All I want for Christmas is...

By yellow_daffy_writer

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[COMPLETA] Jeremy Parker ha 22 anni ed è un criminale. Ha chiesto al suo migliore amico di aiutarlo a rapire... More

1. Deck the Halls
2. Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose
3. Everybody's Fault
4. The Value of a Life
5. Fresh Fish and Hot Thoughts
6. Oh Holy Light
7. Monsters at the Diderot
9. Heavens and Bell
10. A Lot of Things Together
11. Fatal Encounters
12. Save You to Save Me
13. All Kinds of Love - part 1
14. All Kinds of Love - part 2
15. Omnia vincit amor

8. Athens and Sparta

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By yellow_daffy_writer

Jeremy uscì affannato e con la felpa imbevuta di liquore, ma fortunatamente tutto intero.

Si coprì con un cappotto che aveva rubato e si diresse a passo svelto lontano dalla baia, ai confini del bosco, controllando smaniosamente che nessuno lo stesse seguendo. Non molto tempo dopo, Alex spuntò dalla vegetazione, l'espressione da sono-appena-uscito-vivo-da-una-sparatoria-mortale-wow-che-forza.

I due amici si scambiarono uno sguardo sollevato e poi sospirarono sonoramente, come se si fosse trattato di qualcosa che facevano spesso e anche questa volta fossero riusciti a cavarsela. In realtà non era affatto così, ma a nessuno dei due andava di ricordare l'ovvio.

Dall'esterno si sentiva il trambusto, le grida e gli spari sembravano non cessare, così i ragazzi si allontanarono alla svelta e raggiunsero Betsie. Alex assicurò a Jeremy di aver portato in salvo Taylor e gli spiegò dove l'aveva lasciata.

"Grazie, Alex." disse il biondo, stringendogli il braccio con un sentimento ancora più intenso della gratitudine. "Dobbiamo recuperarla e spostare Betsie da qui, prima che qualcuno chiami la polizia e rischiamo di essere avvistati."

"D'accordo, sali."

"Alex. Piccolo particolare."

Alex sorrise soddisfatto, estraendo qualcosa dalla tasca: "No, caro mio, non le ho perse le chiavi!"

Jeremy alzò un sopracciglio: "Non puoi guidare dentro al bosco."

"Giusto." ribatté l'altro perdendo la sua enfasi.

"Vado io da Taylor." disse il biondo guardandosi alle spalle, verso la vegetazione. Quel muro di legno nero spaventava pure lui e a ogni minuto che passava temeva che a Taylor potesse accadere ogni genere di disavventura. "Sempre che sia ancora dove l'hai lasciata." aggiunse con una punta di agitazione che fece passare per scetticismo.

"Allora tu vai e io porto via Betsie."

"D'accordo. Ricorda di non stazionare in un punto solo, muoviti attorno alla città e tieni gli occhi aperti."

"Tutto chiaro."

"Ci incontriamo più tardi, ti mando un messaggio."

"Ok."

"E grazie di nuovo."

"Prego, Jerry, e..."

I due ragazzi si guardarono un attimo nel buio della notte.

"Cosa?"

"Niente." il moro scosse la testa. "A dopo."

Alex salì nell'auto e la accese rumorosamente. Jeremy, senza esitare nella fiducia per il suo amico, gli diede le spalle e si diresse veloce verso il bosco. Percorse un sentiero non troppo definito, un po' a tentoni, ingannato dal buio. Sentiva i suoi passi contro il terriccio umido e coperto di aghi e, sempre più in lontananza, il trambusto al Diderot. Cercò di orientarsi fino al punto che Alex gli aveva descritto, ma quando lo raggiunse, di Taylor non c'era nemmeno l'ombra.

Il panico lo assalì di nuovo e la testa iniziò a vorticare. Camminò per una ventina di minuti tra gli alberi, chiamando la ragazza ad alta voce e insistentemente, aggrappandosi a quel nome per non disperare. A ogni secondo che passava senza una sua risposta, era certo di averla persa.

Persa, oppure lasciata in balia di qualche ubriaco sfuggito dal pub. O peggio ancora, nelle mani di Richard; ignara di tutto e indifesa come solo Taylor appariva ai suoi occhi. Possibile che fosse scappata? Quella era l'ipotesi migliore. Avrebbe potuto farlo tranquillamente, perché quello non era un bosco fitto, anzi, gli alberi erano molto radi e spogli e si potevano scorgere la baia e il Diderot da qualsiasi punto. Le sarebbe bastato dirigersi in direzione contraria e seguire la luce della luna. L'erba era bassa e il cielo, quella notte, non troppo scuro. Nulla che facesse paura, insomma, tranne il fatto che lei non ci fosse da nessuna parte.

Dopo un'altra decina di minuti persi a girovagare tra i tronchi, sentì finalmente qualcosa. Erano dei rumori soffocati, provenienti da un punto poco più avanti. Avrebbero potuto essere il lamento di qualche animale, tanto gli apparivano sommessi e indefiniti, ma si avvicinò comunque, con speranza e cautela.

Finalmente raggiunse l'albero dietro cui sentiva quel pianto e con grande sollievo vide Taylor, sana e salva, seduta su una radice e tutta rannicchiata sotto le fronde. Gli sembrò, in quel momento, che la Terra riprendesse a girare.

"Taylor!" esclamò, quasi commosso per averla trovata.

La ragazza sussultò e non appena alzò gli occhi su di lui, Jeremy notò che erano spaventati a morte e colmi di lacrime.

"Jeremy!" gridò, disperata. "Sei qui!"

Senza che lui potesse prevederlo, la ragazza si alzò di scatto e gli corse incontro travolgendolo letteralmente con tutta la sua irruenza. Il ragazzo dovette reggersi bene a terra per non cadere all'indietro, ma fu pronto a ricevere la sua esile figura tra le braccia ed assicurarla a sé in quella che si poteva definire una stretta di puro sollievo.

Nell'istante in cui Taylor affondò la testa nel suo petto e prese a singhiozzare ancora più forte, Jeremy non seppe fare altro che tramutare quel contatto in un triste abbraccio, lasciando che le sue mani sostenessero quella fragile schiena tremante e che il suo collo ospitasse le lacrime salate di una bambina fin troppo coraggiosa.

Si rese conto di quanto fosse fragile e forte contemporaneamente e di quanto lui la stesse mettendo alla prova. Giorno dopo giorno era la causa di una nuova sofferenza per lei; colui che l'aveva strappata dalla sua vita tranquilla e messa di fronte ai pericoli del mondo.

"Mi dispiace." le sussurrò chiudendo gli occhi.

Quello era il suo peggiore incubo: la ragazza che odiava sentir piangere che piangeva tra le sue braccia e quel dannato profumo che gli invadeva le narici e la mente.

Era colpa sua. Tutta colpa sua. Non avrebbe potuto sentirsi peggio di così.

Per lo meno lei stava bene, ma al momento sembrava solo una magra consolazione. Non sembrava stare poi così bene, dopotutto.

"Mi dispiace, Lor." le ripeté come se quelle uniche tre parole che sapeva usare per scusarsi potessero veramente calmarla.

"Pensavo...ve ne foste...a-andati..." singhiozzò lei, stringendo più forte i pugni sotto il cappotto di Jeremy, avvinghiandosi alla sua felpa, come se ciò potesse non farlo allontanare mai più.

"Senza di te? Che senso avrebbe?" disse lui, posando timidamente la mano sulla sua testa.

"Dov'è Alex? Co-come sta?"

"Sta bene. Va tutto bene, Taylor. Calmati, ti prego."

"No, Jeremy...io...pensavo che- che mi avreste lasciato qui. Pensavo che...non sareste più tornati."

"Perché, Lor?"

"Credevo che vi fosse successo...qualcosa di grave...mio Dio, Jeremy, è stato orribile!"

Taylor si sfogò ancora e ancora, facendo del petto di Jeremy la sua unica consolazione e versando tutte le lacrime che aveva da versare. Apprezzava quel contatto e quel calore umano come mai prima di allora e si lasciava cullare dal suo rapitore come se l'avesse sempre fatto, senza dire una parola o avanzare un'accusa. Dopo svariato tempo, lentamente i singhiozzi si calmarono e lei si allontanò da quel posto in cui per la prima volta si era sentita a casa, anche se non lo era per niente.

Guardò Jeremy nell'azzurro cielo che appariva infinitamente dispiaciuto e si rese conto di ciò che era successo. Avevano rischiato la vita tutti e tre e aveva avuto paura che Jeremy e Alex non ce l'avrebbero fatta. Sarebbe stata in parte colpa sua e il pensiero l'aveva fatta stare male per ore, incurante del fatto che fossero stati proprio loro a rapirla, in primo luogo, e portarla in quel pub, poi.

Non capiva perché quell'eventualità le aveva causato tanto turbamento, non capiva se fosse normale o se qualcosa in lei non andasse. Sapeva solo che le era sembrata l'ipotesi più orribile del mondo, finché non aveva rivisto lui, sano e salvo, tornato apposta per riprenderla.

Ora lo guardava con un sollievo enorme, come se non aspettasse altro, se non la presenza di quel ragazzo, se non la certezza di non essere sola, di vederlo di nuovo. Non aveva ancora metabolizzato tutti gli shock di quella nottata, ma sembrava che l'assenza dei ragazzi fosse stato finora il più destabilizzante per lei.

Nel frattempo, la testa di Jeremy sembrava non volersi fermare e l'adrenalina iniziava a scemare per trasformarsi in stanchezza. Così, decise di sedersi ai piedi di un albero, trascinando Taylor vicino a lui. Nonostante lei avesse obbedito al quel tacito ordine senza proteste, prendendo posto accanto a lui in silenzio, era ancora ben evidente quanto fosse scossa e quanto quella notte l'avesse profondamente segnata, forse per sempre.

Jeremy si appoggiò al tronco sospirando, sollevato di saperla incolume, ma al contempo attanagliato dal rimorso per tutto il male che le stava facendo.

"Non avrei dovuto portarti laggiù." disse quasi tra sé, prendendosi la testa fra le mani. "Mi dispiace. Avrei dovuto trovare un altro modo."

Taylor decise di essere diretta e sgusciò la sua curiosità senza mezzi termini, la voce ancora rotta dal pianto: "Chi era quel tale, Jeremy? Che cosa voleva da noi? Perché siamo andati lì? Voglio saperlo."

Il ragazzo parve indeciso tra il raccontare la verità e l'ennesima bugia, ma poi si trovò di fronte a quegli occhi feriti e arrossati e capì che davanti a loro non sarebbe più riuscito a mentire.

"È solo uno dei tanti nemici che ho." rispose in un sospiro intriso di tristezza. "Doveva accertarsi che il rapimento stesse filando liscio, che tu stessi bene e che avessi tutto sotto controllo. Piccoli particolari che mi pare di non aver affatto dimostrato, tra le altre cose."

"È stato lui a scegliere il posto?"

Jeremy schioccò la lingua, arrabbiato con se stesso al ricordo di quanto poco avesse insistito per far cambiare idea a Cordano riguardo al Diderot: "Più o meno."

"Capisco." disse solamente lei, tirandosi le maniche fino alle nocche e soffiando sulle mani a coppa per scaldarsi le dita. Dopo un po' di silenzio, prese un respiro e guardò il ragazzo con fare serio. "Non sei stato tu a volermi rapire." pronunciò in una vera e propria costatazione, indignata, arrabbiata e piuttosto sicura. "Ti hanno costretto."

Jeremy sorrise e scrollò le spalle, poco impressionato dalla sua prevedibile deduzione, ma divertito dal tono battagliero di quello scricciolo.

"Io sono un benefattore, Lor. Avevo il dovere morale di salvare i tuoi cari dalla tua insopportabile presenza."

"Jeremy."

"Guarda come mi hai ridotto in pochi giorni. Non oso immaginare che succede a loro che ti hanno da una vita. Non credi che abbia fatto un favore a tutti?"

Taylor capì che non poteva domandare oltre, così si accontentò di quella non negazione. Jeremy avrebbe sempre cercato di dissimulare la situazione, ma a lei era parso ben chiaro, quella notte, che ci fosse qualcun altro dietro a tutto quel trambusto.

"Credo di sì, Robin Hood." ribatté allora, fissandosi mestamente le scarpe. "Anche se dovevi giocare meglio le tue carte. Rubare ai ricchi per dare ai poveri, ma scegliere i ricchi giusti, non gli stronzi come Oliver."

"Ehi." Jeremy corrugò la fronte. "Non dire così, tuo padre sta facendo di tutto per riportarti a casa."

"Sì, certo."

"Heavens." Jeremy la fissò con un cipiglio di rimprovero che lei trovò quasi inopportuno da un tale pulpito.

"Cosa?"

"Piantala con il sarcasmo. Tuo padre è un brav'uomo. Sta dando tutto per te."

Lei scosse la testa: "Non per me, Jeremy, per lui." contestò. "Oliver ha paura di perdere la sua fama e il suo prestigio, tutto qui. Sta solo aspettando che io ritorni per avere una storia da raccontare, l'ennesimo motivo per cui farsi adorare da sua moglie, da Tessy, dai giornali...solo...per fare l'eroe, come nei suoi adorati film, come ha sempre fatto."

"Dici così solo perché ce l'hai con lui. Se sentissi la sua voce al telefono, non saresti del parere."

"Oh, andiamo, è ovvio che sia preoccupato! Che figura ci farebbe con il mondo se un superuomo come lui non riuscisse nemmeno a salvare la sua figlioletta abbandonata?"

"Ti avrà anche abbandonata in passato, ma non ti sta abbandonando adesso!"

"Sono solo cazzate!"

"Perché non lo vuoi perdonare?!"

Jeremy fissò Taylor con il respiro affannato e le sopracciglia corrugate. Era un argomento che gli stava a cuore, si sorprese di realizzare.

La ragazza non capiva perché proprio lui si ostinasse così tanto: "A te che importa?"

"Voglio sapere perché lo odi così. Voglio sapere che cosa ti ha fatto per impedirti di dargli una seconda opportunità."

"Mi ha abbandonata quando avevo un anno, Jeremy!" sbottò lei. "Ti basta?" non aspettò nemmeno che rispondesse e proseguì presa dall'impeto di far sapere anche a lui le gesta insensibili del cosiddetto padre. "Ha fatto vivere una vita orribile a mia madre, l'ha presa in giro e ha ignorato le sue suppliche per diciotto anni! Io la sentivo piangere alla notte e vedevo il suo mento tremare quando lo incontravamo in giro e a mano con quella stupida riccona rifatta! Lui è uno stronzo e tu mi chiedi di dargli una seconda possibilità. Di credere che Oliver sia un uomo migliore di quello che sembra."

"Di sicuro ti ha fatto male, Taylor." rispose lui, lentamente e con una serietà insolita. "Ma sai cosa diceva sempre la mia di mamma?"

La ragazza rimase in silenzio, scrutando quelle iridi chiarissime concentrate sulle sue.

"Diceva: se Sparta piange, Atene non ride." deglutì a fatica, come se gli costasse molto raccontare quell'aneddoto. "Ne aveva molti di detti, ma questo era uno dei più quotati e mi ha sempre fatto riflettere. Guardare le cose da più prospettive."

Vide che Taylor aveva finalmente abbracciato la politica del silenzio, così proseguì e si spiegò meglio: "Se tu e tua madre avete vissuto anni difficili, le difficoltà sono spettate anche a chi ne è stato la causa. Non credo che tuo padre abbia lasciato una moglie e una figlia senza un minimo di rimorso e se anche non ti è sembrato, probabilmente è perché ha lottato per nasconderlo. Pensa a quanto deve aver sofferto per quella scelta."

"Nessuno l'ha costretto a scegliere."

"La vita, Taylor. A volte si fanno delle cose che siamo spinti a fare, le facciamo per sopravvivere, ma non sempre sono cose che ci fanno felici. Possono essere anche scelte che in realtà ci distruggono e fanno soffrire altre persone, ma siamo obbligati per il nostro bene a seguire una determinata strada." sembrava quasi che stesse parlando di se stesso.

"Quindi stai dicendo che la vita ha obbligato Oliver a preferire Martha a mia madre?"

"In un certo senso sì." confermò lui. "Non sto dicendo che sia giusto, Lor, sto solo dicendo che, dal suo punto di vista, è stato necessario. La vita l'ha messo davanti a un bivio. I sentimenti, ma ancora più in profondità i suoi bisogni e i suoi istinti l'hanno costretto a prendere una decisione."

"Beh, allora avrei dovuto essere io la sua scelta! Non Martha!"

"Per l'uomo di allora non era quella la strada da intraprendere. Non ne sai tutti i motivi, ma non puoi nemmeno escludere che non si sentisse pronto abbastanza per te."

"E allora perché per Tessy è stato pronto?"

"Perché una volta fatta una scelta, Lor, non si può sempre tornare indietro. Dopo essersi allontanato da te la sua vita è andata avanti in un altro modo e forse in quell'occasione ha sviluppato le capacità per sapersi gestire."

"Avrebbe potuto tentare di riallacciare con me in qualsiasi modo."

"Gliel'avresti permesso?"

Taylor tacque e abbassò lo sguardo, presa in contropiede.

"Con il tuo caratterino, non credo che gli avresti reso le cose facili." Jeremy le sorrise, intenerito. "Figuriamoci da preadolescente isterica. Ma, in ogni caso, forse non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. Però magari con gli anni si è pentito davvero, magari ha capito, magari sta capendo solo adesso. È un umano e, dopotutto, ha sbagliato."

"Ha sbagliato di grosso."

"Certo, Lor." le diede ragione il biondo, a sua volta incapace di immaginare come una persona potesse avere il cuore di far soffrire così tanto quella ragazza. "Ma a prescindere da tutto, ora lui c'è."

Taylor era colpita da quelle parole, colpita per come veramente aprissero una prospettiva su un aspetto diverso, che mai l'aveva sfiorata. Non l'aveva mai vista dal punto di vista del carnefice, suo padre, non aveva mai preso in considerazione che anche lui avesse potuto star male e che avesse dovuto scegliere in quel modo.

E allora si chiedeva: come poteva qualcuno essere costretto da se stesso per se stesso? Si chiamava egoismo o felicità?

Nonostante la nuova visione delle cose, non riusciva nemmeno a pensare di poter perdonare Oliver. Solo per il male che aveva fatto ad Amanda, non si meritava una seconda possibilità. L'avesse anche tirata fuori da quel guaio, lei non gliel'avrebbe mai concessa.

"Mi è mancato davvero tanto un papà." si lasciò sfuggire, prima che potesse frenare quest'intima confidenza. Aveva sempre faticato, in passato, ad ammetterlo persino con sua madre o con Ally.

"Lo so." rispose semplicemente Jeremy.

Rimasero così in silenzio a fissare il cielo spruzzato di poche stelle di fronte a loro.

Taylor non osava fare domande o dire nulla di più. Era grata a quel ragazzo perché era stato il primo a non farla sentire la solita abbandonata dal mondo. Quando parlava con gli altri, reagivano tutti sempre allo stesso modo: dispiacendosi per lei e lamentandosi assieme a lei.

Jeremy, invece, le aveva dato contro – come al solito, dopotutto – ma le aveva fatto capire che una medaglia aveva sempre due facce. Per una volta aveva fatto sentire un po' colpevole pure lei e questo aveva, in una minima, infinitesimale, atomica parte, redento un pochino il crudele Oliver.

Certo, la rabbia e la delusione c'erano ancora e Oliver restava pur sempre il nemico numero uno. Ma Jeremy sapeva quando mostrare compassione e quando, invece, scatenare la sua vena insensibile a fin di bene. Chissà se finora non si era sempre comportato così nei suoi confronti.

Jeremy la guardò e si chiese se veramente l'amore per una donna potesse portare a perdere qualcosa di tanto grande e importante. In un certo senso si sentiva alleato di Oliver, perché diciotto anni fa si era comportato come lui si stava comportando ora. Come aveva fatto Oliver in passato, Jeremy stava rinunciando a qualcosa di importante come la sua pace e la sua libertà pur di salvare qualcosa di fondamentale, ovvero la sua vita, mettendone in gioco tante altre. Facendone soffrire tante altre.

Tuttavia, non sapeva se avrebbe resistito fino alla fine, perché stava diventando tutto sempre più confuso e difficile. Taylor lo aveva influenzato in modo troppo inaspettato e si sentiva un verme al pensiero dell'incubo che le stava facendo vivere. Erano veri e propri sensi di colpa quelli che sin dall'inizio lo avevano attanagliato e che ora si stavano mettendo prepotentemente in mezzo ai suoi piani.

All'inizio lei gli era sembrata così forte e indipendente, ma poi si era accorto che era più debole di quanto si potesse immaginare. Le fragilità che cercava di mascherare erano tante ed era così sola e ferita a causa di un passato che lui non faticava a comprendere. Per la prima volta, in tutta quell'avventura, si chiese se stesse facendo tutto ciò per felicità o per egoismo.

"Lo sai per chi ho pregato, Lor?" le chiese improvvisamente, sapendo di star completamente distruggendo tutti gli sforzi di anni e anni, ma sentendo un disperato bisogno, da dentro di sé, di condividerlo con lei.

La ragazza scosse la testa, anche se poteva immaginarlo.

Lui prese un profondo respiro: "La mia mamma."

Tre parole che non usava mai insieme.

Taylor lo guardò senza parlare, in attesa, in dubbio. Quasi impaurita di poter respirare in modo sbagliato e vanificare il peso di ciò che lui aveva, visibilmente a fatica, appena confessato.

"Volevi tanto saperlo, no?" incalzò lui.

"Jeremy, io...se non ti va di parlarne, fa lo stesso, era solo..."

"Tranquilla." la interruppe, sorridendole. "Mi sa che te lo devo."

Taylor gli rivolse un sorriso che a lui parve bellissimo, ma non ci si soffermò troppo. In quella situazione sapeva benissimo di aver già calato abbastanza difese e il peggio stava giusto per arrivare.

"Voglio che anche tu sappia quanto le volevo bene, quanto fosse speciale e brava in tutto quello che faceva. Quanto mi manca e quanto cavolo mi è mancata." si passò una mano tra i capelli, un po' imbarazzato, ma fiero di quelle parole.

Taylor apprezzò infinitamente lo sforzo di Jeremy e lo vide per la prima volta in estasi, completamente innamorato della persona di cui stava parlando. Era davvero bellissimo, così. Era perfetto.

"Dimmi com'era." domandò curiosa ed emozionata a sua volta.

Lui si passò di nuovo la mano nei capelli, quasi per darsi forza, e decise di imbarcarsi in quel discorso che sapeva naufragare sempre in porti aridi e sconsolati. Ma aveva gli occhi di Taylor davanti e sentiva che forse loro avrebbero potuto salvarlo dal dolore di quel luogo, o per lo meno capirlo.

"Si chiamava Miriam ed era una donna bellissima." cominciò. "Aveva i capelli lunghi, biondi, e la pelle piena di lentiggini. Le odiava con tutto il cuore, ma la capisco, dato che su questo ho preso sicuramente da lei. Con la differenza che a lei, invece, stavano davvero bene. Le sarebbe stato bene qualsiasi difetto."

"Io le trovo carine le tue lentiggini."

"Lor. Io sono meraviglioso a prescindere. Posso non piacere solo a me stesso."

"Ok, torniamo a parlare di tua madre." tagliò corto lei, imbarazzata. "Sono sicura che non ti ha trasmesso la modestia, vero?"

"Nah."

"Dimmi che facevate. Com'era di carattere."

"Passava tutto il tempo con me, perché non lavorava. Era la mia migliore amica, la mia compagna di giochi, la mamma migliore che un bambino potesse desiderare. Sai, tipo quelle dei film o delle pubblicità. Anche se detestavo quando lo faceva, si preoccupava sempre per me e quando mi faceva male qualche parte del corpo, lei ci posava un bacio, facendomi miracolosamente passare ogni dolore. Comodo, eh? Ogni volta che riusciva a farmi salire in macchina per portarmi all'asilo doveva tornare a prendermi qualche ora dopo perché facevo il disastro pur di tornare con lei. Una volta ricordo di essermi addirittura infilato sotto la sottana di una suora e quella volta si è arrabbiata sul serio, dicendomi che non avrei cenato...non avrei avuto comunque fame, dopo quello che avevo visto." sorrise leggermente al ricordo. "Alla fine invece aveva preparato le crêpes con il cioccolato e mi aveva costretto a mangiarle mentre guardavamo Sister Act, facendomi cantare assieme alle suore per punizione." fece una pausa e poi il suo sguardo s'incupì.

Taylor lasciò passare qualche secondo. Avrebbe voluto chiedere 'e poi?', ma sapeva che Jeremy ci sarebbe arrivato. Un'introduzione così felice non avrebbe spiegato nulla di quel ragazzo, se non ci fosse stato un però.

"Mio padre tornava tardi. Molto tardi." proseguì allora, il biondino. "Lavorava alla Money House e di sicuro se chiederai a Oliver, si ricorderà di quel bastardo. Tradiva di continuo mia madre, beveva, litigava. Lei mi metteva a dormire presto, ma io rimanevo sveglio per sentire le loro discussioni e poi i bicchieri che si rompevano e le urla di mamma. Le sentivo e piangevo, mi tappavo le orecchie con le mani, mi infilavo sotto alle coperte e nei miei incubi vedevo sempre quelle scene spaventose. La faccia di mamma impaurita e io sulle scale con le orecchie coperte." i suoi pugni erano serrati e il suo respiro iniziava ad affannarsi. "E poi successe una cosa orribile."

Ecco, c'era arrivato. Guardò Taylor e la vide trasalire davanti all'espressione del suo volto. Superato quel punto, Jeremy sapeva che avrebbe riaperto un sacco di ferite e che il dolore sarebbe stato molto più che lancinante.

"Era il tredici settembre e io avevo sei anni. Il giorno successivo avrei dovuto cominciare le elementari e per l'occasione mamma mi aveva comprato uno zaino nuovo, quello che avevamo visto in una vetrina e mi era subito piaciuto. Quando lui lo vide cominciò a urlarle addosso cose irripetibili, dicendo che era l'unico della famiglia a portare a casa soldi e lei non faceva altro che sperperarli in inutilità...era...molto più ubriaco del solito." la sua voce si incrinò in quel momento e Taylor chiuse gli occhi, incapace di reggere l'immagine di delle labbra tremanti di Jeremy. "Lei gli aveva detto che se non poteva lavorare era a causa sua, che non gliene fregava nulla di avere un figlio da accudire e che era un marito ingrato. Gli disse che sapeva dei suoi tradimenti e...altre cose che non ricordo, ma che all'epoca mi sembrarono terribili. Inizialmente sembrava una discussione come tante altre, ma la differenza era che quella volta io ero lì e mi resi conto subito che mio padre aveva perso il controllo. Ero lì davanti a loro quando la chiamò 'puttana', ero lì davanti a loro quando lei mi gridò di salire in camera, ero lì davanti a loro quando sentii il suono delle porcellane frantumarsi sotto il peso della mia mamma, spinta violentemente contro il mobile del salotto."

Jeremy guardò la terra come fosse il vecchio pavimento bianco di casa. La riga tra le mattonelle che si riempiva lentamente di liquido rosso.

"Ero lì davanti a loro quando mio padre mi ha detto di dire a tutti che la mamma era caduta dalle scale ed era morta. E fu l'ultima volta che lo vidi."

Taylor sussultò e si coprì la bocca con entrambe le mani. Voleva chiedere a Jeremy di smettere, non voleva ascoltare oltre, non voleva più sentire la potenza del dolore inconsolabile che sgorgava dalla sua gola.

Ma lui continuò, lo sguardo fisso al terreno, vuoto e tremendamente ferito: "Lei era...era stesa a terra e io volevo credere che mi stesse facendo uno scherzo. Che stupido, mio Dio, ero proprio un bambino scemo. La scuotevo come un idiota, come se potesse aprire gli occhi sorridente come al solito e chiedermi di rimettere in ordine tutto che era tardi e l'indomani c'era la scuola...mi ricordo...mi ricordo che le presi una mano sanguinante e la baciai...ma lei non si muoveva...pensavo di poterla guarire anch'io con un bacio...che stupido." ripeté, strusciando il palmo contro lo zigomo per mandare via una gelida lacrima.

Ma quella fu solo la prima di tante altre, che da quel momento in poi Jeremy non riuscì più a trattenere. Erano lacrime che desideravano scendere da moltissimo tempo e che finora era stato capace di dominare sotto una maschera d'indifferenza.

Senza che potesse impedirlo, gli tornarono alla mente tutte le immagini che aveva oscurato fino ad allora; vedeva la madre sorridere, riempirlo di solletico sul divano, i suoi baci sulla fronte, le sue boccette di profumo ordinate sulla specchiera...e poi la vedeva lì, gli occhi chiusi e tutte quelle lentiggini che, come luci sul fare dell'alba, stavano esaurendo la loro brillantezza. Sentiva la sua stessa voce, confusa e spazientita, chiamare inutilmente.

Mamma? Mamma? Mamma!

Ma la sua mamma non gli avrebbe più risposto.

Anche Taylor stava piangendo. Come poteva pensare che un ragazzo così apparentemente freddo come Jeremy avesse patito tanta sofferenza per tutta la sua vita? Era sconvolta. Era arrabbiata, furiosa, voleva uccidere quell'uomo! Voleva prenderlo, sbatterlo al muro e urlargli: perché?

Perché aveva rovinato la vita di suo figlio? Perché gli aveva pugnalato il cuore con tutta quell'indifferenza? Perché gli aveva tolto la felicità?

Ma non poteva fare nulla se non, come Jeremy, immaginare la giovane Miriam, bionda e bellissima, distesa esanime sul pavimento. E accanto a lei, piccolo e indifeso, un bambino riccioluto, che voleva solo la mamma. Voleva solo, come tutti al mondo, essere felice.

Senza parlare, appoggiò la testa sull'incavo del suo collo e lo ascoltò piangere silenziosamente, il petto che si sforzava per trattenere i singhiozzi e la postura che, con gran contegno, non si abbandonava al dolore.

Teneva sempre duro, Jeremy, non si scomponeva, ma soffriva e basta. Taylor sentiva le sue lacrime calde caderle sui capelli e poi una sua mano accarezzarli, quasi fungessero da calmante. Avrebbe voluto essere più utile di così, ma non avrebbe saputo che dire o cosa fare. Anche lei era impotente di fronte a quell'enorme ingiustizia.

Passarono minuti, forse ore, nei quali nessuno voleva spezzare il suono della natura. Rimasero in quella posizione: l'una adagiata all'altro, vicini fisicamente per ingannare il freddo, vicini spiritualmente per ingannare il vuoto.

"Non volevo farti piangere di nuovo." esordì Jeremy, che aveva sentito sulle guance della ragazza l'empatia che provava verso di lui.

"Di nuovo? Che intendi dire?"

"So che hai pianto l'altra sera. Mentre disegnavi quella foto."

"Oh."

"E il giorno in cui ti ho dato lo schiaffo. E quando ti ho minacciato per essere scappata."

Taylor sorrise: "Beh, se Sparta piange, Atene non ride."

Anche Jeremy, tra le lacrime, sorrise. Pensò che quella ragazza avesse qualcosa di speciale; solo lei avrebbe potuto farlo ridere e piangere allo stesso tempo! E quanto aveva cambiato di lui in così poco tempo, senza che nemmeno se ne fosse accorto. Era riuscita ad aprire delle porte che lui teneva sigillate e continuava a sorprenderlo, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Le voleva bene, troppo forse, anche se non l'avrebbe mai ammesso. Il suo orgoglio e la sua missione glielo impedivano.

"E quindi io sarei Atene o Sparta?" le domandò, cancellandosi le lacrime dalle guance.

"Sparta. Sicuramente Sparta."

"Sono d'accordo."

"Senti, Jeremy." proruppe lei, curiosa, ma discreta. "Ma poi che ne è stato di tuo padre?"

"È finito in prigione, a Windsor, dov'era scappato. È morto due anni dopo mia madre; all'inizio pensavano a un suicidio legato al rimorso, ma lui non provava rimorso, non l'ha mai provato. È morto perché la sua anemia non veniva curata da molto tempo e, francamente, non ho provato nulla quando me l'hanno riferito. Non sono nemmeno andato al funerale."

"È stata la scelta giusta."

"Quella di mia madre è stata sbagliata, invece. La peggiore. Mi domando sempre come avesse fatto ad amare quell'essere. Come avesse potuto scegliere lui. Era una donna così buona e così intelligente e lui..."

"Credo valga lo stesso discorso che hai fatto su Oliver."

Jeremy fissò di nuovo il terreno, incantato e triste: "Credo di sì."

"E tu? Che ne è stato di te? Della tua istruzione...che hai fatto poi?"

"Ti chiedi come faccia a essere così colto, eh?" scherzò lui, leggermente più sereno nonostante si sentisse completamente svuotato. "Beh, subito dopo l'omicidio, sono stato affidato a nonna Angelina, che mi ha fatto fare le elementari da privato e le medie alle scuole pubbliche di Bourton, ma che mi ha detestato per ogni singolo giorno in cui mi ha avuto in casa sua. Ero un bambino problematico, come potrai immaginare. Quando si è trasferita in Australia per sbarazzarsi di me, è riuscita a farmi prendere dall'orfanotrofio di Stroud, dove ho fatto le superiori e vissuto i miei migliori anni da preadolescente teppistello. Sai? Bruciavo i letti e mettevo le lucertole morte nelle ciabatte del direttore."

"Sei uno stronzo!"

Jeremy ridacchiò, compiaciuto di se stesso: "A diciassette anni mi sono stancato di quel lager gestito da ss sotto le spoglie di monache e me ne sono andato definitivamente. Diciamo che ho imparato a cavarmela da solo, gestendo autonomamente un po' tutto."

"Intendi facendo il ladro?"

"Non rovinare la poesia, Taylor. Ho studiato da solo quello che mi serviva sapere. Sono stato in biblioteca di tanto in tanto, ma mai in chiesa." precisò.

"Wow, non ti facevo un tipo da biblioteca."

"Mi piaceva fingere di studiare, mentre guardavo le tette della bibliotecaria. Erano gli anni della pubertà, non so se mi spiego."

"Ora capisco la vera motivazione dietro i tuoi studi."

"E tu? Com'è che sei così brava a disegnare?"

La ragazza arrossì lievemente. Non sapeva se lo pensasse davvero, ma quella domanda l'aveva indubbiamente lusingata. Non era frequente sentirsi dedicare belle parole da parte di Jeremy.

"Davvero mi reputi brava?"

"Fenomenale, Lor. Mi piacciono i tuoi disegni." confermò lui, in sincerità. "E guarda che io mi interesso di arte; ho studiato tutti i maggiori pittori europei dal Medioevo."

"Tra una tetta e l'altra."

"Simpatica. Le mie critiche sono fondate e obiettive. Anche se persino un bambino capirebbe che hai davvero talento."

Taylor arrossì ancora di più: "Un giorno ti farò un ritratto, allora." fu il suo modo di ringraziarlo per il complimento.

Tuttavia, entrambi si resero subito conto dell'impossibilità di quell'affermazione e spensero l'entusiasmo del loro dialogo. Per l'imbarazzo che aveva generato, la discussione perse subito il suo ritmo e si tramutò in significativo silenzio.

"Allora, principessa, ha deciso di approvare questa nuova sistemazione?" propose Jeremy, cambiando argomento per sdrammatizzare.

"Nuova sistemazione?"

"Il mio stomaco." il ragazzo sfoderò finalmente il buon vecchio tono strafottente. "Non sarà alla sua altezza, ma mi pare di capire che è comodo."

Taylor rimase per un po' interdetta, ma poi convenne con lui che tra tutti i posti che avevano cambiato finora, quello era in assoluto il più confortevole. Anche se c'era freddo, anche se erano stessi per terra, anche se non c'era nulla sopra le loro teste, se non un cielo con poche stelle.

Arrossì e non rispose, ma si sistemò meglio sulla sua spalla e si raggomitolò accanto a lui, infilando una mano sotto la sua giacca per tenerla al caldo.

Jeremy si irrigidì per la sorpresa di quel gesto: "Credo sia un sì." biascicò, prima di decidere finalmente di rilassare i muscoli.

Taylor stiracchiò le gambe accanto a quelle distese del ragazzo, meravigliandosi di quanto bene si sentisse. Così vicino a lui non c'era più freddo e avrebbe potuto rimanere in quella posizione per ore, a sorridere della piega che aveva preso la nottata.

Si concentrò e percepì il cuore di Jeremy sotto il suo palmo battere un po' più lentamente del normale. Non si stupì di ciò; tutto di lui era una sorpresa. In qualche modo, era speciale.

Dal canto suo, se ripensava a quello che era successo negli ultimi minuti, Jeremy non poteva che realizzare di essersi esposto irrevocabilmente. Ormai era ufficiale: Taylor lo aveva cambiato, lo aveva rivoltato come un calzino, era riuscita a farlo ridere, piangere, preoccupare, arrabbiare, tutto nella stessa notte, come nessuno mai aveva fatto prima.

Sentiva la mano della ragazza premere sul cuore e sorrideva perché era stata capace di aprirlo, riconoscendo la serratura meglio di quanto lui potesse fare. Strana la vita a volte.

Chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo di talco e lavanda a pieni polmoni. Si lasciò trasportare da esso completamente; per la prima volta, senza opporre resistenza. Permise a tutti i ricordi di risplendere sotto le sue palpebre serrate, mentre con la testa appoggiata al tronco di un albero aspettava che fossero rivestiti di un nuovo senso di accettazione.

"Jeremy?"

"Sì?"

"Puzzi di liquore."

"Vorrei poter dire la stessa cosa di te, Lor."

"In che senso?"

"Nulla. Lascia stare."

Taylor decise di non questionare oltre; era esausta e in un tale senso di pace che non voleva rischiare di rovinare un solo atomo di quell'atmosfera. Tutta la tensione e la paura che aveva immagazzinato in una sola sera fluirono distanti dal suo cuore e, nel calore di un contatto così unico, decise di dar pace ai suoi occhi doloranti per il pianto. Li chiuse e si addormentò sul petto di Jeremy, con un sorriso sulle labbra e un nuovo sentimento nel cuore.

"BRUTTI IDIOTI!"

Il grido, grave e potente sulle loro teste, rimbombò tra gli alberi e fece aprire a Taylor un occhio assonnato.

"Deficienti! Razza di stronzi!"

La ragazza distinse, contro i raggi del sole, il dolce profilo di Alex e, facendo leva con il braccio sul terreno, alzò il busto per guardarlo meglio. Era sporco un po' ovunque e portava una lugubre espressione, segnata da due spaventose signore occhiaie.

"Buongiorno..." mormorò cercando di pararsi con una mano dalla luce.

"Buongiorno una bella merda!"

Jeremy ricevette quel delicato fraseggio direttamente nelle orecchie e sembrò riconoscere l'amico ancora prima di destarsi: "Alex?"

"Sì, Alex, quello stronzo che vi cerca da cinque fottutissime ore!"

Jeremy aprì gli occhi a fatica e si guardò intorno confuso, la memoria che faticava a ingranare. Non appena rimise in sequenza logica gli eventi della notte precedente, rizzò il busto con un sussulto: "Alex!" si sbatté una mano in fronte. "Cazzo, scusami, ho dimenticato di-"

"Farmi sapere che non sei morto? Sei un pezzo di merda!" gridò allora il moro, puntandogli contro un minaccioso indice. "Tu mi hai fatto girare come una trottola tutta la notte! Ho setacciato ogni angolo di Stroud, sono finito persino nei tombini di questa cittadina del cazzo e vi ritrovo a dormire, no dico, dormire, in mezzo al bosco! Io ti ammazzo a mani nude, Jeremy Parker del cazzo!"

"Mi dispiace, Al." cercò di scusarsi il biondo, alzandosi in piedi ancora un po' scombussolato e con un pesante mal di testa. "Mi è proprio passato di mente...io...davvero..."

"A me no, invece! Ho passato una notte d'inferno pensando che ti fosse capitato qualcosa, che avessi perso la ragazza! Ti rendi conto che stavo per chiamare la polizia? Io?!"

Jeremy lo guardò inorridito: "Dimmi che non l'hai fatto."

"Ci sono andato vicino, mi è venuto in mente mentre attendevo in linea. Comunque non è questo il punto!"

Jeremy tirò un sonoro sospiro di sollievo.

"Dici tanto a me, ma tu sei un emerito deficiente!" lo accusò di nuovo il moro.

"Al..."

"In realtà." li interruppe Taylor, alzatasi in piedi con assoluta calma e compostezza, mentre si puliva il retro dei pantaloni. "È stata colpa mia, Alex."

Il ragazzo fece una smorfia in sua direzione, ma tacque e alzò il mento per ascoltare la sua spiegazione.

"Jeremy stava giusto per chiamarti, ma poi abbiamo cominciato a litigare e io ho tentato di scappare. Nella fretta di fermarmi si è scordato di avvisarti." lo disse con un'espressione carica di falso rimpianto.

"Oh." il moro smise di agitare le mani verso Jeremy e squadrò la ragazza, ricordando dello stato in cui l'aveva vista per l'ultima volta la sera precedente. Capiva benissimo perché avesse provato a scappare, lui l'avrebbe fatto molto prima di quella notte, se fosse stato nei suoi panni.

"Mi dispiace." le disse solo.

"È tutto ok, Alex." sorrise lei. "Ora so che non è colpa vostra. Non scapperò più, non prendertela con Jeremy."

"E va bene." grugnì lui, incrociando le mani al petto. "Alla fine l'importante è che vi abbia trovati."

Il biondino si diresse verso di lui e gli mise una mano sulla spalla: "Al, cosa farei senza di te?"

Il ragazzone, non abituato a sentirsi importante, fu preso alla sprovvista dalle parole del suo amico e si limitò ad abbassare lo sguardo, compiaciuto. Jeremy lanciò un'occhiata in tralice a Taylor e le sorrise, ringraziandola silenziosamente. Era così strano pensare che tra loro tre si fossero, di fatto, formate delle dinamiche.

"Signori, io ho bisogno di una capatina al cespuglio." annunciò lei, mentre si ravviava i capelli come aveva visto fare mille volte alla sorella. "Mi promettete che non ci saranno sbirciatine?"

"Promesso!" esclamò Jeremy mostrando provocatorio le dita incrociate.

Nonostante il malessere, si sentiva stranamente allegro, più leggero.

La ragazza gli rispose con un sorrisetto saccente e si allontanò verso alcuni alberi più radi.

Jeremy era così incantato a seguirla che si accorse solo dopo, con un sussulto, che due occhi neri lo stavano squadrando.

"Che c'è?" domandò.

Alex lo guardò con aria ponderante e poi sospirò la risposta: "Non ti ho mai visto in questo stato, nemmeno dopo una rissa con Cordano."

Jeremy si passò nuovamente una mano sul volto, scostando i capelli biondi dal viso: "La mia anemia sta peggiorando."

"Ma non è solo quello, vero?" Alex affondò i suoi occhi in quelli di Jeremy e lo mise direttamente con le spalle al muro. Lo conosceva meglio di chiunque altro; sebbene fosse un po' fessacchiotto, su certe cose non sbagliava mai.

"Stanotte ho raccontato tutto a Taylor." snocciolò allora lui.

"Le hai svelato il piano di Cordano?"

"Certo, Alex, poi le ho anche dato le chiavi della macchina e la pistola, giusto per sicurezza."

"È sarcasmo, vero?"

"Ovviamente."

"Ma allora...." Alex si concesse una brevissima pausa di riflessione, poi sgranò gli occhi, stupito. "Le hai raccontato di tua madre?"

Jeremy annuì ripensando alla scorsa notte: lui e Taylor avevano pianto e parlato assieme, senza litigare, come fossero amici, come se tra loro non esistesse, di fatto, un'enorme e incolmabile differenza. Ma era stato incredibile.

"Sul serio?" chiese il moro, ancora incapace di credere a quell'affermazione.

"Già." confermò Jeremy, grattandosi la nuca.

"Oh."

Inutile negare che Alex ne fosse profondamente sorpreso. Sapeva che quello era l'argomento che Jeremy considerava in assoluto più intimo. Quando l'aveva conosciuto, in prima media, non immaginava che potesse avere un tale segreto alle spalle: gli aveva detto che viveva con la nonna, perché i genitori lavoravano in America ed era riuscito a tenere in piedi quella storia con tutti i suoi compagni. Piano piano aveva preso confidenza con Alex, ma gli ci erano voluti ben quattro anni prima che si decidesse a raccontargli la verità.

Si ricordava di quel giorno, era estate e Bourton era deserta perché tutti erano in vacanza. Lui e Jeremy erano al lago e avevano appena provato la loro prima sigaretta. Era stato Jeremy a convincerlo e se sua madre l'avesse saputo, l'avrebbe punito per un anno intero: dovevano ancora iniziare la seconda superiore e già si comportavano da ragazzacci.

Dopo essersi sciacquato la bocca da quel gusto infernale, Alex era tornato coi piedi a mollo accanto a Jeremy e l'aveva fatto ridere a crepapelle, come spesso capitava. Dopo un po', tuttavia, il suo amico era diventato di colpo triste e gli aveva annunciato che a settembre non sarebbe ritornato a scuola con lui, perché sua nonna lo avrebbe portato all'orfanotrofio.

Alex si disperò più di quanto Jeremy avesse immaginato e gli chiese il perché, insistendo a smettere, nel caso fosse stato uno scherzo, e implorandolo affinché facesse cambiare idea alla nonna. Così Jeremy gli disse che era impossibile e decise, finalmente, di spiegargli il perché.

Quella confessione, se possibile, lo legò ancor di più a quel teppistello dagli occhi di ghiaccio. Dopo il suo trasferimento a Stroud, continuò a vederlo di nascosto, anche se i suoi lo ammonivano sul fatto che avrebbe subito la sua negativa influenza. Andò avanti a scappellotti e punizioni finché non diventò adolescente e Jeremy, finalmente, ritornò a vivere da solo a Bourton.

In quegli anni, Alex aveva imparato a capire quanto il suo amico avesse sofferto incessantemente dal giorno in cui sua madre fu uccisa. Quanto la ferita che portava dentro lo avesse influenzato nel suo crescere e quanto preferisse tenerla nascosta al resto del mondo sotto un cerotto di freddezza in continuo perfezionamento. Il fatto che si fosse aperto a Taylor in così poco tempo sembrò per Alex un vero e proprio miracolo.

Qualcosa nel suo amico stava forse cambiando?

"Perché gliel'hai detto?" gli domandò, sapendo persino meglio di lui la risposta.

Jeremy si chiuse nelle spalle: "Non lo so, io...l'ho fatto e basta, non c'è un perché. Sicuramente non avrei dovuto."

"Perché? Non ti fidi di lei?"

"Sì che mi fido. Molto di più di quanto lei si fidi di me, ma forse è proprio questo il problema..."

"Non per fare l'avvocato del diavolo, ma nemmeno io mi fiderei di te dopo un rapimento."

"Sei un amico fantastico, Alex." esclamò lui, sarcastico.

"Lo so." constatò Alex. "E in qualità di amico fantastico, mi sento in dovere di dirti che, data la piega che hanno preso certi eventi, tu ti stai innamorando."

Per un attimo il cuore di Jeremy smise di battere.

Quell'osservazione gli arrivò come una secchiata d'acqua gelida in piena faccia. Era quello che non aveva mai ammesso, quello che mai avrebbe voluto sentirsi dire, specialmente da una persona la cui opinione contava così tanto. Se era vero che si stava innamorando, allora poteva suicidarsi all'istante. Non sarebbe cambiato molto. Non poteva e non doveva innamorarsi: non in quel momento, non in quel modo, non di Taylor.

"Non dire stronzate." se ne uscì piatto. "Piuttosto, hai una sigaretta?"

"Morirai, se continui a trattarti così."

"Stron-za-te." sillabò, rovistando nelle tasche per trovare il suo pacchetto.

Estrasse la sigaretta con le dita che tremavano. Era vero; le sue condizioni fisiche lasciavano molto a desiderare, con l'anemia che peggiorava a vista d'occhio, il freddo che continuava a sopportare e l'incessante stress sulle sue spalle. Ma ciò che lo preoccupava di più erano le condizioni mentali in cui si trovava. Un altro passo falso in quella direzione gli avrebbe dato il colpo di grazia, ne era sicuro, avrebbe dato a Cordano i mille più uno motivi per farlo definitivamente fuori. Non doveva più lasciare spazio ai sentimenti. Non doveva innamorarsi.

"Ragazzi, correte!" la voce di Taylor riecheggiò tra gli alberi, fin troppo lontana per non destare preoccupazione.

I due si scambiarono uno sguardo irrequieto; Jeremy lasciò cadere la sigaretta senza nemmeno avere il tempo di accenderla e corsero subito verso il punto da cui avevano sentito il suono. Quando lo raggiunsero, in una radura non troppo distante, capirono che, per fortuna, stavolta non li attendeva nessuna minaccia.

Taylor era appoggiata con i gomiti a una vecchia staccionata. Il legno coperto di muschio circondava un laghetto completamente ghiacciato, mentre gli alberi tutt'intorno davano un tocco magico a quel luogo, quasi fosse lo scenario di una fiaba invernale.

Alex affiancò la ragazza con un'espressione fanciullesca e si sporse alla sua destra, per rimirare la natura specchiata su se stessa. Jeremy invece si sistemò alla sinistra di Taylor, ancora più bello in quell'atmosfera congelata che faceva risaltare i tratti armonici del suo viso. Tutti e tre rimasero a contemplare il panorama, più suggestivo che mai, forse perché l'ansia che aveva abitato ognuno di loro era passata e quella nottataccia, ormai, aveva ceduto il posto al mattino.

Strano a dirsi, eppure, tra quei ragazzi dalle storie simili e contemporaneamente diverse, si era creato un legame particolare, quel genere di legame che si viene a creare un po' per forza un po' per necessità nelle situazioni difficili, un legame che forse era tenuto saldo per miracolo, ma che, a loro insaputa, stava diventando più forte di quanto potessero immaginare.

"Mi sarebbe tanto piaciuto imparare." disse Jeremy ad un tratto, il bianco del giaccio riflesso sulle impenetrabili iridi.

"Che cosa?" chiese Taylor guardandolo rapita.

"Pattinare." rispose lui. "Dev'essere bello."

"Qui nel Cotswolds non sei nessuno se non sai pattinare." disse Alex, prendendolo un po' in giro.

"Lo so. Quand'ero più piccolo, le suore ci portavano spesso a pattinare e io ero l'unico a starmene con le mani in mano per tutta la gita. Tutti i ragazzini del mio collegio si divertivano un mondo, mentre io rimanevo in disparte a guardarli perché non sapevo farlo."

"Non te l'hanno insegnato?" domandò Taylor.

"No, perché ero uno stronzo. Mi odiavano tutti."

"E Alex?"

"Ehi, so pattinare, ma non sono un maestro." si difese il moro.

"Alex non è del tutto tagliato per le spiegazioni." precisò lui, sorridendo all'amico. "Ma in ogni caso d'inverno non ci vedevamo spesso. Mi obbligavano sempre a stare con quelli del collegio e prima delle superiori nonna non ha mai voluto comprarmi dei pattini. Sarebbe stato così bello sfrecciare sul giaccio, senza pensieri, senza regole...quanto mi piacerebbe saperlo fare."

"Nemmeno io ci riesco." ribatté Taylor. "Mi piacerebbe, ma la realtà è che sono un vero e proprio disastro su ghiaccio."

"No, tu?" Jeremy sorrise leggermente.

Taylor gli fece il verso, poi assunse un'espressione malinconica: "La mia migliore amica ha cercato spesso di insegnarmi, ma a quanto pare sono una capra. Almeno lei è bravissima."

"Sul serio? E non la invidi?"

"Al contrario, la ammiro molto. Sai, lei...sa come muoversi, sa fare un sacco di figure, è semplicemente fantastica." disse, con una nota di nostalgia nella voce.

"Anche la mia ragazza è bravissima a pattinare." sospirò Alex, unendosi all'atmosfera deprimente.

"Davvero? Hai una ragazza?" si interessò Taylor.

"In teoria sì, ma in pratica non lo so più." fece lui, abbattuto. "Credo di aver sprecato ogni possibilità che mi ha dato, ormai."

"Hai fatto qualcosa di sbagliato?"

"Le ho mentito." rispose, visibilmente pentito. "E l'ho trascurata troppo."

Taylor ripensò ad Allyson e al suo volto deluso la sera della festa di Tessy; quando il suo ragazzo le aveva dato buca. Avrebbe voluto ammonire Alex sul fatto non si dovrebbe mai trascurare una ragazza, che la presenza, sia fisica che sentimentale, è fondamentale per il funzionamento equilibrato di una coppia.

Lo ripeteva sempre, Allyson, specialmente da quando si era fidanzata con quel nuovo tizio. Sperava stesse andando bene fra loro; le mancavano da morire le loro chiacchierate, le sue sfuriate perché lui non la capiva e la sua faccia sognante quando raccontava dei loro incontri. In generale, le mancava Allyson.

La sua unica consolazione era sapere che non fosse sola. Al contrario di Amanda, Allyson aveva un uomo su cui contare, uno che, nonostante le imperfezioni, lei amava davvero e con tutto il cuore. Non aveva mai avuto l'occasione, Taylor, di conoscerlo, un po' perché erano insieme da pochissimo, un po' perché studiava fuori città, ma da come Allyson gliene parlava costantemente, aveva capito che poteva essere il ragazzo giusto per lei.

Per averla colpita così profondamente, immaginava fosse un tipo molto semplice. Uno buono, uno altruista e genuino. Per farla sorridere tanto, doveva essere davvero innamorato, e divertente. Uno un po' sbadato e magari sulle nuvole...uno...uno tipo Alex.

"Oh mio Dio!" Taylor si sbatté una mano in fronte e guardò Alex, come illuminata da una rivelazione. "Tu sei Alex!"

"Perspicace." commentò Jeremy.

Il moro le porse una mano divertito: "Taylor, giusto? Molto piacere."

"Tu!" esclamò lei, puntandogli contro l'indice. "Tu sei quell'idiota!"

"Ehi!"

In una sconvolgente serie di flash, le connessioni tra ciò che sapeva e ciò che stava accadendo si manifestarono nella mente di Taylor. Le descrizioni di Allyson, il nome del suo ragazzo, Alex, la sua assenza alla festa di Tessy. Ogni secondo che passava, era sempre più convinta che la sua amica stesse assieme a uno dei suoi rapitori. Tutto combaciava.

"Allyson!" proruppe. "Tu sei il ragazzo di Allyson!"

Alex sgranò gli occhi, sorpreso.

"Allyson sta con te!" ripeté lei, inorridita.

"Come fai a sapere che Ally..."

"Ti prego, dimmi che non è vero." se ne uscì Jeremy, effettuando il collegamento prima di Alex. "Dimmi che la sua ragazza non è la tua migliore amica."

Come se già la confusione non fosse abbastanza, il cellulare di Alex squillò e il mittente della chiamata non poteva essere nessuno, se non esattamente Allyson Stuart.

"È lei." avvisò il moro con un'espressione quasi nauseata.

Prontamente, Jeremy afferrò Taylor per la vita e con una mano le tappò la bocca: "Mi spiace, Lor, devo farlo." sussurrò prevedendo la voglia della ragazza di parlare con lei.

Come previsto, infatti, cercò di divincolarsi, lamentandosi e mugolando per poter dire anche una sola sillaba alla sua migliore amica. Non gliene importava nulla in quel momento; voleva che Allyson sentisse la sua voce, che sapesse che stava bene, che aveva conosciuto Alex, che le mancava e che aveva voglia di riabbracciarla.

"Pro-pronto?" balbettò Alex, sotto pressione.

"Ho ascoltato il tuo messaggio." rispose la ragazza dall'altro capo, piatta e distaccata in un modo tale che Alex poté quasi sentire il suo stesso cuore creparsi.

"Ally, io..."

"Dove sei, Alex?" sospirò esasperata. "Con chi sei? Che cosa fai?"

"Sono da nonna, no? Te l'ho detto..."

"Io non ti capisco più, non capisco più! Mi chiami e mi dici che ti manco, eppure non ti vedo da settimane! E la scusa della nonna? Alex, io..."

"Allyson, ti prego."

"Lo so che devo fidarmi, ma è più difficile di quanto credi."

"Tornerò presto, Ally, te lo prometto."

"Non me ne faccio niente delle tue promesse! Sono giorni che continui a promettere!" ci fu un momento di silenzio, poi la ragazza riprese. "Scusami. Non volevo gridare. Però non hai idea di cosa stia passando, qui. La mia migliore amica è sparita, tu sei sparito, comincio a pensare cose strane, comincio a sospettare che tu non mi stia dicendo la verità."

Il ragazzo si morse un labbro cacciando indietro il nodo alla gola: "Ally, ti prego...dammi solo qualche altro giorno e poi tornerò...dammi un'ultima possibilità."

"Mi dispiace, Alex" pronunciò, tetra e triste fino al midollo. "Non ti credo più. Non posso farlo." disse, e chiuse così la telefonata.

Ci fu qualche secondo di silenzio tra i tre. Un silenzio di tomba, un'immobilità irreale e gelida come il ghiaccio che li osservava dal lago.

Poi Alex parlò e fu come se quel ghiaccio si rompesse, imitando il suono del suo cuore che si frantumava in mille pezzi.

"Andiamocene." disse seccamente, volgendo loro le spalle e facendo strada verso il punto da cui erano arrivati.

Taylor si divincolò da Jeremy e prese a correre verso di lui: "Aspetta! Alex, aspetta!"

Lo raggiunse, nonostante il suo passo fosse fin troppo veloce: "Alex, mi dispiace." disse, avendo intuito il succo della telefonata.

"Anche a me dispiace." ribatté lui, atono, senza nemmeno voltarsi indietro.

"Alex, Allyson...per quanto mi faccia davvero strano che voi due siate voi due, lei ti ama veramente." gli disse, sperando potesse servire in qualche modo da consolazione. "Te lo posso assicurare."

Conosceva la sua amica e sapeva che qualsiasi cosa stesse facendo, la faceva perché era preoccupata. Era comprensibile che stesse agendo in quel modo, ma era indubbio che il suo atteggiamento fosse dettato dalla paura e dalla sofferenza. Probabilmente se fosse stata con lei in quel momento, lei stessa le avrebbe consigliato di lasciare Alex senza esitazione. Ora, però, riuscendo a guardare da entrambe le prospettive, poteva capire sia l'una che l'altro.

"Magari mi amava, Taylor." sibilò, arido nel tono e nei sentimenti. "Ma ora non mi ama più. È troppo tardi."

Accelerò ancora di più il passo e, senza mai voltarsi alle spalle, si distanziò ulteriormente da tutto e da tutti.

Jeremy se ne stava dietro di loro a guardare e sentire con orecchie proprie cosa aveva combinato. Stava rovinando tre vite per una sola e sentiva di non poterlo più sopportare.

Taylor si voltò a guardarlo, in cerca di qualche appoggio da parte sua, ma lui non riuscì a dire nulla, capendo in quel momento che si stava presentando davanti a lui la scelta più dura che si fosse mai ritrovato a prendere: da una parte l'amicizia e l'amore, dall'altra la sua vita.



ANGOLO AUTRICE

Ho un debole per questo capitolo, "Atene e Sparta", perché come da titolo ci fa vedere molte cose da una prospettiva diversa. E voi chi siete, Atene o Sparta?

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