni compleanno.

Da ragazzino studiava seduto sul bancone con una gamba che penzolava giù dal piano di legno lucido, insieme ad una lattina di 7Up e con le cuffie nelle orecchie. La sera spesso rimaneva lì con sua mamma e ascoltava le band o i solisti che si esibivano sul palco.

Alcuni artisti li aveva visti così tanto spesso che lo chiamavano per nome. Aveva le bacchette sbucciate di un ragazzo che era diventato un batterista famoso entrando in una band di successo e gliele aveva regalate prima di andare via. Una ragazza aveva passato lì un'intera estate e gli aveva dato lezioni di canto e un paio di dritte sugli accordi più facili per rimorchiare.

Evan ci era nato al Blue Rose ed era cresciuto tra quelle mura di legno e le pareti della villetta in cui viveva con Amy, a ritmo delle canzoni dei KISS e degli assoli di chitarra dei Guns N' Roses. Aveva ascoltato tanta musica, aveva visto passare tante persone, diventava la mascotte di ogni band che si esibiva per più di una serata, poi aveva iniziato le superiori e non ci aveva più messo piede.

Era passato dallo stare seduto sul bancone, al cofano del pickup davanti al garage di Harris, a guardare gli occhi blu di quel ragazzo che piano piano si erano trasformati in un sogno.

Nel suo incubo.

L'amore che provava per Ray era una croce che Evan si portava dietro in ogni momento e che lo schiacciava con il suo peso giorno dopo giorno.

Lui era un ragazzo di poche pretese, avrebbe solo voluto una cosa: la possibilità di scegliere.

Anche un maschio andava bene, purché non fosse Ray. Perché la loro amicizia non doveva per nessuna ragione essere rovinata con dei maledetti, stupidi sentimenti.

Eppure, anche se aveva provato di tutto, alla fine si era dovuto arrendere all'idea che non aveva il potere di cambiare le cose e che per quanto lo volesse non poteva scegliere di non amare Ray.

Si sentiva impotente, sentiva di non avere le carte giuste per riprendersi la sua felicità ed era frustrante e triste.

Lo faceva sentire come quando era piccolino e i suoi occhi verdi e ambrati rimanevano interi minuti incantati a contemplare la grande ruota panoramica montata nel parco, illuminata da tante luci colorate che si accendevano e si spegnevano a ritmo alternato. Non poteva mai salire, così si limitava semplicemente a guardare le lampadine e le persone felici che venivano portate in alto.

E lo stesso poteva fare in quei momenti, quando il suo cuore gli sottolineava che non poteva dargli ordini. Era in piedi sul marciapiede con lo sguardo rivolto verso l'alto, verso quelle luci colorate e i sorrisi delle persone, ma quella era una felicità che poteva solo immaginare, sfiorare e contemplare. Non poteva viverla. Sarebbe sempre rimasto vicino, ma non abbastanza per poterla considerare propria.

BLUE ROSE PLAYLIST

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