All I want for Christmas is...

By yellow_daffy_writer

27.2K 1.3K 674

[COMPLETA] Jeremy Parker ha 22 anni ed è un criminale. Ha chiesto al suo migliore amico di aiutarlo a rapire... More

1. Deck the Halls
2. Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose
3. Everybody's Fault
4. The Value of a Life
5. Fresh Fish and Hot Thoughts
6. Oh Holy Light
7. Monsters at the Diderot
8. Athens and Sparta
9. Heavens and Bell
10. A Lot of Things Together
11. Fatal Encounters
12. Save You to Save Me
13. All Kinds of Love - part 1
15. Omnia vincit amor

14. All Kinds of Love - part 2

1.2K 74 46
By yellow_daffy_writer

Allyson camminava lungo i corridoi ascoltando l'eco prodotto dai suoi passi. Non amava attirare l'attenzione, ma apparentemente lì ci riusciva benissimo, nonostante avesse in piedi un paio di mount boot ancora sporche di fango che producevano un rumore abbastanza molesto.

Forse, comunque, non era esattamente il rumore a far rizzare le antenne a quella gente, quanto il fatto che una ragazza giovane e di bell'aspetto vagasse per quel posto inusuale.

Tuttavia, Allyson non guardava e seguiva a testa bassa la guardia che le faceva strada.

Svoltato un angolo pieno di asciugamani da lavare tra cui una donna di servizio stava frugando, la guardia si fermò ed estrasse un mazzo di chiavi dalla tasca.

La massiccia porta di ferro si aprì non senza produrre un fastidioso cigolio e l'immagine di una sala abbastanza grande si stagliò di fronte agli occhi della ragazza. Al centro vi erano tre lunghi tavoli con delle panche incorporate e una delle pareti era divisa orizzontalmente tra muro e vetro. Il colore dominate era un verdino acido, abbastanza sgradevole, sui tavoli e sulle pareti.

In ogni caso, non era quello a risaltare, ma piuttosto l'arancio vivo della divisa di Richard Stuart, che si trovava seduto al tavolo centrale, assorto in chissà quali pensieri, poco prima che Allyson entrasse.

Non appena sentì il rumore delle chiavi nella toppa, rizzò la testa repentinamente e, riconosciuta la sorella, si alzò in piedi con tutta l'aria di un fuoco d'artificio che sta per esplodere.

"Ally!"

"Richard!"

La guardia non ebbe nemmeno il tempo di trattenere la ragazza per un braccio, che questa era già saltata al collo del fratello, i piedi sollevati da terra e il viso affondato nella sua spalla.

Non ce la fece quell'uomo a sgridarla o ad ammonire il ragazzo, distolse semplicemente lo sguardo come se non si fosse accorto di nulla. D'altronde sapeva la storia del neo-detenuto e, non appena aveva dato un'occhiata alla scheda del visitatore, ossia Allyson, aveva previsto che sarebbe stato un incontro toccante. Era raro, per il carcere di Bourton, detenere gente così giovane.

"Oh, Ally..." sussurrava il ragazzo che la guardia vedeva di spalle, mentre non poteva notare come accarezzasse dolcemnete i morbidi ricci della sorella.

Allyson allentò la stretta solo per guardare Richard negli occhi e riconoscervi un'inaspettata serenità. Al contrario, però, il ragazzo si era accorto già da qualche istante che gli occhi di lei erano tutt'altro che tranquilli.

Le passò una mano sulla fronte per spostare i riccioli ribelli e poi dolcemente percorse il profilo della sua guancia con il pollice: "Ehi."

"Richard, sei stato un incosciente." disse a bassa voce, con un'espressione preoccupata e confusa. Doveva ancora capire molte cose, Allyson.

"Tutt'altro." spiegò lui pazientemente. "La mia è stata una presa di coscienza."

"Sì, lo capisco, ma..."

"Per la prima volta ho fatto qualcosa di giusto, Ally. Lo dovevo fare." cercò di tranquillizzarla. "Per Parker, per Taylor, per te e...soprattutto per me."

"Ma adesso...?" la ragazza gli rivolse uno sguardo vuoto, gli occhi che impiegarono pochissimi istanti a riempirsi di lacrime.

"No, non devi piangere." la sgridò portando entrambe le mani sul suo volto.

Facile a dirsi, pensava. Da tre giorni a quella parte era stata bravissima: non aveva versato mai nemmeno una goccia, né per la disperazione di Taylor, né per la rabbia di Alex. Non si era fatta sopraffare da nessuna emozione, nessun pianto l'aveva contagiata, era come se per 32 ore fosse stata completamente apatica.

In realtà, non era apatia, ma coraggio. Era sempre stata forte per gli altri, senza che nemmeno avessero dovuto chiederglielo. Avrebbe potuto unirsi ai singhiozzi della sua amica, o avrebbe potuto rimprovevrare la scontrosità del suo ragazzo, ma non l'aveva mai fatto.

Dopotutto, anche se nessuno se n'era accorto, il dramma aveva toccato anche lei.

Dopo che la macchina di Richard aveva frenato sulla neve, la mattina della vigilia di Natale, Alex e lei erano scesi di gran carriera per soccorrere i loro amici. Richard, invece, era rimasto immobile nell'abitacolo, le mani strette sul volante e lo sguardo fisso davanti a sé.

Allyson era inginocchiata a terra, occupata a sorreggere Taylor, quando aveva intuito che qualcosa non andava. Si era voltata verso di lui e, sconvolta per gli eventi, ma ancora lucida, gli aveva chiesto cos'aveva in mente. Lo aveva già capito, prima ancora che lui le rispondesse, ma in quel momento sperava con tutta se stessa che avesse cambiato idea.

Invece Richard le disse di resistere finché non sarebbe arrivata l'ambulanza; lui sarebbe tornato entro qualche ora.

Non gli aveva creduto, Allyson, e aveva fatto bene perché l'avrebbe rivisto solo dopo qualche giorno, in prigione. Così, dopo una breve discussione, lo aveva salutato per l'ultima volta, incapace di dire o fare qualsiasi cosa per fermarlo. Qualche ora...dicono sempre così, gli uomini, non hanno la minima misura del tempo.

Richard aveva percorso l'autostrada ai 150, violando chissà quante leggi in una trentina di minuti. Aveva passato Cirencester, Stroud, Bath e si dirigeva verso Sud, sapendo esattamente dove sarebbe finita la sua corsa.

Fuori dal Cotswolds c'era una città portuale, Bristol, in cui una barca non autorizzata aspettava Cordano qualora avesse avuto bisogno di darsela definitivamente a gambe. Lo sapeva solo Richard e riteneva che questo fosse il momento giusto far tesoro di quel segreto. D'altronde era sicuro che il suo caro maestro fosse sulla strada della fuga decisiva.

Così accelerava ed evitava per un pelo un sacco di possibili incidenti, perché sapeva che se Cordano avesse raggiunto quella barca, non ci sarebbe stato modo di fermarlo. Certo, aveva già avvisato la polizia portuale di Bristol perché lo intercettasse, ma quell'uomo aveva un numero infinito di risorse e Richard era sicuro che occuparsene personalmente sarebbe stata l'opzione migliore.

In fondo, aveva passato quattro anni a fargli da spalla e, sebbene da una parte avesse appreso quanto scaltro e intuitivo fosse quell'uomo, dall'altra aveva anche imparato quali fossero i suoi punti deboli. Una medaglia ha sempre due facce, dopotutto.

Richard era sempre stato grato a Edoardo. Nonostante tutto, non poteva negare che quell'uomo l'avesse formato. L'aveva preso come un ragazzino spaventato e arrabbiato e lo aveva trasformato, anche se con metodi poco ortodossi, in un ragazzo forte e indipendente. Grazie a lui aveva imparato a farsi valere, a difendersi. Adesso che era anche diventato consapevole, però, aveva capito che Edoardo gli aveva insegnato tutto tranne l'amore e il rispetto per il prossimo, così, ciò da cui doveva realmente difendersi ora era lui, il suo maestro. E nel comprenderlo, Richard era diventato un uomo.

Aveva raggiunto il porto ed era riuscito a intercettarlo per un pelo: stava percorrendo un molo secondario, ormai in disuso da anni, a cui attraccavano solo i pescatori.

Aveva gridato il suo nome e, senza mai smentire se stesso, Cordano si era girato con un sorriso sulle labbra. Un sorriso cattivo, corrotto da troppo tempo. Un sorriso che sarebbe stato molto difficile far tornare puro e spontaneo.

Per un secondo Richard ebbe paura di quel sorriso, ma poi ricordò perché era giunto fin lì lasciando tutto ciò che aveva a Bourton, compresa la sua futura libertà.

Non aveva armi con sé, quindi non poteva concedersi il lusso di temporeggiare, così passò subito alle maniere brute e si gettò contro Edoardo, badando bene a bloccargli le mani in modo che non afferrasse quella pistola che utilizzava con tanta facilità. Edoardo era più basso, magro e debole di lui, per cui riuscì ad avere subito la meglio e lo fece cadere di schiena contro il legno umido del molo.

In quel momento Edoardo Cordano, senza la sua pistola e senza alcuno scagnozzo che gli guardasse le spalle, sembrava indifeso. Eppure solo una mezz'ora prima aveva sparato a un ragazzo di ventidue anni per vederlo morire assieme all'amore che per la prima volta aveva vissuto.

Per circa un minuto rimasero stesi sul pontile a evitare i reciproci colpi, finché Richard non afferrò la schiena di Cordano e, portando tutto il suo peso da una parte, fece in modo di trascinarlo con sé dentro all'acqua.

Lo schiaffo gelido che ricevettero li bloccò per qualche istante, ma Richard, che era più giovane e in forma, ebbe per primo la prontezza di afferrare le spalle dell'uomo e spingerlo in basso, più a fondo nel mare ghiacciato dell'Inghilterra meridionale. Sperava, in quel momento, che Cordano sentisse la stessa morsa che aveva attanagliato Jeremy quando si era ritrovato inerme e senz'aria sulla neve.

Sperava che per una volta nella sua vita Cordano capisse cosa non era giusto. Cosa non era umano.

Lasciò la presa solo quando il freddo cominciò a penetrargli nelle ossa e, nell'istante in cui l'uomo risalì in superficie per respirare, la polizia navale di Bristol raggiunse il molo, portando con sé armi a sufficienza per far perdere a Cordano qualsiasi voglia di fare il furbo.

I due furono caricati sulla barca attrezzata e, dopo essere stati ammanettati, ricevettero una coperta e una maschera per l'ossigeno. Cordano non aveva uno sguardo sconfitto, né deluso. Aveva uno sguardo rassegnato. Forse solo allora Richard capì che quel sorriso, quello che Cordano gli aveva rivolto appena l'aveva visto, non era un sorriso di scherno, ma di rassegnazione. E si ricordò dell'ultima telefonata che avevano avuto.

Era da quel momento che Cordano si era rassegnato. Era più vecchio di lui e sapeva come andavano certe cose. Prima di diventare quello che era, pure lui era stato giovane e allora aveva potuto capire molto da quei pochi minuti di conversazione. Aveva capito che la sua rovina non sarebbe stata Jeremy, bensì Richard. E anche se avesse dovuto farcela dopo quella storia, prima o poi quello Stuart l'avrebbe fatto ammanettare.

Forse non era stato abbastanza bravo a mettergli in testa certe idee, forse semplicemente non aveva previsto che alla fine di tutto l'amore, quello di cui blaterava Jeremy, avrebbe toccato anche i più apparentemente immuni. Forse, tutto sommato, era proprio lui, Edoardo Cordano, ad aver fatto male i suoi calcoli. E non perché non avrebbe dovuto fidarsi delle persone, ma perché avrebbe dovuto capire che le persone non si sarebbero mai fidate di lui.

"Non ce la faccio, Richard." sospirò Allyson lasciando affondare il viso nell'incavo della spalla del fratello. "Non ce la faccio senza Alex e senza di te."

Adesso al ragazzone spettavano quindici anni di reclusione, per tutto quello che aveva fatto in passato, durante la sua vita da giovane ribelle sotto l'influenza di Cordano. Sapeva a cosa sarebbe andato in contro esponendosi così tanto per fermare quel criminale, ma ormai non gli importava. Lo doveva a Jeremy e Taylor. E anche ad Alex. Ma, soprattutto, lo doveva a sua sorella.

E sapere che ora Edoardo Cordano era condannato all'ergastolo alleggeriva di un po' la sua pena.

"Shh." lui la strinse inspirando il profumo del suo balsamo. "Sarebbe andata così, lo sapevamo. Mi hai insegnato tanto, Ally...e come fratello maggiore non mi aspettavo di imparare da te. Pensavo che saresti stata tu, un giorno, ad ammirare quello che il tuo fratellone faceva. Volevo essere il tuo eroe, ma avevo sbagliato completamente il modo in cui esserlo."

"No, Richie." la ragazza lo guardò, anche se non voleva fargli vedere i suoi occhi pieni di lacrime. "Tu sei il mio eroe. E anche se Tessy mi ha sempre detto che ero pazza, lo sei sempre stato. Non ho mai perso la fiducia in te."

Sorrisero entrambi, guardandosi. Gli stessi occhi nocciola che si specchiavano e si ammiravano. Si erano sempre voluti bene Allyson e Richard, indipendentemente dalle circostanze, e nemmeno adesso sarebbe cambiato qualcosa. Anzi, il loro amore fraterno non avrebbe fatto altro che fortificarsi sempre di più.

Richard la accarezzò di nuovo e le diede un bacio sulla fronte: "Per una volta sento di meritarti."

Era una frase forte e strana pronunciata da un ragazzone così imponente e all'apparenza grezzo, ma fu una frase che sciolse il cuore di Allyson. Non aveva fatto nulla per lui, eppure aveva fatto così tanto. Aveva cambiato suo fratello, l'aveva fatto diventare un uomo migliore e che importava se ora avrebbe dovuto pagare per gli errori passati? Tutto sommato era lì a Bourton, a pochi passi da casa sua. Gli sarebbe sempre stata vicino, l'avrebbe visto ogni giorno.

"So a cosa pensi." le disse nascondendo un sorriso divertito. "Sarà più bello, adesso. E dovrai abituarti a vedermi sempre."

"Sì, però tu non sarai felice..."

"Lo sarò finché sarai a fianco a me, come lo sei stata finora." garantì con un buffetto sulla sua guancia. "E poi così potrò tenermi aggiornato sulle mosse di quell'Alex."

Il volto di Allyson si incupì: "Non credo che ce ne sarà bisogno."

"Perché?"

Lei abbassò gli occhi, cercando di evadere l'argomento.

"Ehi, Ally. Non mi dirai che ti ha lasciato? Devo pestarlo?"

"No, Richie, sono stata io ad allontanarlo. Di nuovo."

"E ripigliatelo, no? Di nuovo."

Allyson scosse la testa mestamente, triste e affranta: "Non credo che vorrà tornare da me ancora una volta."

"È impossibile che qualcuno voglia stare lontano da te."

"Lo dici solo perché non hai sentito come l'ho trattato. L'avevo lasciato una prima volta e poi lui è tornato per convincermi di nuovo. Ma dopo la vostra rissa mi sono arrabbiata, non ho voluto dargli ascolto e gli ho detto delle cattiverie che non pensavo. Praticamente, l'ho lasciato una seconda volta, ma non volevo farlo davvero! Insomma..."

Richard sorrise: "Si vede che quel ragazzo ti fa proprio perdere la testa."

"Richie, ti prego." alzò gli occhi su di lui ed erano lucidi. "Non sai quanto male mi sento. Se solo gli avessi dato un po' di fiducia, avrei potuto capire le sue motivazioni. Invece c'è stato bisogno che Taylor tornasse e che fosse lei a raccontarmi che meravigliosa persona ho ferito così profondamente."

"Ally." Richard agì contro le sue simpatie, ma si sentì in obbligo di difendere Alex, perché, nonostante tutto, aveva dato prova persino a lui di essere una bella persona. "Vedrai che lui sarà disposto ad ascoltare le tue scuse. Vedrai che ti capirà."

"Non ne sono così convinta..."

"Allyson." disse Richard, il tono fermo. "Alex ti ama."

La ragazza lo guardò con gli occhi spalancati. Non si sarebbe mai aspettata che Richard potesse pronunciare quelle parole. Per nessun uomo, per Alex ancor meno.

"Ti ama." ripeté lui. "Posso anche non sopportarlo, ma è impossibile non riconoscerlo. Quel giorno mi ha fatto capire che non ci potrà mai essere nessuno di più adatto a te, se non lui."

Allyson era così colpita da quelle parole che ammutolì.

"Vedrai che ti capirà e ti perdonerà. Come anche tu hai capito e perdonato lui, in passato." la rassicurò.

"Sei sicuro?"

"Certo." disse. "Parlaci, ok? Non lasciare che i casini di Cordano influiscano anche su voi due."

"Mmm...va bene."

"Me lo prometti, Ally?"

"Promesso."

"Bene." sorrise lui beffardo. "Proprio ora che mi ero illuso del fatto che non avrei avuto un cognato così idiota!"

Ad Allyson finalmente scappò una risata. Offesa, ma pur sempre una risata.

"Richard! Sei sempre il solito!"

Richard la abbracciò con forza, strinse le sue braccia attorno alla sua esile vita ed espirò contro i suoi capelli, sorridendo.

"Sì, sempre, Ally."

Si dice che allo scoccare della mezzanotte a cavallo tra il 31 dicembre e il primo gennaio sia buona consuetudine indossare qualcosa di rosso, per buon auspicio.

Ad Alex questo particolare sfuggiva ogni anno, eppure, fino a quel momento, si poteva dire che fosse filato tutto liscio. Forse, aveva pensato, il fatto che non avesse mai indossato nulla di rosso la notte di Capodanno aveva accumulato la sfiga fino a quel punto e ora lo spirito del 'qualcosa di rosso' si stava vendicando facendogli passare l'inferno.

La sua ragazza cercava continuamente di comunicare con lui, ma lui la evitava per paura di essere lasciato di nuovo, Taylor lo odiava a morte per tutto quello che le aveva sputato addosso circa una settimana prima, il suo migliore amico non dava alcun segno di miglioramento e il mondo, per lui, sembrava essersi ridotto a una stanzetta asettica e silenziosa.

Aveva perso tre chili e parecchio colore in viso, tornava a casa a orari improbabili, dopo essere stato malamente cacciato dalle infermiere, e non aveva ancora dormito più di due ore senza fare incubi insopportabili. Al contrario di Taylor, o delle altre persone coinvolte nella faccenda, Alex non riusciva a farsi aiutare. L'unica reazione che gli veniva spontanea era quella di respingere chiunque, persino Allyson.

Si chiudeva in se stesso, nei pensieri, nei ricordi e allora realizzava che fino a quel giorno non aveva avuto altro che Jeremy. Si conoscevano dall'età di undici anni, dopotutto.

Al tempo Jeremy era il ragazzino che in classe stava sempre zitto e non aveva amici, mentre Alex era il fighetto che faceva colpo sulle compagne. Jeremy era timido e non conosceva nessuno, mentre Alex era amico di quasi tutti i ragazzini della scuola. Bourton era piccola, eppure era come se Jeremy si fosse appena trasferito lì, mentre Alex era di casa in qualsiasi famiglia.

Jeremy tornava a casa a piedi e veniva accolto da sua nonna, che gli domandava se si fosse ricordato di comprarle il giornale, mentre Alex veniva accompagnato dai genitori, nella lussuosa Bmw nera che faceva invidia a tutti. Jeremy se la cavava abbastanza in matematica, mentre Alex sapeva giocare a basket.

Allora un giorno Alex chiese a Jeremy di dargli una mano in matematica, così poi si sarebbero fatti una partita a basket nel suo cortile. Non seppe bene perché chiese a lui, tutto sommato molti altri suoi compagni erano addirittura più bravi e socievoli, ma con il tempo realizzò che era perché aveva una faccia simpatica e gli dispiaceva che uno con una faccia così rimanesse solo a fissarsi le scarpe.

Infatti, il giorno in cui gli parlò per la prima volta, quel bambino di appena undici anni con una massa di capelli biondi spettinati e la faccia cosparsa di lentiggini si stava guardando i piedi, pensando a chissà cosa.

"Jerry." lo chiamò allegramente il ragazzino dai tratti mediterranei.

Il biondino alzò la testa e gli rivolse uno sguardo che lo colpì. Non si aspettava di scontrarsi con occhi tanto chiari e freddi, non li aveva mai osservati così da vicino. Era come quando si guardava un film, tutti presi da una scena cupa, e tutt'un tratto lo schermo diventava chiarissimo e luminoso, tant'è che faceva addirittura male guardare.

Ed era strano perché non se lo aspettava. Vedeva Jeremy Parker ogni giorno a scuola, quindi avrebbe dovuto sapere che aveva uno sguardo del genere, invece quel giorno era come se lo vedesse veramente per la prima volta. Due occhi chiarissimi, pieni di pensieri e sorpresi. Però non sembravano sorpresi in senso negativo; sembravano piuttosto speranzosi.

"Alex?" rispose quello osservandolo a metà via tra il dubbioso e il curioso, chiedendosi perché Alex Bell si prendesse tanta confidenza con lui, ma rispondendosi subito che lo faceva perché era un tipo stupido e tendeva a trattare tutti da amiconi. Probabilmente gli avrebbe chiesto di unirsi a lui per fare qualche ludica e interessante attività ricreativa.

"Perché non ti unisci a noi per una partita di basket con il sacchetto della merenda di Lynn?"

Ecco appunto.

"Mi spiace, non mi va." tagliò corto tornando ai suoi pensieri. Tipo al giornale dimenticato che gli avrebbe causato un pomeriggio di rimproveri e lamenti. Se sua nonna non l'aveva ancora mollato per strada per trasferirsi in Australia, l'avrebbe fatto quel giorno. Glielo diceva che era stanca di lui e anche se non gliel'avesse ricordato ogni santa volta, l'avrebbe capito da solo. Quasi quasi era meglio l'orfanotrofio che vivere con la mamma di suo padre. Sapeva che lei l'aveva preso in cura solo per soldi. E che, tra l'altro, se n'era pentita.

"Non verresti nemmeno per vedere William che imbratta la bici nuova di Stevenson?"

Jeremy fece no con la testa senza riuscire a reprimere la voglia di alzare un sopracciglio. I suoi coetanei erano davvero stupidi e infantili, ma quel Bell li batteva tutti.

"A dire il vero contavo più che altro che saresti venuto da me questo pomeriggio. Sai...per fare due tiri a basket e un po' di matematica." propose allora un po' deluso per l'impassibilità dimostrata dal compagno.

Non seppe se fu per la sorpresa di quella richiesta, per l'insistenza, oppure per l'opportunità di evitare un pomeriggio con sua nonna, ma Jeremy gli concesse un secondo di attenzione in più, mossa che fece comparire un gran sorriso sulla faccia da bambino di Alex. Jeremy l'uomo di ghiaccio sembrava interessato a passare un pomeriggio assieme a lui.

"Ti riaccompagnamo noi a casa!" aggiunse come se ciò potesse obbligare il suo compagno ad accettare definitivamente. Come se la batteria di pentole inclusa potesse essere ciò che determina l'acquisto di una nuova cucina.

Jeremy aprì la bocca per ringraziare, ma declinare l'invito. Tuttavia, nel momento in cui avrebbe dovuto farlo, si ritrovò invece a chiedere se avesse potuto prestargli il telefono per avvisare sua nonna.

Ne erano ancora entrambi inconsapevoli, ma in quel momento stavano legando assieme due vite. Due sole parole scambiate durante una ricreazione stavano dando vita a un'amicizia indissolubile, che sarebbe andata oltre tanti pericoli e complicazioni.

La signora Angelina Twain Parker concesse entusiasticamente al nipote di passare un pomeriggio dall'amico e telefonò in men che non si dica al salone "Claire's" per prenotarsi una benedetta messa in piega. Pareva che quella strana situazione avesse messo il buon umore a un sacco di gente.

Così i genitori di Alex, suonata la campanella delle 12.40, accompagnarono i due ragazzini fino alla casetta gialla di Birch Street, costellata di tulipani fucsia e viola nei davanzali e provvista di un piccolo campo rettangolare nel giardino, come si confaceva alle case delle famiglie benestanti di Bourton.

Passarono il pomeriggio come aveva previsto Alex, se non meglio ancora. Svolsero i compiti di matematica, presero il tè che la signora Bell, londinese di nascita, non si faceva mai mancare e uscirono sotto il sole delle cinque. Sudarono un bel po', ma non si stancarono per ore.

Giocarono un po' a basket e poi a qualcosa che Jeremy aveva inventato. Qualcosa di avventuroso che stupì Alex e lo fece sentire soddisfatto di aver voluto stringere amicizia con lui. Sì, perché quel bambino così timido si era lentamente aperto durante la giornata, come quell'origami che, a contatto con l'acqua, sboccia come un fiore. E l'acqua per Jeremy era stato Alex.

Dopo essere usciti, gli era spuntato in viso un sorriso entusiasta e un po' malizioso, che Alex non si aspettava e che gli fece venir voglia di fare tante domande al suo compagno, perché ora sapeva che gli avrebbe risposto.

Ma fu troppo preso dal gioco che fecero per tutto il pomeriggio e si dimenticò di interrogarlo. D'altronde, aveva vissuto un'avventura bellissima; fingendo di essere un esploratore in un'isola selvaggia, il suo quartiere, e visitando, di fatto, luoghi di cui aveva da sempre ignorato l'esistenza. Anzi, a essere precisi, Alex conosceva a occhi chiusi ogni angolo di Birch Street, ma con Jeremy gli era parso che tutto fosse nuovo, diverso, più bello.

Prima che scendesse dall'auto per fare ritorno alla modesta casa della nonna, parecchi isolati più distante dalla sua, gli chiese di dargli il cinque. Jeremy lo guardò stranito, le pupille rimpicciolite per scrutare quella mano aperta davanti al suo viso, esitante per chissà quale motivo. Perché avrebbe dovuto dargli il cinque? Non erano amici e glielo disse.

"E invece io voglio che tu sia mio amico." lo esortò Alex, prendendo la sua mano senza nervo e facendola sbattere contro la sua, per poi sfoggiare un sorriso soddisfatto, nonostante Jeremy non avesse mosso nemmeno un muscolo.

"Il mio amico." ripeté Alex.

Ma Jeremy non voleva un amico. Troppo diverso da lui, pensava, troppo felice per poter condividere qualcosa della sua vita. Non avrebbe mai potuto capire. E invece Jeremy non lo sapeva, ma quattro anni dopo avrebbe deciso di condividere la sua storia con lui, rendendolo la prima e unica persona al mondo a sapere del suo passato. E gli avrebbe fatto un bene incredibile.

Alex desiderava con tutto il cuore quell'amico. Voleva quel Jeremy, perché credeva di potergli far cambiare idea sul suo conto. Credeva di potergli dimostrare che non era stupido come tutti pensavano e che avrebbe potuto farlo sorridere, un giorno. Alex era sempre stato un cuore buono.

E, infatti, non era stato un caso che, tra tutte le persone che conosceva, avesse scelto di diventare il migliore amico della più triste.

Sapeva che Jeremy non era come lui. Sapeva che tutto sommato lui non ci teneva così tanto ad avere amicizie con i ragazzini di Bourton, ma preferiva fare il solitario, voleva -o doveva- arrangiarsi.

Tuttavia, dopo quel famoso pomeriggio, non aveva mai più declinato un suo invito. Certo, sfoggiava la solita espressione seccata ogni volta che lo vedeva avvicinarsi, ma poi chiudeva sempre il libro che stava leggendo e acquisiva uno sguardo che tradiva, giorno dopo giorno sempre di più, la sua maschera di freddezza. Anzi, più si vedevano più gli pareva che fosse contento, sollevato. Non aveva mai capito se fosse merito suo o dei giochi avventurosi per Birch Street o del tè di sua madre, però non gli serviva saperlo. Gli bastava vedere che stava bene e ridere assieme a lui. Troppo buono Alex, sempre troppo buono.

Sospirò togliendo un filo ribelle dal suo maglione rosso. Gliel'aveva prestato Allyson durante la solitaria nottata che avevano passato insieme e lui non aveva più avuto il coraggio di restituirlo. Gli sembrava più significativo che mai, quella notte tra il 31 dicembre e il primo gennaio. Anche se a queste cose non credeva per niente.

Allungò una mano verso quella inerme di Jeremy e la posò sopra. Non voleva stingerla, quello spettava casomai a Taylor. Alex voleva solo fargli sentire che, nonostante tutto, come sempre, lui c'era. E gli sembrò per un attimo di tornare a quel pomeriggio in cui con la stessa volontà gli aveva offerto una mano forte e determinata per dare il cinque alla sua, debole, impassibile e priva di energia, proprio come ora.

"Mi dispiace, Jeremy." disse con un filo di voce. Non c'era nessuno lì dentro, non serviva parlare forte. E poi, l'ultima volta che lo aveva fatto era stato per dar contro a Taylor, con il risultato di farla scappare in lacrime.

"Non volevo trattare così Taylor. Ho sbagliato."

Si sedette sulla sedia accanto al letto e rimase in silenzio a osservare il viso del suo amico.

Non era più tondo e roseo come quando era piccolo, ora si notavano bene gli zigomi e la forma un po' spigolosa della mascella. Se solo avesse potuto tornare indietro a quando ancora gettavano palline di carta in testa alle signore che passeggiavano per il parco di Bourton, non avrebbe esitato un solo secondo! Avrebbe avuto tempo.

Adesso, invece, sentiva di non averne più. Ed era per quel motivo che si era comportato come un lunatico isterico con tutti, era per quel motivo che il buon Alex sembrava cattivo. Alex aveva solo paura di perdere il suo migliore amico.

"Le ho detto quelle cose perché ero fuori di me." spiegò quasi in un sussurro. "Però non ci credo veramente. Lei è...lei...voi due state bene insieme. Voglio dire, tu sei un ragazzo con la testa a posto e...beh, insomma, sì, hai la testa a posto, ma sei comunque scapestrato...ma meglio, voglio dire, è una cosa che piace alle donne. Poi Taylor è tutta...beh...è tutta lì..." sagomò l'aria come per dire che Taylor era piccoletta e graziosa. "Questo è sicuramente positivo, perché...è come se vi compensiate, no? Nel senso, non che tu sia alto e lei bassa...sì, comunque sei alto. Però lei non è bassa. È minuta, ecco...e secondo me ti si addicono le ragazze minute."

Sospirò continuando a fissare invano le palpebre immobili del suo amico. Nessun segno.

"Mi dispiace." disse in un sospiro sconsolato. "So quanto lei sia importante per te...e anche per me. In fondo, è diventata mia amica. E io sono suo amico. Ti prometto che mi farò perdonare da lei, però tu devi esserci, Jerry." e nel pronunciare il suo nome, la sua voce si incrinò. "Devi esserci per vedere quanto bella è la tua Taylor quando fa pace con le persone, ma anche quando è furiosa, specialmente se l'oggetto della sua furia sei tu, perché ti assicuro che i suoi occhi omicidi sono un vero spettacolo. Devi esserci per sentire il tono dolce di quella bestia di Richard quando parla di Allyson, devi esserci per darmi dell'idiota e fare delle espressioni disperate quando non capisco cosa vuoi dire. Devi esserci, Jerry. Io..." fece pressione con la mano sopra la sua e fissò gli occhi sul suo volto mentre una lacrima gli rigava la guancia. "Ho bisogno di te."

Purtroppo era troppo fragile e stressato per riuscire a essere forte come tutti gli dicevano. Purtroppo non aveva il carattere della sua ragazza o del suo migliore amico e nelle situazioni negative si lasciava sopraffare dagli eventi. Purtroppo non era disposto ad accettare di non avere più tempo da spendere con Jeremy.

Come era sempre successo, Alex non avrebbe lasciato Jeremy. Alex lo avrebbe sempre cercato. Alex si sarebbe sempre preoccupato per quel bambino orfano che si fissava le scarpe. Sempre.

Perciò scoppiò a piangere per l'ennesima volta davanti all'immagine del suo migliore amico che non dava segni di vita, se non artificialmente indotti, e si accasciò sul suo addome nascondendo il viso nelle maniche di quel maglione rosso.

Andò avanti a lungo, senza nemmeno accorgersi della mezzanotte che scoccava e dei festeggiamenti di Capodanno dalla finestra. Non fece gli auguri a nessuno, non rispose alla chiamata di Allyson, rimase in balia di profondi e incontrollabili singhiozzi e lacrime bollenti che si perdevano nella sua barba di qualche giorno e cadevano sul bianco del lenzuolo.

Contemporaneamente, più distante e nel buio della sua camera, Taylor soffocava il pianto nel bianco della sciarpa di Jeremy. Con quale faccia si sarebbe presentata in ospedale la mattina seguente, sapendo che aveva promesso a tutti che l'avrebbe piantata di essere così debole? Il correttore faceva miracoli con i brufoli, ma con occhi gonfi e arrossati no.

Sua madre si sarebbe preoccupata, Allyson l'avrebbe sgridata, Tessy l'avrebbe compatita e Oliver l'avrebbe spronata a tenere duro. E Jeremy? Cos'avrebbe pensato di lei il suo Jeremy?

Questo pensiero fece aumentare l'intensità dei suoi singhiozzi. Magari avrebbe potuto trasformarsi in un orso scontroso come aveva fatto Alex e permettersi di esprimere la sua disperazione come e quando le pareva, oppure avrebbe potuto continuare a fare buon viso a cattivo gioco. Così si sarebbe ridotta, come da una settimana a quella parte, a passare delle ore con lui, parlargli, sorridergli, accarezzarlo, e poi piangere nella sua solitudine. Lei voleva essere forte, ci provava, ma più si sforzava, più soffriva in seguito. Come quando bevi tanto da diventare euforico e le conseguenze si fanno sentire solo dopo, in proporzione all'alcol ingerito.

Strinse quella sciarpa contro il suo petto, poi la fece salire per strofinarcisi la guancia e infine vi posò sopra le labbra nel ricordo di un bacio che avrebbe riassaporato più di ogni altra cosa al mondo.

Il caldo delle labbra di Jeremy che vinceva il freddo dell'aria su ogni singolo centimetro di pelle. Tutto l'amore, il bello della vita e la felicità concentrati nell'unione bollente di due paia di labbra congelate. E un cuore grande, grande da morire.

Ormai era il primo gennaio e, secondo i medici, Jeremy non avrebbe resistito oltre.

Proprio quel cuore così grande batteva sempre più lentamente, il suo respiro era ogni giorno più debole e la speranza che potesse salvarsi era flebile come il battito che, in silenzio, appoggiandosi al suo petto, Taylor ascoltava spesso.

Così diverso da far male dal battito che l'aveva cullata una notte non troppo lontana, dopo la sparatoria in uno squallido locale di Stroud.

Era stata la prima volta in cui aveva sentito di essere a casa, tra le braccia di Jeremy. La prima volta in cui un pensiero davvero bizzarro le aveva attraversato la mente: di provare qualcosa per quel gradissimo stronzo che l'aveva rapita.

E da perfetta isterica, Taylor sbottò in una risata solitaria che riecheggiò nella stanza. Si ricordò di quando aveva provato a scappare dall'hotel di Cirencester, sfruttando l'ingenuità di Alex e irritando Jeremy a tal punto da fargli pensare che il suo amico volesse provarci con lei in una situazione del genere. E poi era stato lo stesso cretino a innamorarsi come un barbagianni.

Poi si ricordò di quella mattina in cui l'aveva trascinato in chiesa e di quando gli aveva dato una testata facendogli sanguinare il naso o ancora di quel giorno in cui avevano investito un uomo travestito da Babbo Natale e avevano finto di chiamarsi Tracy e Ludwig e di essere una coppia e tutto ciò la faceva ridere perché si era divertita. Era stata davvero felice, come mai lo era stata prima di allora.

E adesso Taylor aveva la sensazione che il tempo le stesse scivolando dalle dita, assieme a Jeremy. Il suo Jeremy. Il Jeremy che amava e che non l'avrebbe mai saputo.

Perché Jeremy aveva usato tutta l'energia che gli rimaneva per dirle che si era innamorato di lei, andando contro tutto e tutti, consapevole di ogni rischio. Mentre lei che, paradossalmente, era quella che aveva sempre rischiato di meno, non aveva trovato il modo per farlo. Ed era irrimediabilmente tardi.

Mentre di sotto una bottiglia di champagne veniva stappata tra schiamazzi e risate, la porta della sua stanza si spalancò e la luce artificiale che la illuminò di colpo svelò un aspetto terribile, l'aspetto della paura.

Oliver non disse nulla, chiuse semplicemente la porta alle sue spalle, posò il bicchiere e il piatto di pudding sulla scrivania e in due ampie falcate raggiunse Taylor.

Si sedette cauto sul piumone accanto a lei, si allungò in avanti e la avvolse in un abbraccio grande, caldo, protettivo, paterno. Taylor tremò e intensificò il suo pianto abbandonandosi sul petto del suo papà.

Erano circa le quattro quando la ragazza venne rapita da un sonno disperato, a cui lei era riluttante, ma a cui aveva dovuto soccombere.

Un sonno che le faceva dare calci e pugni alla coperta che Oliver le aveva adagiato sopra, perché quella coperta non era il corpo di Jeremy.

Un sonno che l'aveva presa contro il suo volere, un altro rapimento, che però stavolta non avrebbe portato a nulla di buono.

Alex, invece, era già sveglio da mezz'ora. Aveva dormito un paio d'ore abbondanti sull'addome di Jeremy e si era svegliato di soprassalto sognando di soffocarlo con il peso della sua testa.

Si era alzato più intontito che mai, con le ginocchia che tremavano per la stanchezza e un lato del viso rigato dai segni lasciati dal lenzuolo. Aveva pianto e sbavato, così si era diretto verso il comodino e aveva elegantemente usato l'acqua dei fiori che avevano portato a Jeremy per rinfrescarsi il viso.

A quel punto si era ritrovato con la faccia bagnata e aveva risolto di asciugarsi, naturalmente, con il lenzuolo del lettino.

Stava giusto sfregandosi gli occhi, quando qualcosa catturò la sua attenzione. Si asciugò bene le ciglia per assicurarsi che non fosse il riflesso delle gocce e si rese conto che il suo sguardo non lo aveva ingannato. Così si avvicinò con timore e mise a fuoco mentre il suo battito cardiaco accelerava pericolosamente.

Appena si accertò di ciò che stava succedendo, sentì il seme del panico diffondersi dal suo petto e paralizzare tutti i muscoli.

Una goccia di sangue, densa e scura, quasi nera, stava scendendo dal naso di Jeremy, avanzando con una lentezza sconcertante e destabilizzante. Alex rimase per un millesimo di secondo a osservarla, fintanto che la sua concitata e preoccupata concentrazione non fu scossa da un improvviso rumore dei macchinari.

Un suono acuto lo aveva spaventato a morte e si era messo a scandire un ritmo dal significato sconosciuto, ma che continuava a velocizzarsi e rallentare, irregolare come la pioggia spinta dalle raffiche di vento durante una burrasca.

Tutto ciò ebbe l'effetto di paralizzarlo completamente e gli mozzò il respiro. Nella sua mente esplose il pensiero che Jeremy stesse per morire, che il suo cuore stesse per fermarsi e che lui dovesse assolutamente correre ad avvisare i medici. Ma non ci riusciva, perché sembrava che i suoi muscoli si fossero fossilizzati nella loro posizione.

Non respirava bene, o forse non respirava più. E questa frase si adattava molto bene per descrivere sia Jeremy che Alex.

Quest'ultimo, preso da un vero e proprio attacco di panico, non poteva fare nulla se non fissare con occhi sbarrati il sangue che ora, a corposi fiotti, scendeva dal naso di Jeremy, colava sulla sua mascherina e macchiava la coperta e il petto nudo del ragazzo.

Ma fu proprio quando il sangue penetrò nelle fessure della mascherina che Alex finalmente si disincantò.

Come sbloccato da un incantesimo di Medusa, corse di filato a togliergli quell'arnese dalla faccia, mentre lui iniziava a rantolare a causa del liquido che gli era entrato nella bocca e lo stava soffocando.

Alex slacciò il nodo dietro il collo e nell'attimo in cui sfilò la mascherina dalla bocca di Jeremy, pensò che se il suo amico fosse morto per colpa di quella sua ennesima stupidaggine, non si sarebbe mai dato pace e sarebbe morto anche lui.

Ma Jeremy, liberato da quell'obbligazione, sputò sangue e saliva, tirò un lungo respiro e aprì gli occhi.

Alex, che aveva lo sguardo fisso sulla sua faccia, sembrò essere abbagliato come quel giorno a scuola, quando osservò i suoi occhi per la prima volta. Così ora si stupì immotivatamente di quel colore, di quella luminosità e di quella chiarezza.

Jeremy si pulì la bocca con l'avambraccio e, alzandosi leggermente con il busto, si tappò il naso con i dorso della mano e si mise a testa in su, per contenere l'emorragia.

Poi spostò gli occhi sul suo amico, immobile a fianco a lui, una mano a mezz'aria con in mano la sua mascherina per l'ossigeno e l'altra a grattarsi la guancia, l'espressione tipicamente tra l'ebete e l'infinito.

"Alex." lo chiamò.

"Jerry?" biascicò lui, incapace di pensare.

"Alex, dai, prendi uno straccio, qualcosa. Sto facendo un casino qui, muoviti."

Il moro lo guardò se possibile ancora più stupito e si girò lento come uno zombie per cercare quello che gli era stato chiesto.

Rimediò una federa azzurrina che piegò in quattro e pose sotto il naso del ragazzo, muovendosi sempre come in una moviola e guardandolo poco, cercando di assimilare prima il tutto nella sua mente.

Era esattamente come quella volta in cui aveva preso una A in fisica. Gli ci era voluto un po' prima di realizzare che fosse capitato veramente, e soprattutto a lui.

Finalmente, dopo svariati secondi che Jeremy aveva più saggiamente impiegato ad asciugare la perdita si sangue, se ne uscì con qualcosa di intelligente.

"Chiamo il dottore." disse.

"Eh, direi." rispose Jeremy, sorridendo. "Ma prima dammi una mano qui."

Non ancora totalmente lucido e preda degli eventi, Alex diede priorità al problema presente e si sedette sulla sedia lì accanto, reggendo la federa per Jeremy.

"Devi stare a testa in giù e premere sul naso." gli disse, come ogni volta che si trovava ad affrontare questi episodi, talmente frequenti con Jeremy fin da quando aveva undici anni.

"Sì, così facciamo le cascate del Niagara."

Alex si fermò e sorrise immediatamente nel sentir giungere quella frase alle sue orecchie.

In quel momento aveva realizzato di aver preso una A. In quel momento, si era reso conto che Jeremy era vivo.

Jeremy era tornato con lui. Il suo migliore amico, di cui lui aveva bisogno, era lì. Era vivo. Non l'aveva abbandonato, nemmeno questa volta. Perché lui era Peter Pan e nessun Capitan Uncino del cazzo gli avrebbe mai messo i piedi in testa.

Lo guardò commosso e si aprì in un gran sorriso traboccante di sollievo, che si trasformava da istante a istante in euforia, mentre il suo cuore batteva forte.

Anche Jeremy ricambiò, le guance che incominciavano miracolosamente a prendere colore. E quello, si poteva dire, era davvero un miracolo.

Alex si alzò in piedi: "Vado ad avvisare i medici." disse, ma in realtà era impaziente di dirlo a tutti, al mondo intero. Doveva correre da Taylor e darle questa notizia ed era sicuro che allora l'avrebbe perdonato, poi doveva farlo sapere ad Allyson e Richard e doveva raccontare a Jeremy di Cordano e della punizione che si era meritato.

Ma in quel momento la domanda più sorprendente e martellante nella sua mente era "Che cosa è successo?". Com'era stato possibile che Jeremy ce l'avesse fatta? Cosa l'aveva salvato? Le sue parole di quella notte? L'amore di Taylor? L'amore per Taylor?

Allora prima di uscire, si rivolse di nuovo all'amico, incredulo e felice: "Ma cos'è successo, Jerry?"

Il biondo, anche se debole e decisamente provato, gli sorrise, felice che tutto fosse andato per il meglio.

"A me lo chiedi?" rispose sorridendo.

L'unica cosa che sapeva era che, quella terza domenica d'avvento, Cordano e Richard l'avevano inseguito per le strade di Bourton, e poi l'avevano picchiato fino a farlo finire in ospedale, per non aver ancora sanato il suo debito di duemila sterline.

Da lì in poi non ricordava più nulla.



ANGOLO AUTRICE

Vi prego, non m'accoppate.

Il titolo, "Tutti i tipi di amore", descrive, appunto, tutti i modi in cui, in questo capitolo, il sentimento si manifesta. L'amore di una mamma per la figlia, quello di un papà per la figlia, quello di un uomo per una donna, quello di una ragazza per un ragazzo, quello di un amico nei confronti del suo migliore amico. Evviva l'ammmore.

Vi piacerebbe leggere anche l'ULTIMO capitolo di questa storia? Beh, restate in attesa, lo vedrete sullo schermo del vostro PC il 1 gennaio 2017, come regalo di Natale da parte mia e augurio a tutti di un meraviglioso anno nuovo.

Buon Natale! 🎅

Continue Reading

You'll Also Like

52.3K 2.4K 15
Lorena è una ragazza di 17 anni. Sta per ricominciare la scuola, con un piccolo dettaglio in più... ________________________________________ Io:" Per...
42.5K 836 63
William, Lima, Ethan e Luke sono 4 attraenti fratelli da poco usciti di galera che cercano vendetta: a causa di una donna sconosciuta, non solo hanno...
1.5M 3.5K 5
Le fiabe finiscono sempre con "... e vissero per sempre felici e contenti." Ma siamo certi che esista davvero un per sempre in amore? Layla Martinez...
1.4K 150 45
PRIMO LIBRO DELLA SAGA "MONSTER" Angel,una ragazza dal passato ignoto,si risveglia in una struttura in cui sono presenti dei ragazzi proprio come lei...