All I want for Christmas is...

By yellow_daffy_writer

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[COMPLETA] Jeremy Parker ha 22 anni ed è un criminale. Ha chiesto al suo migliore amico di aiutarlo a rapire... More

1. Deck the Halls
2. Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose
3. Everybody's Fault
4. The Value of a Life
5. Fresh Fish and Hot Thoughts
7. Monsters at the Diderot
8. Athens and Sparta
9. Heavens and Bell
10. A Lot of Things Together
11. Fatal Encounters
12. Save You to Save Me
13. All Kinds of Love - part 1
14. All Kinds of Love - part 2
15. Omnia vincit amor

6. Oh Holy Light

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By yellow_daffy_writer

"Il vestitino nero non è più sufficiente alle mie esigenze. Ecco qui, principessa. Un intero negozio a tua disposizione."

"Scherzi, vero?"

Jeremy e Taylor si trovavano davanti a una vetrina che faceva angolo, nel bel mezzo di un incrocio deserto, alle nove di mattina. L'insegna cadeva a pezzi e l'entrata era sbarrata da una tavola di legno orizzontale.

"È un negozio che vende abiti di seconda mano." spiegò semplicemente lui. "Sua Maestà si troverà un po' a disagio, ma il servo non può offrirle di meglio. Nel caso decidiate di tagliarmi la testa vorrei lasciare la mia eredità, cioè nulla, ad Alex."

"Come diavolo hai trovato questo buco, si può sapere?"

"Ho cercato il meglio per te, Taylor."

La ragazza lo fissò con intenzioni omicide.

Jeremy ridacchiò divertito: "Una volta era una rinomata pellicceria e mia nonna ci veniva per farsi fare le pellicce su misura." rabbrividì al pensiero delle pellicce, poi al pensiero di sua nonna, poi al pensiero di sua nonna con una pelliccia. "Viaggiavamo da Bourton fino a Stroud sulla sua carriola piena di fumo solo per venire in questo posto. Un vero orrore. Poi la proprietaria morì e l' 'Emporio della pelliccia' non rimase che una vecchia gloria, sostituita dall' 'Emporio della seconda mano'. O 'Mporo dlla sconda ma', se vogliamo guardare l'insegna."

Taylor scoppiò a ridere e Jeremy ne fu sorpreso. Non si aspettava di divertirla con il suo racconto, ma ciò fece sorridere anche lui e sistemò la situazione in un'inconsueta atmosfera pacifica.

Si avvicinarono alla piccola bottega e Jeremy batté sul legno. Taylor si aspettava di non ottenere alcuna risposta, invece dopo qualche secondo una ragazza si affacciò all'entrata e sorrise: "Posso esservi utile?"

Per quanto Taylor riuscisse a vedere dalla fessura, notò che aveva un aspetto giovanile, anche se un po' trasandato.

"Dovremmo comprare dei vestiti." disse Taylor, un po' in soggezione dalla sbarra di legno. "Siete...aperti?"

La ragazza sgranò gli occhi scuri: "Siamo aperti? Uhm...beh, certo. Certo che siamo aperti."

Taylor e Jeremy si scambiarono un'occhiata.

La ragazza, sorpresa di avere davanti a sé un paio di nuovi clienti, levò il legno e controllò a destra e a sinistra come per accertarsi che non fosse uno scherzo: "Prego, entrate pure."

Si fecero avanti, Taylor più timidamente, ed entrarono attraverso una doppia porta. Il negozio era molto spazioso; si intuiva che in passato doveva aver ospitato un considerevole business, ma ormai le pareti erano annerite e gli angoli occupati da montagne di scatoloni accatastati. La merce era disposta al centro del negozio, in maniera ordinata lungo scaffali ed espositori. Taylor dovette ammettere che, a eccezion fatta per l'aspetto un po' decadente, quel negozio non sembrava poi così male. L'organizzazione e la varietà dei capi a disposizione risvegliarono in lei una voglia di shopping che negli ultimi giorni si era per forza di cose assopita.

"Sono molto lieta che abbiate scelto il nostro negozio. Posso...ehm, posso aiutarvi?" la ragazza, non abituata a trattare con clienti saltuari e sconosciuti, se ne stava in piedi davanti a loro, mentre si torturava le mani in grembo.

"No, grazie." le sorrise Taylor. "Darò un'occhiata."

Anche se abbastanza strana, pensò, quella ragazza le infondeva una certa simpatia.

Jeremy si allontanò verso un espositore di foulard dalla parte opposta della stanza; le aveva lasciato quaranta sterline e le aveva, come al solito, intimato di non parlare troppo, né di uscirsene con strane trovate. Non aveva avuto bisogno di ricordarle la sua promessa; Taylor l'aveva molto ben presente da quella sera all'hotel di Cirencester.

Da un lato, si sentiva in soggezione sapendo che Jeremy portava sempre con sé la sua pistola, dall'altro faticava a immaginare che, anche se l'aveva minacciata, sarebbe stato capace di usarla. Dopo quella chiacchierata al loro arrivo a Stroud la percezione che aveva di lui era leggermente cambiata. Secondo una sua personalissima teoria, la pistola serviva a Jeremy per difendersi e non per attaccare, perché, sempre per una sua personalissima teoria, Jeremy subiva molti più attacchi di quanti ne sferrasse.

Ma era sempre e comunque troppo misterioso, dunque tutte quelle di Taylor non erano che supposizioni. E non voleva esagerare con le supposizioni; dopotutto, Jeremy l'aveva rapita, drogata e minacciata di piantarle una pallottola nelle gambe.

"Scusami?" qualcuno bussò sulla sua spalla, facendola sobbalzare.

"Ehi, che paura!" sorrise alla commessa, mentre riponeva la maglietta sullo scaffale.

"Persa in qualche piacevole pensiero?" le chiese la giovane.

"Nah, solo indecisa." mentì Taylor, riferendosi ai vestiti.

Lei tese la mano cicciottella, scoprendo l'apparecchio per denti: "Mi chiamo Joanne."

Taylor rispose alla stretta, cercando di suonare amichevole e chiedendosi se per caso non ci fossero volantini sulla sua scomparsa e lei l'avesse riconosciuta: "Taylor." si presentò, quasi temendo la sua reazione.

"Credo che io e te abbiamo la stessa età, sai? Io ho vent'anni." esclamò, allegra.

"Diciannove."

"Figo e il tuo amico, invece?" s'informò Joanne incollando gli occhi alla figura di Jeremy che spuntava tra gli scaffali.

"Ehm...ventidue, credo." buttò lì Taylor. "Comunque non siamo propriamente amici."

"Oh. Capisco." Joanne rimase in attesa, sperando che Taylor si spiegasse meglio, ma la sua nuova cliente non aggiunse altro, così prese fiato e proseguì. "Sono davvero felice che abbiate scelto il mio negozio. Seriamente." sorrise facendo scintillare l'apparecchio.

"Sicuro." accondiscese Taylor, tornando a guardare i maglioni.

"Sai, noi non siamo troppo abituati a ricevere clienti 'normali', se mi passi il termine."

Taylor pensò che quella ragazza fosse fin troppo loquace e la guardò in modo scocciato, ma poi incrociò i suoi occhi bisognosi di compagnia e si dispiacque.

"Che intendi dire?" si sforzò di darle retta.

"Beh, solitamente vendiamo solo alla clientela che ci ha lasciato in eredità nostra nonna. Cioè, intendo, quello che ne è rimasto. Dopo che ha chiuso con la pellicceria, se ne sono andati via tutti e hanno continuato a comprare da noi solo quelli del mercato settimanale. Ogni tanto portiamo qualcosa alle ragazze del centro immigrati e ai bambini dell'orfanotrofio di Stroud, com'era solita fare nonna con le rimanenze di mercato."

"È comunque un nobile commercio." la incoraggiò.

"Sì, anche se il mio sogno è sempre stato di aprire un emporio come quello di nonna. Magari senza pellicce, però quando mi ha lasciato in gestione il suo lavoro, l'intenzione era di spopolare e attirare un sacco di clienti. Immaginavo che sarebbe venuto qualcuno di famoso e che mi avrebbe messo sul giornale, che avrei fatto della seconda mano la moda del momento. La verità, però, è che qui non passa mai nessuno ed è per questo che vi sono grata."

Taylor annuì, gentile: "In effetti è un po' nascosto, però è molto carino. Vendi prodotti buoni, forse dovresti lavorare un po' sull'esterno."

"Dici?" le si illuminarono gli occhi, come se aspettasse quel momento da una vita. "I vestiti li scelgo personalmente, dalle persone che me li portano. Beh...è da tempo che qualcuno non me ne porta di nuovi. Questi sono di qualche stagione fa." aggiunse indicando colpevolmente il maglione che Taylor aveva appeso al braccio.

"Sono comunque confortevoli." ostentò Taylor, definitivamente seccata. Insomma, voleva trovare dei vestiti, non chiacchierare con la commessa, anche se lei sembrava non avere la minima intenzione di lasciarla in pace.

"Allora se non siete amici, cosa siete?" se ne uscì Joanne.

"Come?"

"Voglio dire, tu e il ragazzo biondo...siete...?"

Taylor la fissò per qualche istante e poi scoppiò a ridere: "Insieme? No, figurati. Tutt'altro."

"Ah." si stupì. "Lui non ti piace?" chiese, quasi scandalizzata.

"No." rispose lei in automatico, ma si sentì stranamente in imbarazzo.

Le sembrò che Joanne tirasse un sospiro di sollievo: "Quindi...uhm...lui sarebbe...insomma, si può considerare libero?"

La fissò di nuovo, non riuscendo a trattenersi. Joanne ci voleva provare con Jeremy?

Il suo sguardo saettò proprio sul ragazzo, intento a esaminare le sciarpe con fare serio e soppesante. Jeremy e Joanne, questa sì che era bella! A Taylor venne da ridere solo al pensiero.

Jeremy, a cui veniva l'orticaria solo a sentir parlare troppo la gente, sarebbe morto con a fianco una come lei. Per quanto potesse essere carina e gentile, l'avrebbe sicuramente fatto impazzire con la sua logorrea cronica e lui sarebbe finito per impiccarsi dopo cinque secondi di dialogo.

A quel pensiero, un sorrisetto malvagio spuntò sul volto di Taylor.

Guardò di nuovo Joanne, poi Jeremy e poi decise che doveva cogliere la palla al balzo: "Se è libero? Liberissimo!" sorrise, maliziosa, abbassando la voce. "Anzi, Jo, se ti posso chiamare così, mi confidava giusto l'altro giorno che è in urgente ricerca di una fidanzata. Una matura, con le idee chiare, una che sa cosa vuole."

Gli occhi scuri della giovane si illuminarono e scambiarono un'occhiata con quelli furbi di Taylor.

"Sul serio?" si emozionò. "Oh mio Dio, potrei essere io!"

"Assolutamente."

"Lo pensi davvero?" trillò, speranzosa. "Oddio, è una vita che desidero presentarmi!"

"Una vita?" chiese Taylor, confusa.

"Sì, certo!" cinguettò, estasiata. "Non è la prima volta che lo vedo a Stroud, quando era bambino veniva sempre all'emporio di nonna, poi è sparito e ho iniziato a vederlo di nuovo da adolescente, all'orfanotrofio."

"All'orfanotrofio." ripeté Taylor, in un'implicita richiesta di conferma.

"Sì, quando andavo con nonna a portare le rimanenze di mercato lui era sempre lì. E com'era bello..." commentò con aria sognante. "Lo spiavo dal finestrino del furgone mentre stava a fumare di nascosto sul terrazzo."

"Ah."

"Non so nemmeno come si chiama. Come si chiama?"

"Jeremy."

"Jeremy! Oddio, che bel nome! Jeremy." ripeté come se stesse recitando una formula magica. "Quindi, secondo te, se ci vado a parlare..." buttò lì, sistemandosi la maglia sulla scollatura. "Se vado da Jeremy e mi presento, insomma...Joanne e Jeremy suona molto bene. Che ne pensi, ci vado? Oi, Taylor, ci sei?"

La ragazza si scrollò e annuì, incoraggiante: "Certo."

"Che figata. Allora io vado, eh."

"Vai." le fece l'occhiolino. "E ricorda che adora le ragazze curiose, che hanno molto da dire, perciò parla tanto e fagli un mucchio di domande."

"Ricevuto! Grazie, Taylor." le strinse nuovamente la mano e partì a passo di marcia.

La mora si appostò dietro un espositore di pullover e si godette la faccia seccata di Jeremy appena la ragazza gli porse la mano, interrompendo i suoi pensieri: "Ciao, Jeremy, mi chiamo Joanne."

Sperando che la vendetta di Jeremy non sarebbe stata troppo atroce, Taylor tornò a scarpe e maglioni e lasciò che Joanne si occupasse di lui. Aveva delle nuove informazioni su cui riflettere, uno spiraglio di speranza per iniziare a capire qualcosa del suo introverso e taciturno rapitore.

Ovviamente quella notizia l'aveva sconvolta, ma le aveva anche fornito una sorta di appiglio. Se Jeremy era lì, forse la ragione era da ricercare nel suo passato e Taylor l'avrebbe fatto. Perché sì, perché in fondo quel Jeremy l'aveva incuriosita sin dal primo momento e, ancora più in fondo, l'idea di sapere qualcosa di importante su di lui, inconsciamente, la attirava.

Dopo ben un'ora, Jeremy ricevette una chiamata di Alex, preoccupato che nessuno fosse ancora tornato, e fu proprio grazie a quella che riuscì a schiodarsi Joanne di dosso.

Le disse che dovevano andare all'ospedale per trovare un caro amico e che, purtroppo, non poteva più continuare quella piacevolissima conversazione. Uscirono dalla bottega con scarpe e vestiti nuovi per Taylor e un completo intimo in omaggio per Jeremy.

"No, non ti faccio da palo." disse Jeremy a denti stretti mentre si avviavano verso la macchina, attenti a non scivolare sulla neve.

La sera precedente c'era stata una bella nevicata e loro dovevano attraversare tutto il parco prima di raggiungere il parcheggio della povera Betsie. Per questo motivo Taylor aveva appena chiesto a Jeremy che si fermasse e le facesse da appoggio mentre lei si cambiava quegli odiosi tacchi.Aveva appena comprato un paio di sneakers; le avrebbe volentieri sostituite a quelle trappole con la suola che Allyson le aveva prestato. O quello, o una rovinosa scivolata sul sentiero ghiacciato.

"Eddai, Jeremy, ti prego!"

"No."

"Perché no?"

"Perché sei subdola, perché mi hai appioppato un'oratrice più feroce di te e perché voglio vederti soffrire."

"Beh, sei uno stronzo." lo accusò.

Il ragazzo la guardò di traverso poi proseguì per il vialetto, dandole le spalle e lasciandola sola con il suo broncio.

"Sai cosa?" insistette lei, disperdendo l'eco nel parco deserto. "Joanne non ti meritava!"

"E io non meritavo te, ma il destino è crudele." alzò le spalle, continuando imperterrito a camminare mentre reggeva le borse dei nuovi acquisti.

"Jeremy, torna qui! Dammi una mano!" lo implorò Taylor, facendosi venire il broncio. "Se cado e mi faccio male che fai, eh? Come lo spieghi a Oliver?"

Il ragazzo si fermò di colpo e sbuffò espirando sonoramente. Quella ragazza ne sapeva una più del diavolo, dannazione. Si voltò e tornò sui suoi passi per accontentarla; sapeva che se non lo avesse fatto, lei avrebbe continuato a lamentarsi o si sarebbe fatta male di proposito. E allora sì che, come gli aveva appena ricordato, sarebbero stati guai.

"Questa me la paghi, mocciosa." disse piantandosi di fianco a lei con le braccia incrociate. "Soprattutto la trovata della commessa logorroica...come se tu non blaterassi già a sufficienza."

La ragazza non se lo fece ripetere due volte e si aggrappò alla sua spalla sfilandosi la scarpa con sollievo.

"Sareste stati bene, assieme." lo provocò con un sorriso di sfida. "Lei sarebbe stata la metà socievole, buona, gentile e tu la metà stronza."

"Non credo sarebbe durata con uno come me."

"Tu non saresti durato."

"Oh, io ormai posso gestire gli sproloqui egregiamente, dato che grazie a te ho sviluppato un'ottima tolleranza." sorrise lui. "Però alla mia bellezza sconcertante il suo cuore non avrebbe retto."

"L'unica cosa di sconcertante che vedo in te è l'immodestia."

"Dici?" Jeremy si girò di scatto, fissando i suoi occhi maliziosi sul volto di Taylor, che si trovava a pochissimi centimetri da lui.

La ragazza, completamente impreparata a quel gesto diretto, arrossì e rimase impalata con la gamba a mezz'aria, il piede scalzo e una scarpa nella mano.

Vedere Jeremy così da vicino le sparò il cuore direttamente nella gola; un po' per la soggezione che provava nei suoi confronti e un po' per la sua – e sì, qui doveva ammetterlo – bellezza. Poteva osservare senza fatica le sue iridi immacolate e così azzurre da farle venir voglia di usarle per sostituire il cielo.

E poi sentiva il calore della sua bocca così vicino che di colpo l'inverno attorno a loro svanì. Poteva bearsi di quel tepore naturale, di quel respiro impalpabile e inebriante che avrebbe volentieri condiviso, di quel profumo autentico e complesso che non le avrebbe mai più ricordato niente di diverso da Jeremy.

"Lor." sussurrò Jeremy a un palmo di naso da lei, guardandola intensamente e facendo scivolare il suo respiro lungo i pendii delle sue guance.

"Sì?"

"Vaffanculo." Jeremy le posò un un dito sul petto e, senza staccare gli occhi dai suoi, la spinse all'indietro, facendole perdere l'equilibrio e facendola rovinosamente cadere nella neve.

"Jeremy!" strillò lei, soffrendo l'improvviso e spiacevole contatto col freddo, mentre Jeremy prorompeva in una grassa risata.

"Sei proprio uno stronzo! Come ti sei permesso?"

Cercò immediatamente di rialzarsi, piagnucolando e imprecando perché aveva le gambe e un piede nudi. Il ragazzo rise di gusto, divertito nel vederla dimenarsi goffamente e continuare a scivolare sulla neve, sbattendo ogni volta il sedere e lamentandosi.

"La vendetta va consumata fresca, principessina di ghiaccio."

"Vaffanculo!" Taylor non ci mise molto a creare una palla di neve e la scagliò senza pensarci due volte sul volto di Jeremy, beccando l'orecchio.

"Ahi! Che diavolo fai?" berciò lui, tastandosi il punto colpito e cercando di tirare via la neve, ma Taylor lo colpì di nuovo e stavolta lo centrò in pieno viso.

"Centro!" esultò lei.

"Dacci un taglio, Heavens!" tuonò Jeremy, senza riuscire a mascherare una risata che nacque nel suo stomaco.

Taylor non gli diede la minima retta e approfittò della sua temporanea cecità per improvvisare una raffica che lo fece indietreggiare.

Jeremy fu preso alla sprovvista e mollò la presa sulle borse, lasciandole cadere mentre cercava di difendersi con le braccia. Quando il suo metodo non fu più sufficientemente efficace, decise di passare al contrattacco e si lanciò su di lei, sfidando la pioggia di palle di neve.

Si gettò a terra cercando di afferrarla, ma Taylor indietreggiò, bagnandosi il sedere e ridendo dell'espressione irritata di Jeremy. Quando finalmente il ragazzo riuscì ad afferrare la sua caviglia, fu facile per lui tirarla e farla scivolare sulla neve finché non l'ebbe proprio sotto si sé, le guance e il naso arrossati, gli occhi che scintillavano per l'adrenalina e il divertimento.

Anche negli occhi di Jeremy c'era una luce diversa e quasi magica. Chi lo conosceva avrebbe detto che mai aveva visto una tale espressione disegnata sul suo volto duro e rigido. O per lo meno, mai in molti e molti anni. Sembrava essere tornato bambino, sembrava essere il bambino che non era mai stato.

Nel bel mezzo del parco la cui superficie innevata era ormai segnata dalla battaglia, ognuno di loro ascoltava il proprio cuore e lasciava che il pensiero fluisse liberamente, passando per i toni caldi color cioccolato delle iridi di Taylor e immergendosi in quelli congelati nel tempo di Jeremy.

Taylor aveva visto per la prima volta un lato del carattere di Jeremy che pensava non esistesse. L'aveva visto divertirsi e ridere spensieratamente, anche se solo per pochi minuti. Lei stessa era stata capace di dimenticare per un momento tutte le sue angosce e si era sorpresa di sentirsi così felice e serena. Non pensava che sarebbe mai stato possibile, fintanto che avesse avuto quel ragazzo tra i piedi, e invece le stava accadendo. Si stava sentendo bene; era così strano.

Al contrario, Jeremy stava pensando all'arcobaleno di emozioni che Taylor riusciva a fargli provare. Emozioni che non aveva mai provato o a cui aveva sempre resistito, come la paura, lo smarrimento, la confusione, la gioia, la serenità, la voglia di ridere. E passava così da un estremo all'altro, dall'emozione più bella a quella più insopportabile, senza avere la possibilità, in questo gran marasma, di decidere da sé. Rideva così, spontaneamente, e si arrabbiava, perché quando lei era con lui si sentiva bene e poi si sentiva male, e ancora, tutto daccapo. Era un'altalena di sentimenti contrastanti che lui non riusciva a gestire e che lo stavano lentamente portando, se lo sentiva, verso la rovina.

"Sei una mocciosa decisamente insopportabile." le disse con il fiatone, godendo della sua posizione di vantaggio sopra di lei.

"E tu sei un rapitore decisamente scarso."

"Però sono immensamente bello. Coraggio, ammettilo."

Lei scosse la testa, muovendo la neve incastrata tra i ciuffi castani che Jeremy sembrò notare per la prima volta. Gli piacevano i capelli di Taylor, davano l'aria di essere morbidi e fortunatamente più disciplinati di lei.

"Lor, non mi fai fesso facilmente." alzò un sopracciglio. "Non ti lascerò andare finché non ammetti che Jeremy Parker è il più bello, in gamba, magnifico e intelligente. A costo di vederti congelare sotto i miei occhi."

"Sempre ricatti, Jeremy."

"Oh, io adoro i ricatti."

"Chissà perché l'avevo notato."

"Con te funzionano."

"Beh, piaci molto più a Joanne che a me." bofonchiò lei, a disagio sotto quell'azzurro divertito e inquisitore. Poi le tornò alla mente qualcosa e decise di azzardare una proposta: "Se lo ammetto, poi tu rispondi a una domanda?"

"Un ricatto sul ricatto? Carino."

"Jeremy." la ragazza deglutì indecisa su quale delle sue mille lentiggini posare lo sguardo, poi prese coraggio e glielo chiese. "Perché eri in un orfanotrofio?"

Il ragazzo, sorpreso da quella domanda, si ritrasse e spostò lo sguardo, come se di colpo quello di Taylor fosse diventato insostenibile. Pensò febbrilmente a come una tale informazione potesse essere giunta all'orecchio di Taylor e poi realizzò che doveva essere stata Joanne. Per forza doveva essere stata lei; in uno dei suoi mille racconti gli aveva accennato che era di Stroud e che l'aveva visto spesso da piccolo.

Ecco, aveva rovinato tutto. Quella domanda fu come una secchiata di acqua gelata in faccia; si rese conto che era nei guai fino al collo e che non stava facendo altro che lasciarsi condizionare troppo, esponendosi incoscientemente come mai si era permesso in vita sua. Lui non poteva assolutamente concedersi il lusso di essere vulnerabile, di far conoscere il suo passato. Non lo aveva mai fatto, era sempre riuscito a evitarlo e ora tutto stava crollando a causa di una semplice ragazzina. Lui stava crollando e lei sì, non era non era altro che una semplice ragazzina, da cui dipendeva tutta la sua vita.

Taylor lo vide tornare repentinamente serio, come se l'inverno fosse calato di colpo su di lui.

"Non sono affari tuoi." le rispose secco e si staccò da lei, rimettendosi in piedi in un batter di ciglia. Ecco il Jeremy di sempre, pensò, scontroso e prepotente. Era troppo bello per essere vero. "Andiamo, Alex ci aspetta." disse poi, raccogliendo le borse con i vestiti.

"Aspetta, Jeremy! Che ho detto di sbagliato? Jeremy!"

Ma lui non le diede retta, ormai si era già incamminato verso l'uscita del parco, le spalle rigide e contratte, gli occhi completamente svuotati da quella scintilla di magia.

Taylor si alzò a fatica, ripulendosi come meglio poté e finendo di indossare le sue nuove sneakers. Lo seguì in silenzio, arrabbiata e mortificata, guardando i suoi capelli bagnati ondeggiare secondo il ritmo dei passi. Non seppe perché, ma appena salì nel silenzio ostile dell'auto, pensò a Tessy e a cosa stesse facendo in quel momento, tutta sola a Bourton.

"Papà?" Tessy bussò alla camera di suo padre, chiusa dalle sei di mattina. Di domenica mattina.

"Papà, devo uscire per le prove della messa."

La porta finalmente si aprì e rivelò un Oliver stanco e in disordine: "Ciao, gioiello."

Tessy gli sorrise, premurosa: "Va tutto bene?"

"Sì, certo. Ti accompagno." raccolse la sua giacca dall'appendiabiti e prese le chiavi della macchina.

"Che stavi facendo là dentro?"

"Lavoro." rispose lui con un'alzata di spalle.

Era da quando aveva saputo di Taylor che Tessy lo vedeva giù di morale. Si comportava in maniera strana, si chiudeva in camera per ore, tornava tardi da lavoro e, quando lei gli chiedeva notizie della sorella, evitava l'argomento o se ne usciva con un semplice "niente di nuovo".

A volte le veniva d'istinto rivelargli che non era solo in questo compito, che lei e Allyson avevano contattato la polizia e che si stavano muovendo con tutta attenzione sul loro caso, ma non trovava il coraggio. Aveva paura che lui si arrabbiasse e che pensasse che lei non gli desse abbastanza fiducia.

Non era una questione di fiducia, Tessy aveva piena considerazione delle capacità di suo padre, ma in un momento del genere bisognava assolutamente affidarsi a chi di mestiere. Non c'erano alternative e la situazione era molto più grave di quanto sembrasse, a detta della polizia.

Non capiva perché suo padre fosse contrario a farsi aiutare. Due giorni prima, in centrale, era stato un sollievo potersi rimettere nelle mani degli esperti. Lei e Allyson avevano parlato con Bob Gaynor, il responsabile della denunce per scomparsa; era stato molto professionale e aveva dato loro la speranza che cercavano.

Dopo essersi accertato che fossero maggiorenni, aveva chiesto loro di fornirgli più dettagli possibili e di indicargli ogni orario e conoscenza. Aveva registrato tutti gli appunti e, dopo essersi fatto dare i loro numeri di telefono, aveva garantito loro che avrebbe subito messo all'opera la sua squadra.

Entro pochi giorni avrebbero saputo fornire le prime notizie e lei doveva assolutamente avvisare suo padre. Solo che non sapeva come. Ci aveva provato già un paio di volte, ma lui era distaccato, distratto e non dava segno di voler entrare in argomento "Taylor".

Forse ne stava soffrendo più di quanto ci si potesse aspettare, aveva pensato, o forse era scocciato per il fatto che non riuscisse a trovarla con i suoi mezzi. Fatto stava che ora entrambi erano immersi in un silenzio tombale, all'interno della lussuosa auto nera.

La radio, che solitamente si trovava sintonizzata su un canale di musica classica, era muta e indifferente, il cielo grigiastro tutt'intorno non faceva che rendere l'aria ancor più deprimente. Inutile negare che Tessy fosse molto preoccupata; se c'era una persona con cui non si poteva andare in depressione, quella era proprio Oliver Heavens. Che gli stava succedendo?

"Eccoci qui, oggi verrà solo mamma alla messa, io devo sbrigare una faccenda in ufficio." disse fermando l'auto davanti alla chiesa.

"Va bene." rispose Tessy, prendendo il suo violino. "Buona giornata, papà."

"Buona giornata, gioiello."

Guardò la ragazza scendere e sorridere alla sua amica Allyson che la stava aspettando fuori dall'entrata. Riaccese il motore e si diresse alla Money House.

Sapeva che l'avrebbe trovata vuota, perché di domenica mattina tutti i banchieri rimanevano a casa, con la propria famiglia, il proprio letto e la propria tranquillità. Lui di tranquillità non ne provava da giorni, purtroppo. Né riusciva a dormire, né aveva tempo per la sua famiglia.

Pensava a un modo per trovare quei soldi e stava ore a fissare il telefono nell'attesa che una chiamata gli dicesse che era tutto uno scherzo, che ci era cascato e che aveva vinto due milioni di sterline per aver contribuito a far ridere qualcuno. Ma più il tempo passava, più questa speranza diminuiva.

Allora si concentrava a trovare un modo per far soldi su internet, a cercare gente disposta a spendere due milioni di sterline per un orologio d'oro o un impianto audio ben funzionante, ma non c'era nessuno pronto a fare un miracolo per lui. Doveva vendere la sua casa, la sua macchina e la baita in montagna. E forse avrebbe raggiunto quella cifra.

E poi? Poi avrebbe dovuto cambiare tutta la sua vita. Tessy avrebbe dovuto accontentarsi di un appartamento in centro, senza più la piscina, Martha avrebbe dovuto smettere di comprare pellicce e disdire tutti gli abbonamenti a quelle riviste su quale colore di smalto andasse più di moda.

Spense il motore sul suo posto auto, scese e sospirò ammirando l'edificio a più piani. Da lì riusciva vedere le vetrate del suo ufficio, al piano più alto, proprio sotto la H dell'insegna rossa "Money House". Avrebbe perso anche il posto di dirigente, una delle cose a cui teneva di più al mondo. Si sa, era un grado alto, che veniva dato a chi godeva di prestigio e buoni fondi.

Fortunatamente, sapeva già a chi lasciare le redini della Money House. Aveva tanti progetti per il suo business, ma li avrebbe riposti nelle mani di Edoardo, suo fidato collaboratore. Solo qualche giorno prima aveva in progetto per lui un trasferimento, data la sua età e l'esigenza di ringiovanire il personale, ma ora sarebbe stato felice – almeno l'unico in tutta quella faccenda – di mantenere il suo posto e di vedere una possibilità di ascesa nella carriera.

Salì in ascensore e si diresse all'ultimo piano, dove la solita segretaria era impegnata a sistemare palline e alberelli in ogni angolo.

"Buongiorno, Kate." salutò. "Al lavoro anche di domenica?"

"Sì." sorrise la ragazza, sistemandosi i ciuffi biondi. "Mia figlia Hannah è in montagna con un'amica e mio marito oggi è d'aiuto a ritinteggiare il ristorante, così ho pensato di venire ad attaccare qualche addobbo."

"Ottima idea." le sorrise ed entrò nel suo ufficio, sentendosi terribilmente in colpa anche per lei e per il suo destino. Avrebbe sostituito Cordano, se solo non fosse successo ciò che era successo. Le avrebbe fatto una bellissima sorpresa di Natale e avrebbe dato beneficio alla sua giovane famiglia. Ma ora realizzò che non sarebbe stato possibile; sarebbe rimasta ad addobbare stupidi alberelli all'ultimo piano di domenica mattina per altri innumerevoli anni.

Il suo ufficio era impeccabilmente pulito e in ordine. Una montagna di scartoffie lo attendeva per il lunedì, ma fece finta di non notarle e si sistemò al computer. Scrisse qualche e-mail agli affiliati, doveva assolutamente spedire gli auguri di Natale, e diede una controllata alle offerte per l'orologio. Tre mila sterline. Era questo il massimo che riusciva a ottenere?

La porta dell'ufficio si spalancò e un ometto basso e grassottello fece il suo ingresso reggendo alcuni fogli. Era poco più vecchio di Oliver, con un naso enorme e il viso sorridente: "Oliver! Speravo di trovarla qui!" esclamò raggiungendo la scrivania.

Lui oscurò il sito di vendite online e sorrise al suo collaboratore: "Buongiorno, Frank."

"Ottime notizie, Oliver, ottime notizie." annunciò l'uomo, tutto gasato. Rifilò il foglio sotto il naso di Oliver e gli disse di leggere attentamente.

Dopo pochi secondi, il suo capo alzò gli occhi e lo guardò smarrito: "Che roba è?"

"Ma non capisce?!" sbottò lui, risoluto. "È l'approvazione dell'Universal Credit. Siamo nei primi cinque della regione! L'affare è concluso, Oliver!"

Lui lo squadrò con i suoi occhi grigi: "L'affare? Vuoi dire quello a cui lavoriamo da nove mesi? Siamo in accordo con la Universal?"

"Può dirlo forte."

Oliver si lasciò cadere sulla sedia: "Siamo nei primi cinque!" esultò in un misto di incredulità e soddisfazione. Finalmente le sue orecchie sentivano una notizia positiva. "Ottimo lavoro, Frank."

"Oh, no, capo. Il lavoro è tutto suo." rilanciò l'altro, modesto e sincero. "Ma si rende conto? Ora godiamo di una sicurezza indiscutibile, siamo sotto l'ala della Universal! Lei è un uomo veramente in gamba, se lo lasci dire. Nessun dirigente in tutto il Cotswolds è riuscito a convincere quella banca, ma lei...lei è un oratore nato; un banchiere nato. Le siamo tutti grati, mi creda Oliver."

L'uomo gli sorrise, felice di ricevere quei complimenti, ma allo stesso tempo malinconico come poche volte in vita sua.

"Sa, Oliver, se decidesse di andarsene ora dalla Money House le darebbero almeno un miliardo di sterline. E da qui in avanti lei varrà ogni giorno di più! Al momento del suo congedo sarà riconosciuto con un premio impareggiabile." gli fece l'occhiolino, sinceramente ammirato dalla competenza e professionalità che Oliver non cessava mai di dimostrare. "Grazie a questo accordo la sua, e, diciamocelo Oliver, anche la nostra pensione sarà sufficiente a figli e nipoti finché non ci rinchiuderanno nella bara!"

Oliver lo fissò, rapito. Era rimasto al milione di sterline con sguardo da trota e il cuore che martellava. Aveva sentito bene?

"Frank, dici sul serio? C'è davvero un riconoscimento per i dirigenti?"

L'uomo si grattò il mento: "Com'è sempre stato, signor Heavens. A ogni buon dipendente la banca offre sempre un premio di congedo. A ogni buon dirigente, un gran bel premio."

Oliver si morse il labbro, riducendo i suoi occhi a fessure. Forse qualcuno gli stava servendo la soluzione su un piatto d'argento, perché un piano, ben delineato e funzionante, era appena apparso alla sua mente. Doveva solo trovare il coraggio di afferrare l'occasione senza ripensamenti.

"Tutto bene, capo? La vedo pensieroso."

"Bene, sì, bene." fece lui, alzandosi e lasciando la sedia a girare. "Credo che andrò a casa a meditare."

"Meditare? Su cosa, se posso permettermi?"

"Sugli errori a cui potrei ancora rimediare." recitò, solenne, guardando Frank, ma non vedendolo realmente. Aveva appena pronunciato un'altra frase da film; era un buon segno.

"Bene, allora...ehm, a domani, Oliver."

"Arrivederci, Frank."

E proprio come un attore che lascia il palco mentre cala il sipario, Oliver lasciò il suo ufficio, dirigendosi verso un posto in cui avrebbe potuto riflettere in libertà. Era ansioso di mettere a punto la sua idea e, sì, emozionato. Perché forse – forse, pensò piano nella sua testa – non tutto era perduto.

"Oggi è domenica." Taylor ruppe il silenzio, mentre Alex e Jeremy addentavano i loro panini, concentrati a non lasciar cadere nemmeno una foglia di insalata.

"E allora?" borbottò il biondo.

"C'è la messa, no?" se ne uscì Alex.

"Grazie, Alex."

"Per la cronaca, la quarta messa d'avvento." precisò Taylor.

"E allora?" chiese di nuovo Jeremy.

"È l'ultima prima di Natale." gli rispose Alex masticando l'ultimo boccone.

"Grazie. Alex."

"È davvero importante, non ne ho saltata una da quando hanno iniziato a portarmi in chiesa da piccola." spiegò lei con aria saputa.

"Wow, che vita da sballo."

"Jeremy, la religione è una parte fondamentale della mia vita."

"E allora?"

"Sai, credo che voglia andare a messa oggi." disse Alex.

"No, vuole andare a pascolare le mucche sull'Himalaya! Certo che lo so, Alex, non sono un deficiente."

"E allora perché continui a dire "e allora"?"

"Alex, giuro che ti arriva un cazzotto, ok?"

"Oh, vuoi fare a botte? Non ti conviene, biondo. Ti spezzerei come uno stuzzicadenti con quelle gambe anoressiche che ti ritrovi."

"Ti prego, ricordami perché sei venuto con noi."

"Perché il bambino speciale aveva bisogno della sua balia."

"Oh, che divertente."

"Ragazzi!" li richiamò Taylor, troncando l'amorevole discussione con tono mellifluo. "Mi farebbe davvero piacere assistere alla messa."

"Scordatelo." la zittì Jeremy.

"Perché? Non faccio niente di male!"

"Se vuoi posso andare io con lei."

"Alex, te ne stai zitto per una volta?"

"Jeremy, ti prego." Taylor tentò di corromperlo con lo sguardo più indifeso che avesse. Allargò gli occhi scuri e sbatté le ciglia lentamente, mentre le sue sopracciglia pregavano di avere pietà. Non faceva mai gli occhi dolci per ottenere qualcosa, nemmeno con sua madre, ma sembrava che per sciogliere Jeremy non bastasse promettere di comportarsi bene.

"Lor, risparmiati il moscerino nell'occhio. Non ci andrai."

"Ma Jeremy." congiunse le mani, andando remissiva al suo cospetto. "Per me è davvero importante. Non hai mai avuto qualcosa di importante? Di assolutamente imperdibile? Qualcosa tipo l'unica cosa che ti desse speranza in un momento di sconforto?"

"La pizza."

"Allora mi capisci!"

"Sì, ma sono sempre stato troppo debole per rinunciare alla dipendenza dal fumo e comprarmela. Quindi falla finita e adeguati alla depressione."

"Oh, Jeremy, se mi vuoi bene, mi lascerai andare a messa!"

"Non ti voglio bene."

"Però merito un premio per essermi comportata bene ieri al negozio."

"E quello lo chiami comportarsi bene? Se vuoi domani ti compro uno zuccherino, ma non posso concederti di più. Il trauma legato a Joanne non si dimentica facilmente."

"Andiamo, non puoi essere così cattivo."

"Non hai ancora visto nulla."

Taylor sbuffò, esasperata. Si sedette sul pavimento della camera, raccogliendosi le ginocchia con le mani. Era una ragazza di Bourton e questo la rendeva anche una ragazza estremamente religiosa e praticante; era vero che non mancava quasi mai a messa di domenica mattina. Ma a parte il senso del dovere nei confronti della chiesa, Taylor sentiva che davvero partecipare all'avvento le avrebbe fatto bene. L'avrebbe sollevata dalla preoccupazione per sua madre, le avrebbe dato coraggio e speranza, le avrebbe permesso di rivolgere le sue domande a Dio, come le aveva insegnato sua madre sin da quando Oliver se n'era andato.

Alex stappò una bottiglia di birra, sorseggiando tranquillo, mentre Jeremy cominciava ad avvertire un maledettissimo senso di colpa farsi largo nel suo stomaco. Più guardava la ragazza con la sua espressione delusa e gli occhi bassi, più si odiava per esserne la causa. Come al solito quella strana serpe stringeva il suo cuore e lui non poteva farci nulla. Era completamente vittima di un indefinito e stupido sentimento; inaudito per uno come lui.

Alla fine posò il panino e incrociò le braccia al petto: "Ok, Lor. Dammi una buona ragione, una sola buona ragione, per andare in quel posto e io ti ci porto."

La ragazza alzò la testa e lo guardò, un po' colta alla sprovvista.

"Mi devi convincere, mocciosa." le intimò puntandole addosso la bottiglia di birra. "E ricordati che io non credo in niente e nessuno."

Taylor ci pensò per qualche secondo e poi decise che la verità sarebbe stata la via migliore: "Non si tratta di te, Jeremy, ma di me. Attraverso Dio posso comunicare a mia madre che sto bene, posso confidarGli quanto mi manchi e chiederGli di proteggerla al posto mio. Non posso farlo come si deve da qui. O comunque non mi sento sicura che mi ascolterebbe."

Jeremy sentì la stretta allo stomaco salire e prendersela di colpo col suo Pomo d'Adamo, rendendogli difficile deglutire. Taylor gli parve talmente indifesa e innocente da essere quasi illegale. Quel tono un po' bambinesco e quelle parole da Catechismo rivelarono quanto fosse piccola, quanto fosse inesperta del mondo e quanto la sua realtà non fosse che una costruzione che avevano creato attorno a lei senza che nemmeno se ne rendesse conto. Era così dannatamente tenera che gli fece male, che gli pugnalò il cuore e lo fece sentire parte di quella metà di mondo che faceva schifo, e nient'altro.

Quell'ingenuità avrebbe dovuto mandarlo su tutte le furie e invece l'aveva inondato di pena e dispiacere, forse invidia per non possedere quel modo di vedere così semplice e privo di malizia. Invidia per non essere stato protetto com'era stata lei, rabbia per aver dovuto crescere troppo in fretta, diventando lo scettico che era. Troppo grande ormai per poter credere, eppure troppo vulnerabile per non risentirne le conseguenze.

Era anche troppo cosciente per non rendersi conto di cosa stava succedendo. A Taylor sarebbe bastato un nonnulla per essere felice. E anche a lui sarebbe bastato un nonnulla, sia per farla felice e sia per distruggerla completamente. Avrebbe potuto rompere la sua sfera di cristallo con lo scetticismo, con l'asettico resoconto della realtà, con le parole dure e sprezzanti che in passato non aveva mai temuto di spendere sulla religione. Oppure avrebbe potuto semplicemente chiudere gli occhi e fingere. Fingere che lei non stesse vivendo in una menzogna, fingere che Dio avrebbe veramente protetto sua madre, fingere che andare a messa avrebbe avuto il minimo significato.

Taylor riusciva a toccarlo nel profondo semplicemente essendo se stessa, nel modo in cui era stata illusa, delusa e cresciuta, e fu per questo che lui decise di fingere. Di farla felice.

Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo: "Preparati." disse semplicemente, e gettò nel cestino quei pochi avanzi di panino.

Alex, che capì il disagio che aveva provocato involontariamente Taylor, si offrì di accompagnarla da solo, ma Jeremy gli assicurò che era tutto a posto, che potevano partire insieme. In poco tempo tutti e tre furono davanti alla chiesa ed entrarono poco prima che la messa iniziasse.

"Sentimi bene, principessa, io non so come ti abbiano abituata, ma queste sono le regole." sussurrò Jeremy all'orecchio di Taylor. "Niente confessioni chiusa là dentro assieme al prete, niente comunione immersa nelle file di fedeli, niente buste con richieste d'aiuto nelle offerte."

"Wow, Jeremy, hai davvero fantasia."

"Eviterai di guardare in faccia la gente." proseguì, inscalfibile. "Starai a capo chino e non parlerai con nessuno. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è essere riconosciuti."

"Jeremy, siamo in una chiesa in piena campagna, ci sono dieci persone, dodici se consideri anche il prete e il chierichetto."

"Anche la peste inizia sempre con un malato."

Taylor gli lanciò un'occhiata sconcertata.

"Ah, e niente balli o riti sacri di qualsiasi genere. Che non ti venga nemmeno in mente."

Taylor ridacchiò: "Non facciamo riti sacri, Jeremy."

"Bene."

"Solo canti."

"Non azzardarti a cantare, mocciosa, non provarci neanche." sibilò lui, nel panico, ma la campanella di inizio cerimonia trillò prima che lei potesse ribattere.

Il ragazzo vide tutte le persone alzarsi e si guardò attorno, come se fosse su un altro pianeta. Non aveva che sfocati ricordi di una funzione e ora sentiva già il fiato mancare, nella pura angoscia di essere in una chiesa, con almeno dodici potenziali testimoni oculari del suo crimine. Aveva già detto che odiava quella Heavens?

Gli alieni eseguirono il segno della croce e lui pensò che prima o poi l'avrebbe portato definitivamente alla rovina.

"Sinistra, destra, amen." gli sussurrò Taylor, vedendolo in difficoltà.

"Grazie." disse lui e, guardandola con aria di sfida, ripeté. "Nel nome del Padre, del Figlio, sinistra, destra, Amen."

Taylor scosse la testa e desiderò sbatterla sulla colonna più vicina.

Si preannunciava una cerimonia molto lunga.

Finalmente il sacerdote diede la benedizione e i fedeli si dileguarono lentamente verso l'uscita. Jeremy prese per mano Taylor, sollevato di poterla trascinare fuori da quel posto e andarsene per non ritornarci più. La ragazza, tuttavia, oppose resistenza e si intestardì per aspettare un momento.

"Lor, non ci voglio invecchiare qui dentro."

"Voglio accendere una candela." disse lei.

"Una che? Non c'è già abbastanza luce?"

"Jeremy, non fare il saccente. Voglio accendere un lumino per pregare."

"Ancora? Non ti sembra di averci già dato dentro in questi pallosissimi quarantacinque minuti?"

"Ti ricordo che siamo in chiesa, non si possono usare certi termini."

"Ora Dio ha scritto anche il vocabolario?"

"Smettila, Jeremy, è una cosa seria." si avvicinò a un banchetto pieno di candele accese e lo indicò al ragazzo, che la seguì più per inerzia che per interesse. "Vedi? Ognuna di quelle è una preghiera verso qualcuno di particolare."

"Interessante. Scommetto che c'è anche l'amante segreta del prete tra quelle persone particolari."

"Jeremy, che diavolo dici?" lo rimproverò a bassa voce, come se avesse appena bestemmiato e lei si vergognasse per lui. A Jeremy sembrava troppo ridicola, ma allo stesso tempo piacevolmente buffa e ingenua. "Non pensare nemmeno a una cosa del genere, è una grave mancanza di rispetto. I preti sono sposati con Dio!"

"Sapevo che quel tizio doveva essere gay. Aveva proprio la faccia."

Il ragazzo si beccò un pugno piuttosto forte sulla spalla, al quale ridacchiò. L'argomento sembrava pungere sul vivo Taylor e lui se la stava spassando alla grande nello stuzzicarla appositamente.

"Ehi, siamo in chiesa, non si possono fare certe cose." infierì continuando a godere del fastidio che provocava.

"Sei insopportabile, Parker." ammise lei cercando di far prendere fuoco a uno stoppino.

"Come fai a sapere il mio cognome?"

"Me l'hai detto ieri mattina, ricordi? Jeremy Parker, il più bello, in gamba, intelligente..."

"Oh, già." si ricordò lui, stupito. Era strano che avesse registrato un'informazione a cui lui non aveva nemmeno prestato attenzione; non credeva le importasse del suo cognome. Lui stesso non si era reso conto di averlo fatto conoscere. Forse intendeva semplicemente denunciarlo, era per quel motivo che di solito la gente cercava di sapere determinate informazioni su di lui. Ma lasciò correre e si schiarì la voce: "Bello, in gamba, intelligente. Amen." sospirò. "Ora che abbiamo pregato possiamo uscire?"

"Non era pregare, era decantare qualità inesistenti." finalmente la sua candela si accese e la appoggiò vicino alle altre. La guardò per qualche secondo, ipnotizzata dalla luce arancione, poi ne offrì una a Jeremy.

"No, grazie." rifiutò lui.

"Coraggio, non è un reato." insistette lei.

"So cos'è un reato, direi." le rivolse un'occhiata eloquente. "Non voglio e basta."

"Ma Jeremy-"

"Ho detto di no, non credo nel tuo Dio, Lor, mi sembra solamente inutile. È come se io ti costringessi a fumare."

"Non dire stupidaggini, Dio non può essere comparato alle sigarette nemmeno per sbaglio. E poi, a Dio non importa se credi a Lui o meno, qualsiasi cosa Gli chiederai, sarà presa in considerazione."

Guardò il suo naso dritto e le guance arrossate e lo sguardo fiero e capì che doveva darle ragione per farla tacere. Come al solito.

"Da qua." le lanciò un'occhiata irritata e sofferente, poi, titubante, afferrò la candela e attinse dalla sua per accenderla. Quando fu pronta, la sistemò un po' più distante dalle altre e la guardò.

"E ora?"

"Ora fai finta che sia...che so, un cellulare per chiamare qualcuno molto lontano da qui. Avrai di certo qualcuno con cui parlare o a cui dedicare una preghiera, no?"

Il ragazzo annuì impercettibilmente. Era riluttante a quella situazione, eppure in qualche modo stava continuando a seguire gli ordini di Taylor. Lui, che seguiva gli ordini di Taylor. Quanto era fottuto quel ragazzo poteva saperlo solo lui.

Ma in realtà si chiedeva cosa ci fosse di così tanto speciale da spingere quella pazza a volerlo coinvolgere. Voleva capirlo, voleva sapere anche lui, voleva provare anche lui.

Stava facendo qualcosa di assolutamente nuovo, che rappresentava una specie di tentazione benigna a cui aveva sempre resistito per riuscire ad accettare il male in cui viveva. Stava cedendo, ahimè, e non c'era più una difesa che fosse abbastanza alta per fargli recuperare lucidità.

Non pensava seriamente a sua madre da anni. Per un attimo, ebbe davvero paura dei suoi stessi pensieri.

"Bene, ora chiudi gli occhi e non aver paura."

Furono quasi un sussurro, quelle ultime tre parole, e fecero fremere il suo respiro.

Chiudere gli occhi? Taylor gli stava chiedendo di avere fiducia. Gli stava chiedendo troppo forse, ma alla fine...per chi lo stava facendo? Per lei stessa o per lui? La testa aveva iniziato a vorticare e lui si sentiva definitivamente confuso.

Taylor riusciva a percepire la tensione di Jeremy. Non osava fargli domande, ma voleva che anche lui potesse essere aiutato da Dio. Che ci credesse o no, la sua preghiera sarebbe stata ascoltata e di questo ne era certa. Decise di imitare il temibile rapitore e calò le palpebre con un sorriso in volto, lasciando che l'immagine di sua madre comparisse nella sua mente.

Pochi secondi dopo gli occhi scuri di Taylor ritornarono a guardare quelli celesti di Jeremy, resi più caldi del solito forse per l'effetto della luce delle candele. Non li aveva tenuti chiusi nemmeno un secondo, constatò quasi ridendo tra sé. Aveva svolto un pessimo esercizio, ma almeno l'aveva svolto.

Sorrise amichevolmente e disgiunse le mani: "Grazie per aver provato." gli disse solamente.

"Non devi ringraziare me." rispose il ragazzo. "Io non ho fatto nulla, è a lui a cui chiedi tutti quei favori." fece, indicando una statua di legno raffigurante Gesù. "Immagino che debba averne davvero le palle piene."

Lei sorrise, ammonitoria: "Sì, è vero. Ma non sono tutti per me, i favori."

"E per chi, allora?"

"Per chi ne ha bisogno."

Jeremy assunse un'espressione corrucciata: "Ma non ha senso."

"Forse dovresti solo imparare il significato della parola 'preghiera'. Subito dopo quello di 'modestia', naturalmente."

"Sì, forse." abbassò lo sguardo, apparentemente preso dai pensieri.

Taylor lo vedeva per la prima volta realmente perplesso. Sicuramente aveva capito che la Fede era qualcosa a lui completamente estraneo. In particolare, non era abituato a pensare agli altri, quando era chiaro che per tanto tempo fpsse stato obbligato a concentrarsi solo su se stesso.

La ragazza non poté fare a meno di ridacchiare.

"Cosa c'è, ora?" le chiese lui.

"È facile, Jeremy. Devi solo trovare qualcuno a cui servirebbe qualcosa e chiederla per lui, cosicché possa averla più facilmente."

"E tu a chi avresti pensato, sentiamo."

"Beh, a mia mamma, alla mia migliore amica e..." ora fu Taylor ad abbassare lo sguardo, leggermente in imbarazzo. "A te."

Il ragazzo sollevò le sopracciglia in un'espressione stupita: "A me?"

Nessuno aveva mai pregato per lui.

"Io credo che Dio dovrebbe aiutare anche te." rispose, un po' impacciata.

"Davvero, non ci capisco più niente. Credevo che mi odiassi perché ti ho rapita."

"Difatti ti odio perché mi hai rapita, ma ho la sensazione che non sia stato tu a volerlo fare. Ho ragione, Jeremy?"

Ci fu un lungo, interminabile silenzio durante il quale gli occhi dell'una fissavano quelli dell'altro a pochi centimetri di distanza, come il giorno prima. Quel contatto non portava mai a nulla di buono, insegnava la storia.

Era davvero possibile che fosse stato così stupido da lasciar intuire la verità?, si chiese Jeremy. Quella ragazza aveva davvero un qualcosa di speciale, altrimenti come riusciva a leggerlo come se fosse stato un libro aperto, come nessun altro era capace di fare?

Avrebbe voluto lasciarsi andare a quel potere, confidarsi, liberarsi del suo peso, ma non poteva. Lui non poteva essere sincero. Lui doveva mentire, doveva dirle di no, che era tutta un'idea sua e che era tutta una questione di soldi. Doveva mentire costretto da un insulso ricatto, costretto da un uomo che l'aveva ficcato in quell'assurdo casino, in cui sentiva di annegare sempre di più.

Che cosa gli stava succedendo? Non riusciva a dire una semplice bugia di fronte a Taylor? Lui era un mago in queste cose, recitava benissimo, mentiva con una scioltezza innata. Ora invece sembrava quasi bloccato, sembrava insensibile e indeciso. Sembrava desiderare così tanto la giustizia, per una volta nella sua vita, invece di soccombere all'indifferenza della sua insipida esistenza.

Stava forse perdendo quella motivazione di cui Cordano parlava tanto?

"Senti, lascia stare. So che stai per rifarmi la ramanzina del 'devi stare al tuo posto', 'ti pianto una pallottola nelle gambe' e via dicendo, perciò...scusa, non te lo chiederò più." disse infine lei, il sospetto, memore del giorno prima, di essere andata oltre ciò che Jeremy aveva scelto di concederle. "Piuttosto, tu per chi hai pregato?"

'E' la giornata delle domande di merda?' pensò questa volta Jeremy. Non gliene andava bene una, stava realmente pensando che Taylor volesse fargliela pagare per averla rapita, attraverso subdoli giochetti psicologici.

"Non per te." rispose, diplomatico.

"Non avevo dubbi." ribatté lei, un po' delusa per non aver ricevuto una vera risposta. Le sarebbe davvero piaciuto sapere chi c'era nella testa di quel ragazzo.

"Ehi, non fare così, sei comunque importante." la canzonò lui. "No Lor, no soldi. No soldi, no sigarette. Tu e le mie sigarette siete legate da un legame indissolubile. E vitale."

"Haha, grandioso sillogismo." tagliò corto freddamente, riprendendo le distanze da lui. "Direi che è la conclusione migliore a questo insensato incontro spirituale."

Jeremy la scrutò perplesso. Aveva percepito un vertiginoso aumento di freddezza da parte della ragazza nei suoi confronti, intuendo che qualcosa nella sua battuta l'aveva fatta arrabbiare.

Effettivamente non era stato molto piacevole e si poteva dire che avesse rovinato un momento fin troppo gradevole per vedere come protagonisti loro due. Tuttavia, non era la prima volta che capitava e lei non se l'era mai presa prima. Aveva sempre risposto acidamente alle sue battute e si era dimostrata ammirevolmente impassibile.

Quando uscirono, Alex li accolse con un'aria spazientita: "Hallelujah! Cosa stavate facendo là dentro, contavate le pagine della Bibbia?"

Taylor gli lanciò un'occhiata truce: "Siete proprio uguali, voi due." e si chiuse in macchina, sbattendo lo sportello.

Il ragazzo si girò verso Jeremy: "Cos'è successo?"

"Credo sia incazzata con me."

"Che tu ci creda o no, a questo ci ero arrivato anch'io. Perché?"

Il biondo scosse la testa: "Pensa che sia uno stronzo."

"Oh, benvenuta nel club, allora."



ANGOLO AUTRICE

Il titolo, "Oh luce sacra", sembra semplice, ma nella mia mente contorta ha vari significati (di cui non frega a nessuno, ma dettagli).

Intanto è una canzone di Natale e fin qui tutto bene. Si riferisce alla luce della candeline (a proposito, io sono una patita di Yankee Candle, dovevo dirvelo) che è da considerarsi sacra per ciò che rappresenta, ossia la preghiera. Si riferisce anche alla luce rara e genuina (per questo quasi sacra) che accende gli occhi di Jeremy quando è felice e poi, in scala più filosofica, per me pone una contrapposizione tra Holy, cioè la Fede, e Light, cioè la Ragione, che sono due valori opposti, rappresentati rispettavamente da Taylor e Jeremy. Forse, da Jeremy, più nei termini di realismo e scetticismo che di ragione. Ma vabbè. Sono solo i miei viaggi mentali.


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