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By daffodilss_

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Stiles e Lydia erano come due pianeti differenti che viaggiavano sulla stessa orbita: separati ma costantemen... More

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By daffodilss_

"Hey, non vuoi rispondermi?"

Stiles Stilinski, con aria spavalda, le si avvicinò facendo roteare tra le mani la mazza da baseball che stava usando poco prima, mentre Lydia osservava il vuoto senza dire assolutamente nulla, rimanendo immobile.

Il mondo, il tempo, lei: nella sua testa tutto si era fermato, anche la voce di Stiles.

"Dai Lydia, parlam-"
Il ragazzo cercò di farla rinsavire portandole una mano sulla spalla, ma la rossa evitò il contatto in un istante.

Si girò verso di lui, gli occhi lucidi e le mani strette in un pugno.

"Non toccarmi."

In quel momento, Lydia ebbe la risposta alla sua più ricorrente domanda: cosa gli avrebbe detto, se avesse saputo che era la loro ultima volta?

La sua risposta fu: "Niente.", perché era esattamente ciò che aveva fatto in quell'istante.

Stiles rimase con la mano a mezz'aria e la bocca semi-aperta mentre la guardava sorpreso: lei non si era mai ritratta da lui, nemmeno nel loro ultimo abbraccio, e si rese conto che era una terribile prima volta.

Sapeva di aver sbagliato quel giorno di sette anni fa ma, proprio perché era passato tutto quel tempo, pensava lei avesse dimenticato; al contrario, la ferita di Lydia Martin s'era cicatrizzata solo da poco, ed in quell'istante era stata inesorabilmente riaperta.

"Andiamo, ti aiuto col ginocchio. Ho un cerotto"

Stiles, che cercava di trovare un modo per rompere quel silenzio assordante, continuò a guardarla mentre lei se ne stava col viso basso e le braccia incrociate, il ginocchio pallido che era ancora segnato da una macchia rosso fuoco.

Lydia si voltò senza guardarlo e si diresse lentamente verso la panchina dove si era seduta pochi minuti prima e il ragazzo la seguì, senza mai toccarla. 

La giovane si sedette iniziando a rigirarsi i pollici, nel contempo Stiles prese un fazzoletto dalla sua tasca e, controllando che fosse ancora pulito, lo bagnò con l'acqua gelata che scorreva dalla fontana.

Lo strizzò e, mentre era nell'atto di posarglielo sul ginocchio, la rossa glielo strappo da mano e iniziò a tamponare via il sangue.

"Posso farlo da sola." Gli disse freddamente, Stiles sospirò sedendosi accanto a lei; sapeva benissimo che Lydia era capace di cavarsela da sé, eppure il suo aiuto non le aveva mai fatto male.

Mentre lei era impegnata a togliere via il sangue che s'era incrostato, cercando di nascondere una smorfia di dolore, Stiles aprì il cerotto e glielo poggiò sulla ferita, senza che lei potesse controbattere.

Quella situazione, a Lydia, sembrò un'esatta metafora del loro rapporto: lei stava correndo, più veloce che poteva, ed era caduta perché s'era distratta a causa sua, ed ora lui voleva rimediare con un cerotto.

La rossa non poté nascondere un sorrisetto amaro pensando all'ironia di tutto quello che le stava accadendo nel frattempo che Stiles era lì, con le mani intrecciate a fissare il cielo.

Quei due ragazzi che anni primi non s'annoiavano un secondo, anche semplicemente a star seduti sulla sabbia, ora si sentivano due perfetti sconosciuti.

"Quando sei tornato?"

Lydia facendosi coraggio, qualità che sempre l'aveva contraddistinta, si girò verso di lui guardandolo negli occhi, come un tempo, e Stiles si prese qualche secondo prima di risponderle.

E' vero, i loro sguardi erano cresciuti, così come loro, eppure qualcosa gli ricordò il passato: che fossero le pagliuzze dorate negli occhi di Lydia o l'inconfondibile macchiolina nocciola negli occhi scuri di Stiles, questo non lo seppero nemmeno loro.

"Ieri sera ci siamo messi in viaggio da Charleston, due ore e siamo arrivati. Stamattina sono venuto a scuola e ho cominciato, i miei già avevano firmato ogni cosa."

"Quindi in tutto questo tempo, sei stato a Charleston? I miei genitori all'epoca non vollero dirmelo e io non l'ho mai saputo."

I genitori di Lydia, ai tempi, pensavano che la figlia non ci avrebbe pensato due volte a correre ovunque egli si trovasse, per questo evitarono di dirlo, eppure in quell'istante sapere che per tutto questo tempo lui era stato a solo un paio d'ore da lei, le strinse la gola.

Stiles, notando il suo viso ancora pallido e sconvolto da tutto ciò, si sentì terribilmente in colpa, il che non era una novità.

Il ragazzo, però, sapeva che ai tempi non sarebbe mai potuto tornare indietro se non fosse stato strettamente necessario: quel luogo riportava a galla troppi ricordi per lui e per i suoi genitori.

"Sì, stavo lì. E' una città davvero carina, penso sia più o meno grande come Jacksonville ma non ne sono del tutto sicuro."

"Perché sei tornato, proprio ora? Perché sei andato via?" Lydia arrivò diritta al punto, decisa, tagliente, come aveva sempre fatto.

Stiles abbassò lo sguardo, gli occhi fissi sulle sue mani intrecciate e i gomiti poggiati sulle gambe semiaperte.

Si passò una mano tra i capelli corvini e Lydia intanto lo fissava con astio, in cerca di spiegazione, quando riuscì poi a rispondere.

"Mia madre non ce la faceva più in quella casa, si stava esaurendo, così siamo andati via. Siamo tornati perché a papà è stato offerto un posto qui, alla stazione di polizia, e ci sembrava il momento giusto per affrontare tutto." 

Calcò la sua ultima parola con le mani, allargando le braccia ai lati, tornando poi ad osservare la rossa che fremeva dal sapere perché non gliel'avesse detto e perché non l'avesse mai cercata.

"Tu, quel giorno ..." Lydia fece una pausa, assicurandosi che il ragazzo ricordasse di che giorno stessero parlando. "... Quel giorno, lo sapevi. E non mi hai detto niente, sei andato via così."

Stiles rigirò il capo sospirando, il viso rivolto in alto. 

"Non volevo farti male, Lydia. So che avrei dovuto cercarti ma all'inizio pensavo ti avrei solo fatto stare peggio e, quando credevo fosse passato abbastanza tempo, era troppo tardi."

Il giovane prese coraggio e la guardò, dicendole ciò che aveva sempre pensato di dirle, quando si sarebbero un giorno rincontrati.

"Non è mai stato tardi, ora sì, però."

Lydia si alzò, ottenute le sue risposte. Credeva che sapere perché l'avesse abbandonata, perché non si fossero più sentiti, l'avrebbe fatta sentire diversa e avrebbe riempito i vuoti.

Invece si sentiva più vuota che mai.

"Lydia, non volevo ferirti!" Stiles s'alzò con lei, cercando di giustificarsi, ma gli sembrò inutile: Lydia andava spedita lontano da lui.

"Missione fallita!" ringhiò continuando a camminare, braccia diritte e passo veloce.

Stiles corse per raggiungerla e le si pose davanti, in modo che non potesse continuare.

"Aspetta un attimo, e poi potrai non parlarmi più." Mise le mani davanti, Lydia sbuffò a braccia conserte e aspettò ciò che aveva da dirle.

Stiles iniziò a scavare nelle tasche interne della sua giacca verde militare e lei, in quel momento, non aveva idea di cosa stesse facendo.

"Tieni!" il ragazzo le prese il polso e, in mano, le lasciò quel qualcosa che aveva trovato nei meandri delle sue tasche e poi parlò, ancora con la mano nella sua e stringendole il polso.

"Non ti ho abbandonato, Lydia."

Stiles la guardò intensamente e la giovane pensò che, anche anni fa, la guardava allo stesso modo, e  ritrovarsi a sentire di nuovo la sua mano calda, vicino alla sua gelata, la commosse.

Il ragazzo le sorrise, poi la lasciò e tornò indietro, verso il campo, con le mani nelle tasche dei jeans.

Lydia per qualche secondo rimase immobile a fissare il vuoto, pensando alle sue parole ancora con la mano ben stretta.

Aprendola lentamente, vide una piccola conchiglia aranciata, forse un po' vecchia, ma pur sempre bella come anni fa.

Appena la riconobbe, si voltò alle spalle per chiamarlo, ma le parole le morirono in gola quando vide che Stiles non c'era più. 

Lydia rimase lì, a fissare il campo, la conchiglia stretta al petto come in una morsa.

La ragazza si sedette in terra sulle ginocchia, nonostante le facessero male, e il capo chino come a voler proteggere quel dono, stretto a sé.

Non se n'era mai andato.

"Lydia, ma dove sei stata? Quando è suonata la campanella sono passata davanti alla tua classe per tornarcene insieme, ma mi hanno detto che non ti sei presentata a lezione."

Nel momento in cui Lydia s'era riuscita ad alzare dall'asfalto, la lezione era già a metà e s'era fatto troppo tardi per entrare, per questo decise di aspettare Allison sull'entrata, dove sapeva che sarebbe passata.

Allison Argent, invece, guardò l'amica con una lieve aria di rimprovero e le braccia conserte, cercando di capire perché se ne fosse andata così.

"Sono andata in infermeria e, quando sono uscita, era troppo tardi per andare a lezione. Mi sono messa qui fuori, al sole, sai che si sta proprio bene?"

Lydia ridacchiò, quasi prendendola in giro e Allison, dapprima dubbiosa, si rassicurò.

Le due s'incamminarono parlando un po' del più e del meno, e la mora notò come la ragazza sembrasse meno scossa di qualche ora prima.
Nel frattempo, per Lydia era sul serio così: lei si sentiva meglio.

Se prima ella veniva divorata dai dubbi, dai perché, dalle risposte mai date, ora si sentiva più calma: sapeva che non era stata colpa sua e che, anche se avesse saputo, non avrebbe potuto fare niente.

Per lei era ormai storia chiusa, ora l'obiettivo risiedeva nel vederlo il meno possibile.
Arrivate in un incrocio, Allison, aggiustandosi la sciarpa rosso fuoco sulla bocca, proseguì per la sua strada e le due, dopo essersi salutate, si separarono.

A Lydia, dal momento in cui l'amica andava per la sua strada, mancavano pochi metri da casa sua, così li percorse rigirandosi tra le mani la conchiglia che poco prima aveva messo nella tasca dei jeans, indossati dopo essersi tolta la tuta da ginnastica.

Quando arrivò di fianco a casa sua, voltandosi da un lato all'altro notò che, a sette anni di distanza, sia casa sua che casa Stilinski erano illuminate. 

Le parve strano riuscire a distinguere il colore delle vecchie pareti dalla finestra che affacciava dal piano terra, ma non come vedere le tendine che ondeggiavano dal balcone della camera da letto al piano di sopra.

I signori Stilinski, in tutti quegli anni, non avevano mai venduto la casa ed avevano pagato le bollette di acqua, gas e luce mensilmente.

Inoltre, ogni tanto, una signora a Lydia sconosciuta veniva a ripulire il giardino e ad estirpare le erbacce. 

Quando succedeva, Lydia si prendeva sempre qualche minuto per osservare quel giardino da camera sua e addirittura qualche volta, con il permesso della giardiniera, c'era anche entrata mentre lei era in pausa. 

Lydia si perdeva tra i cespugli e i fiorellini che crescevano spontanei ai piedi della casa e ricordava poi i pomeriggi passati a sporcarsi le mani, con una corda, un pallone ed un qualche fortino mal fatto.

Rigirò i tacchi degli stivaletti verso casa sua e, salendo il paio di gradini che portava al campanello, bussò.

La signora Martin, con il sorriso sul volto, le aprì e la fece entrare, chiudendole dietro la porta.

Lydia, che già sull'ingresso aveva sentito le risate, quando entrò e vide i signori Stilinski seduti al tavolo della sua cucina con i suoi genitori, si fermò.

La madre le mise una mano sulla spalla e la invitò ad avvicinarsi mentre lei era ancora con la bocca semiaperta e le mani che tremavano leggermente.

Quando finalmente gli ospiti si accorsero di lei, rimasero sorpresi e corsero ad abbracciarla.

"Lydia, santo cielo, ma quanto sei cresciuta!"
Claudia la strinse a sé con vigore e la giovane non poté altro che ricambiare l'abbraccio sforzando un sorriso profondamente imbarazzato.

"Fatti vedere, sei diventata così bella!"

La donna si staccò osservandola da capo a piedi, accarezzandole poi la chioma biondo fragola e accennando un sorriso nostalgico.

Noah Stilinski, osservando la moglie e Lydia a pochi passi da lui, mise una mano sulle spalle della rossa e poi la guardò, sorridendo anche lui.

"Non pensavo saresti cambiata così tanto, Lydia, ma in fondo sette anni sono parecchi."

"Succedono tante cose in sette anni." Lydia fece una risatina, guardandosi intorno e sentendosi tornare alla sua infanzia.

Gli sguardi degli Stilinski, osservò Lydia, erano identici, forse solo segnati da qualche ruga in più regalatagli dal tempo; ella, però, era sicura nel dire che vedeva stanchezza nei loro occhi, e poteva capirne il perché.

"Tesoro, perché non vai a chiamare Stiles?"
"Sì, è vero, abbiamo aspettato te per chiamarlo."

Jeff e Natalie Martin guardavano la figlia bevendo il loro tè ed incitandola a chiamare il ragazzo dall'altro lato della strada.

"Sì, vai, sarà contento di stare qui con noi, infondo lo sappiamo benissimo che non sta di certo sistemando la sua camera come gli avevo detto."

I quattro adulti risero e Lydia non poté far altro che assecondarli. Armandosi di coraggio, uscì spedita dalla porta di casa e si diresse verso il campanello di casa Stilinski solo che, nel momento in cui s'apprestò a suonare, s'accorse che non era ancora stato attaccato.

"Oh, perfetto." Mormorò la rossa sbuffando tra sé e sé, roteando gli occhi per la sfortuna.

Lydia scese i gradini e si guardò intorno, cercando di trovare una soluzione ma, l'unica idea che le venne, le fece salire un brivido lungo la schiena.

Resasi conto che non ci fosse nessun'altra alternativa, si fece coraggio a prese una decisione: avrebbe chiamato Stiles dalla finestra. 

D'un tratto, come se la piccola se stessa del passato si fosse impossessata di lei, nonostante gli stivaletti scomodi scavalcò lo steccato del giardino, prese una pietra e la lanciò alla sua finestra.

Mentre Lydia si sentiva stranita da quella situazione, di un genere di cui s'era ripromessa di evitare, Stiles Stilinski leggeva "Les Misérables" di Victor Hugo sul suo vecchio letto, su cui ancora non c'erano le lenzuola.

Il giovane era così perso nel periodo che posticipava la Rivoluzione Francese, che non si accorse del primo sassolino che andò a colpire il suo vetro.

Quando Lydia, però, ne lanciò un secondo, che scandì un rumore sonoro nella testa del giovane, egli s'immobilizzò per un attimo, poiché istintivamente una vecchia parte di sé aveva pensato alla ragazza senza nemmeno affacciarsi.

Stiles s'alzò dal materasso spoglio e s'affacciò, giusto in tempo per assistere al -quasi- terzo lancio di Lydia.

"Hai intenzione di uccidermi per caso?" disse il moro sarcastico, poggiando i gomiti sul davanzale della finestra.

"Oh, no, mi hai scoperto!"
Lydia interruppe il suo lancio, alzando la voce per farsi sentire meglio.

"Non avevi detto di non volermi parlare più?"
"Infatti non sono io, ma i nostri genitori nella casa a fianco che vogliono la tua presenza."

I due battibeccarono con un pizzico di infantilità, finché Stiles non le chiese di salire sopra da lui, dato che doveva sistemare il letto prima di andare.

Lydia inizialmente rifiutò categorica, facendo anche istintivamente qualche passo indietro, con le braccia dietro la schiena.

"Paura?"
Stiles, anche da piccolo, aveva sempre saputo come prenderla ed era a conoscenza del fatto che le parole paura e Lydia non si potessero mai incontrare.

La ragazza, senza nemmeno rispondere, corse alla porta, aspettando che Stiles gliela aprisse.

Il giovane le aprì e si mise a lato, facendola passare; Lydia guardò prima lui, poi la casa, ed infine rimase immobile nell'esatto istante in cui il profumo di quell'abitazione le inondò il naso.

Nonostante le pareti fossero da riverniciare e fosse tutto coperto da grossi e ingombranti scatoloni, per Lydia tutto era uguale ad anni fa.

Nella sua testa infinite immagini si susseguirono a catena e, uno dopo l'altro, i ricordi ricomposero l'ingresso come in un mosaico.

"E' strano, vero?"
Stiles si guardò intorno, sapendo esattamente cosa stava provando la rossa in quell'istante, poiché l'aveva vissuto qualche ora prima di quello stesso giorno.

Lydia non rispose nemmeno, annuì semplicemente al ragazzo, riportando poi lo sguardo tutt'intorno a lei, poiché non c'era bisogno di altre parole.

"Dai, sali." Stiles sbloccò quel silenzio cominciando a salire le scale, mentre Lydia si prese ancora qualche istante.

Se solo l'ingresso le aveva fatto quell'effetto, cosa le avrebbe portato entrare nella sua camera?

Prese coraggio sfregandosi l'avambraccio e cominciò a salire la scalinata, la cui fine, ad ogni passo, sembrava più lontana.

Quando arrivò sulla soglia, rimase immobile mentre guardava di fronte a lei con lo sguardo perso nel vuoto.

Per Lydia ogni cosa era al suo posto, nonostante la polvere, la vernice scolorita, le scatole in giro.

Ogni mensola, ogni libro, ogni lampada, ogni oggetto si rimise dove era sempre stato, ogni crepa sul muro recuperò la sua storia mentre i mobili si posizionarono fulminei come i pensieri nella sua testa. 

Lei ricordava tutto: i pomeriggi quando tornavano da scuola, le serate quando non avevano compiti e le mattinate d'estate passate a litigare con la PlayStation.

Stiles era seduto sul suo vecchio materasso con un libro in mano, come si faceva trovare ogni volta, e Lydia si rese conto che, certe cose, non cambiano mai.

"Che fai, non entri?" le ripeteva sempre, a quei tempi.
"Che fai, non entri?" le ripeté in quel momento.
Fu un fulmine a ciel sereno.

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