All I want for Christmas is...

Par yellow_daffy_writer

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[COMPLETA] Jeremy Parker ha 22 anni ed è un criminale. Ha chiesto al suo migliore amico di aiutarlo a rapire... Plus

1. Deck the Halls
2. Broken Photo, Broken Heart, Broken Nose
3. Everybody's Fault
5. Fresh Fish and Hot Thoughts
6. Oh Holy Light
7. Monsters at the Diderot
8. Athens and Sparta
9. Heavens and Bell
10. A Lot of Things Together
11. Fatal Encounters
12. Save You to Save Me
13. All Kinds of Love - part 1
14. All Kinds of Love - part 2
15. Omnia vincit amor

4. The Value of a Life

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Par yellow_daffy_writer

Tessy ed Allyson aspettavano nervosamente fuori dall'ufficio.

Era tardo pomeriggio e il corridoio pullulava di segretarie indaffarate. Allyson osservava la più giovane di queste, una donna sulla trentina, piena di energie e con il sorriso stampato in viso. Si chiedeva a cosa stesse pensando; probabilmente al suo lavoro che andava bene o alla persona che amava e che l'avrebbe aspettata a casa al suo ritorno.

Tessy, invece, era intenta a ripassare mentalmente le note del suo assolo. Purtroppo, però, era piuttosto inutile, perché arrivava fino a metà e poi non riusciva più a continuare. C'era un senso di colpa che occupava non solo il suo cuore, ma anche la sua mente, deconcentrandola da qualsiasi altro pensiero.

"Tessy, non devi sentirti in colpa." disse Allyson, rompendo il silenzio. La conosceva talmente bene che sapeva come potesse sentirsi o lo poteva immaginare senza difficoltà.

Tessy ricambiò lo sguardo, leggendo a sua volta negli occhi dell'amica: "Nemmeno tu."

La ragazza si passò una mano sul viso, sospirando: "Avrei dovuto chiamarla. Avrei dovuto accorgermi della sua scomparsa, come ho potuto essere così disattenta?"

"Ma non è dipeso da te."

"Oh sì, invece. Sono stata io a insistere per trascinarla alla festa. Sono stata un'enorme egoista."

"No, Ally, è colpa mia se è scappata." snocciolò Tessy, come se si liberasse da un macigno. "È colpa mia. L'ho trattata male e non le ho detto grandi cose."

Allyson corrugò la fronte: "Come sarebbe a dire?"

"Sono stata un po' sgarbata, forse?"

"Tessy."

La mora sbuffò e si ravvivò i capelli: "L'ho presa in giro, ecco. Non ho pensato che potesse ferirla così tanto da farla scappare."

"Non è possibile." fece Allyson, secca e arrabbiata. "Non chiedevo che diventaste migliori amiche, ma, Tessy, lo sai, dovevi solo cercare di comportarti in modo civile con lei. Era così difficile? Non ti ho mai domandato grandi favori, se non questo."

"Lo so, Ally. Mi dispiace." la ragazza sembrava davvero sincera, e tesa, quasi in apprensione. Si torturava le talentuose mani, mentre il suo sguardo colpevole saettava da un angolo all'altro della stanza. "So di aver sbagliato, ma l'ho capito solo ora. E, lo so, è un po' troppo-"

"Tardi." completò Ally, dura.

Il fatto che la sua amica non avesse rispettato la sua unica richiesta le dava un tremendo fastidio. Più di quanto desse a vedere, a dire il vero. Innanzitutto, aveva tradito la sua fiducia e poi era stata la miccia di una grave esplosione, le cui conseguenze erano ancora tutte da vedere.

Ally conosceva bene Taylor; non c'era niente che potesse toccarla più della questione famiglia e aveva paura che avesse potuto combinare qualche stupidaggine. Certo, se lei non l'avesse costretta ad andare alla festa non sarebbe successo nulla, ma complice anche il comportamento di Tessy, ora la possibilità che Taylor fosse scappata era del tutto realistica.

Sospirò, preoccupata.

Appena Tessy le aveva riferito dell'incontro con Amanda, non aveva esitato a tornare a Bourton di corsa. Aveva rimandato l'appuntamento con suo fratello per poter arrivare in tempo alla Money House e parlare con Oliver assieme a Tessy. Le dispiaceva da morire per Richard, ma al momento l'agitazione per la sua amica era più grave.

La segretaria si avvicinò alle due ragazze: "Il signor Heavens può ricevervi in questo momento."

Senza scambiarsi una parola, si alzarono e la seguirono fino all'enorme ufficio tutto vista e mobili coordinati, che dava sul parco della città. Il signor Heavens stava comodamente seduto sulla sua poltrona girevole, minimamente turbato e con un espressione serena sul volto.

Sarebbe durata ancora per poco.

"Ciao, gioiello di papà!" accolse la figlia con un sorriso a trentadue denti: "Ciao, amica del gioiello di papà!"

Era sempre così che Oliver salutava Allyson, facendole di solito scappare un sorriso, ma questa volta non successe.

"Allora, cosa vi porta qui? Avete una faccia." indicò le due poltroncine di fronte alla sua scrivania. "Volete che vi faccia portare una cioccolata? Oppure non avete fame perché l'altra sera ci avete dato dentro con i pasticcini?" scherzò.

Oliver Heavens era una persona estremamente positiva e ottimista. Adorava i colmi e le freddure e, grazie alle sue allegre battutine, era sempre stato un ottimo intrattenitore. Peccato che la sua parte razionale faticasse a uscire, dando di lui l'immagine del personaggio un po' vuoto e superficiale.

Aveva corti capelli sul grigio e due grandi orecchie a sventola che gli conferivano un'aria ancor meno seria. Era solito rasarsi e vestire elegante; rappresentava, insomma, l'immagine dell'uomo ricco e soddisfatto dalla vita. Gli riusciva particolarmente bene, dato che lo era davvero.

I suoi occhi erano identici a quelli di Tessy, solo segnati da qualche ruga in più. Il sorriso, invece, era quello di Taylor.

"Papà, ti dobbiamo parlare." Tessy dissolse quell'atmosfera di serenità e si sedette facendo tintinnare i suoi costosi bracciali.

"Cosa c'è, gioiello?"

La ragazza non riusciva a trovare le parole, si sentiva nervosa e agitata. Non parlava mai della prima famiglia di suo padre con suo padre. E non ne sentiva mai parlare. Aveva paura che lui non avesse gradito affrontare argomenti legati alla sua prima moglie, men che meno riguardo alla sua prima figlia. Non sapeva come iniziare il discorso; l'imbarazzo e il senso di colpa le avevano annodato la lingua.

Stava giusto prendendo fiato per iniziare una frase, quando lui la bloccò: "Non mi dirai che tu ed Eric, insomma...che avete...gioiello mio, sei incinta?"

Allyson si lasciò scappare un sorriso; quell'Oliver era troppo ingenuo e protettivo per non pensare subito a una confessione del genere. Tessy invece trattenne un sussulto. A causa di tutto quel trambusto, aveva quasi dimenticato quello che era successo con Eric.

Sentirlo nominare le scosse il cuore per un secondo e dovette sforzarsi per deglutire via tutti quei brutti pensieri.

"No, papà, Eric non è più un problema ora. Si tratta di Taylor." sfiatò, a disagio. "Taylor, insomma, mia..."

"Sorella." finì Allyson per lei.

A queste parole, Oliver assunse un'espressione stupita che palesò quanto non si aspettasse di sentire quel nome: "Che cos'è successo?"

Allyson spiegò tutta la vicenda, tralasciando volutamente la parte in cui Tessy aveva preso in giro la sorellastra. Gli raccontò della festa, dell'avvenimento che aveva fatto sì che la perdessero di vista, della sua misteriosa scomparsa. Poi disse della visita di Tessy ad Amanda e della profonda inquietudine della donna.

"Oh, ma è terribile." commentò Oliver, la perenne mania di reagire come nei film. "Non risponde nemmeno ad Amanda?"

"No, ha il telefono spento." confermò Tessy, spaventata.

"Beh, è possibile che si sia allontanata. Non vi preoccupate, la farò rintracciare usando la scheda del suo cellulare."

"E se l'avesse perso?" chiese Allyson, assalita dal dubbio e dal rimorso.

Oliver guardò fuori dalla vetrata, pensieroso.

L'avrebbe fatto rintracciare comunque e poi avrebbe avvertito la polizia.

Sì, avrebbe fatto così.

E poi magari avrebbe parlato con quel suo amico alla centrale. E avrebbe coinvolto l'unità cinofila, se fosse stato necessario.

Ma era meglio non affrettare le cose e affrontare il problema con calma. Magari si era solo allontanata e sarebbe tornata entro sera. Sì, sicuramente era andata così.

Chissà come si stava sentendo Amanda, però.

Il suo pensiero andò subito alla donna occhialuta e apprensiva da cui aveva divorziato parecchi anni indietro. La conosceva abbastanza bene da poter immaginare quanto fosse preoccupata in quel momento e pensò che era meglio andare a trovarla, appena finito il turno di lavoro.

Avrebbero aspettato Taylor assieme, le avrebbe fatto piacere avere lui accanto.

E poi, anche lui era in pensiero per sua figlia Taylor, anche se non le parlava da molto tempo. Sperava che si trattasse di qualche ripicca e che ben presto sarebbe tornata sui suoi passi. Si sentiva positivo a riguardo; probabilmente sarebbe successo proprio così.

"Ma non ti stanchi mai di blaterare?"

Jeremy non ce la faceva più. Aveva passato una notte insonne a causa delle continue preghiere di Taylor. Preghiere autentiche, di quelle con genuflessione e palmi uniti, di quelle che, se solo non si fosse sentito in colpa per lo schiaffo, avrebbe zittito molto volentieri.

Pregava a bassa voce, a volte in lingue a lui incomprensibili e continuava a rivolgersi a Dio come se fosse stato la polizia ("Ti prego, trova delle tracce, segui il mio odore con i cani, arresta Jeremy e Alex,..."). Lei non aveva dormito e lui neanche. Solo Alex ci era riuscito, allietando le orecchie già disturbate di Jeremy con il suo beato russare. Una notte davvero piacevole.

Al mattino Taylor aveva passato mezz'ora in bagno e lui aveva dovuto minacciarla di alzare il prezzo del riscatto per farla uscire. Ora stava camminando con lei, mano nella mano – e non nel senso romantico del termine – per un vicolo di Cirencester, con Alex alle sue spalle e la voce tartassante della ragazza costantemente nelle orecchie.

"La colazione è il pasto più importante della giornata, non lo posso saltare, oppure sarò nervosa e irritabile per tutto il resto della giornata."

"Oh, peggio di così non puoi di certo diventare."

"Mi stai sfidando? Quando sono nervosa parlo davvero moltissimo. Molto più di adesso, dico anche cose senza senso. Tipo, potrei affermare di essere una cantante pop molto famosa o un'icona del cinema. Una volta, a pensarci, mi è anche successo. Succede a molte persone, penso sia una sindrome o qualche patologia simile. Una volta un tizio che non mangiava da due giorni era convinto di essere Madonna e ha cominciato a cantare le sue canzoni a squarciagola per tutta la città. Forse lo hanno arrestato ed è finito sulla gazzetta di Bourton, ma poi-"

"Taylor!" esclamò Jeremy esasperato. "Basta, ti prego."

Lei sorrise compiaciuta. Non gli avrebbe lasciato pace finché non l'avesse liberata, era parte del suo piano malefico: "Te l'ho detto, è una condizione involontaria. Non ci posso fare nulla, è più forte di me. Pensa che ogni tanto ho pure dei cali di zucchero e lì sì che sono guai! Vado avanti a dire qualsiasi cosa mi passi per la mente. Ad esempio-"

"Dimmi, lo fai apposta?" la prese per le spalle e la fece fermare di fronte a lui. La guardò con una serietà tale che i suoi occhi sembrarono farsi più scuri, di un azzurro elettrico che minacciava potenti scosse al solo avvicinarsi.

"Può darsi." rispose lei, altezzosa. "Non so cosa dico, perché non ho fatto colazione e ho un calo di zuccheri."

Era difficile non cedere a quelle iridi cristalline, constatò. In più, lei non era mai stata capace di mentire.

Sperò che Jeremy non avesse intenzione di ripetere la performance del giorno prima, altrimenti gli avrebbe staccato le palle a morsi. Aveva deciso che non si sarebbe più fatta prendere alla sprovvista; non da lui, per lo meno.

"Non mi fai fesso facilmente, mocciosa."

Taylor sbuffò: quel ragazzo era tanto perspicace quanto indisponente. Lo odiava ogni secondo di più.

"Posso almeno sapere dove mi stai portando?" tentò, maledicendo il marciapiedi discontinuo che la faceva inciampare ogni due metri.

"Qui." rispose lui aprendo una cabina telefonica e spingendola malamente all'interno.

Fece segno ad Alex di rimanere fuori di guardia e poi entrò a sua volta, assicurandosi che la porta forse ben chiusa. Le mise una manetta al polso, mentre agganciò l'altra al suo, in modo che lei non potesse scappare.

"Non ci credo, hai pure queste!" esclamò lei, stringendosi nell'angolo. "Non oso pensare che cosa conservi nel baule. Fruste e catene, forse. O un cadavere."

"No, il cadavere no, ma posso rimediare facilmente." le lanciò un'occhiata significativa.

"Haha." disse, non troppo rilassata, cercando di evitare il contatto fisico con il ragazzo. Ma servì a poco, perché lo spazio era davvero piccolo.

"Ahia, Heavens, mi hai pestato un piede con quei maledetti tacchi!"

"Scusa, non ti avevo visto." commentò lei, sarcastica.

"Davvero simpatica. Credo che userò quegli arnesi per cucirti quella bocca durante le prossime notti."

"Allora sappi che pregherò col pensiero fino a entrare nel tuo subconscio."

"Io non ho subconsci." ribatté lui. "Ho solo un'anima al servizio del diavolo. Gliel'ho venduta per comprarmi le sigarette."

"Lo vedo da tutti quei punti demoniaci che hai sulla faccia, sono la firma del male."

Jeremy non l'ascoltò; infilò qualche gettone nell'apposita fessura e cominciò a digitare il numero.

"Chi stai chiamando, demone?"

"Ordino una pizza." la schernì lui, poi si fermò un secondo prima di premere l'ultimo tasto e prese un respiro.

"Lor, ascoltami bene." incatenò i suoi occhi a quelli della ragazza e si fece improvvisamente serio. "Adesso parlerai solo quando te lo dirò io e non farai scherzi, altrimenti saranno guai seri per te."

"Perché? Che stai facendo?"

"Non fare domande." la redarguì. "Fai la stupida e aumenterò ogni volta il prezzo di mille sterline."

"Non capisco."

"Sto per chiamare tuo padre." spiegò lui, in tono d'ovvietà.

Taylor per poco non scoppiò a ridere: "Mio padre?" era esilarata e stupita allo stesso tempo. "Senti, Jeremy, faresti prima a tornare a Bourton e rapire Tessy, perché io un padre non ce l'ho."

Il ragazzo la guardò confuso: "Non eri la sorella di Tessy Heavens? Oliver deve essere tuo padre."

Lei scosse la testa, abbassando lo sguardo. Ecco, ora aveva nominato lui e tutto era precipitato nel baratro dell'imbarazzo, dell'inadeguatezza, della commiserazione.

"Oliver non sa nemmeno quanti anni ho." spiegò con voce sommessa. "L'unica cosa che sa di me è che sono nata per colpa sua e il nome che porto l'ha deciso lui, come del resto il cognome."

Non lo vedeva, ma si sentiva il suo sguardo puntato addosso. Sentiva che doveva temere anche lui, come aveva temuto tutti da quando aveva 'perso' suo padre e aveva dovuto spiegarlo alla gente. Temeva di essere compatita, non lo sopportava, perché andava solamente a infierire sul male che Oliver le aveva già fatto.

L'unico sollievo che provava in quel momento era sapere che Amanda non c'entrava. Tutto lo spettacolino di Alex e Jeremy serviva per spillare qualche soldo a suo padre. Da una parte ne era felice, dall'altra non poteva esserlo del tutto, perché se le fosse successo qualcosa, sua madre avrebbe comunque sofferto. Ma almeno ora aveva capito il senso del loro piano, sapeva quale sarebbe stato il suo destino, e anche quello dei suoi rapitori.

"Mi spiace, Jeremy." disse alzando di nuovo gli occhi sui suoi e trovandoli inopportunamente curiosi. "Se erano soldi quelli che volevi, dovevi usare qualcun altro per averli. Lui non si preoccuperà mai per me."

Il ragazzo sentì di nuovo quella strana e invadente rabbia addosso. Era dalla sera in cui aveva rapito Taylor che non tornava a fargli visita e lui quasi se n'era dimenticato. Era qualcosa che si attorcigliava al suo petto, che non poteva controllare e nemmeno fermare. E più guardava Taylor, più stringeva.

Non riusciva a spiegarsi perché, ma in qualche modo maltollerava quelle parole, quello sguardo triste, quella sofferenza nella voce della ragazza che gli stava di fronte.

Come aveva fatto quell'Heavens a indurre sua figlia ad odiarlo?

Com'era possibile che lei avesse una tale opinione di lui?

Lui l'aveva visto Oliver di tanto in tanto, per le strade di Bourton. Non gli pareva un tale stronzo. Certo non sarà stato il padre perfetto, ma non riusciva nemmeno a immaginare che uno così potesse essere cattivo. I padri cattivi erano tutto un altro genere.

Avrebbe voluto parlarne con lei, capire di più, ma non avrebbe avuto senso. Non in quel contesto, almeno, non con quella razza. Taylor era solo una spina nel fianco e probabilmente stava inscenando tutto per impietosirlo e farla franca con classe.

Nuovamente provò rabbia, ma stavolta era nei confronti di quella mocciosa.

"Non è detto che tu abbia sempre ragione, Lor." disse premendo finalmente l'ultimo tasto.

📞

Oliver camminava verso l'appartamento che non visitava da anni. Il vialetto con gli abeti, le cancellate arrugginite, le eliche che coprivano il terreno. Sembrava che per di lì il tempo non fosse passato.

Poi vide l'edificio lattiginoso, reso ancora più bianco dal freddo. Era strano pensare che in realtà l'avesse comprato lui. Era familiare, ma molto distante.

Stava giusto riflettendo su come entrare e introdursi ad Amanda, quando il suo cellulare vibrò nella tasca.

"Pronto?" rispose, felice di dover scacciare quell'arduo pensiero.

"Parlo con il signor Heavens?" disse l'eco di una voce sconosciuta dall'altro capo del telefono.

"Ma certo!" rispose lui, allegro.

Probabilmente si trattava dell'ennesima offerta da parte dei suoi affiliati per rinnovare il logo della banca. Si dimenticava costantemente di inviare loro un'email, ma l'avrebbe fatto, perché a fine anno regalavano sempre un ottimo salmone norvegese.

"Non sarei così felice, Heavens, se avessi una figlia in pericolo di vita."

A sentire quella frase, l'immagine del salmone nella sua testa si dissolse bruscamente, lasciando posto a quella della piccola Taylor, come lui la ricordava, dispersa chissà dove. Il suo cuore batté più velocemente e si schiacciò il telefono all'orecchio per assicurarsi di aver capito bene.

"Taylor? Lei sa dov'è Taylor Heavens?" chiese, preoccupato.

Dall'altra parte sentì dei rumori di voci soffocate, ma poi ritornò a prevalere quella principale e gli diede una risposta per nulla piacevole: "Lo so e so anche dove finirà, se lei non mi darà quello che chiedo."

Deglutì a fatica. Nei suoi film quella non era mai una frase che portava felici avvenimenti.

"Ok...ok." inspirò a fondo, cercando di mantenere la calma: "Tutto quello che vuole, ma non le faccia niente."

"Non le hanno insegnato a dire 'per favore'?"

"Per favore." obbedì lui, come un cane agli ordini del padrone.

📞

Jeremy roteò gli occhi: Oliver era proprio ingenuo come gli avevano detto.

Lentamente, guardandola negli occhi, levò la mano dalla bocca di Taylor e le fece cenno di parlare.

Taylor fu presa in contropiede.

Era spaventata, più da quella cornetta che da Jeremy. Non sapeva cosa dire.

Era strano e incredibile sentire la voce di suo padre dopo tanto tempo. Ma, soprattutto, la preoccupazione che lui mostrava nei suoi confronti era indecifrabile, non sapeva se fosse vera o se recitasse. Non sapeva chi ci fosse dall'altra parte del telefono.

Jeremy si spazientì e le intimò di parlare, mettendo una mano sul rigonfiamento della tasca, dove stava la pistola.

📞

Quel silenzio era da cardiopalma per lui, povero banchiere non abituato a situazioni fuori dall'ordinario. Pensava che avrebbe avuto un infarto e che non si sarebbe mai aggiudicato quel salmone. Pensava che non sarebbe mai riuscito a salvare Taylor.

A un tratto, però, la voce di sua figlia gli fece tirare un sospiro di sollievo.

"Oliver."

"Taylor! Oh Gesù Bambino, stai bene?"

"Di' alla mamma che sto bene! Diglielo!" disse lei, prima che qualcuno la zittisse di nuovo.

"Ottimo." riprese la voce profonda e maschile che aveva guidato la telefonata fino a quel momento. "Per ora la mocciosa è tutta intera. Tuttavia..."

Oliver sentì un suono metallico che gli fece venire la pelle d'oca e poi il mugolio sommesso di Taylor. Il suo cuore si fermò per un istante e credette davvero di morire.

📞

Taylor incenerì Jeremy con lo sguardo.

Le aveva appena pestato un piede e continuava a muovere il polso per far tintinnare le loro manette vicino al ricevitore.

Era davvero furbo, anche se, a suo parere, avrebbe fatto prima a puntarle la pistola addosso. Non ci sarebbe stato bisogno di fingere che lei prendesse paura, perché era puramente terrorizzata da quell'arnese alla sola vista.

📞

"Tutto ciò che deve fare." continuò allora la voce. "È trovare due milioni di sterline entro la vigilia di Natale."

Per poco Oliver non cadde lungo disteso sull'asfalto: "Du-due milioni??"

"E un penny." aggiunse lui.

"Ma io...io non ce li ho...no-non so dove...come..."

"Mi hanno detto che lei è un uomo ricco."

"Non così tanto, mio Dio!"

"Beh, le conviene rimboccarsi le maniche, allora, e soprattutto tenere le cose per sé." la voce si fece più minacciosa. "Mi ascolti bene, signor Heavens, non ne parli con nessuno, nemmeno con il suo gatto, nemmeno con il suo riflesso allo specchio di mattina. Nessuno deve sapere la verità, nessuno, altrimenti Taylor-"

Tu... tu... tu... tu...

📞

Jeremy riattaccò e tolse la mano dalla bocca di Taylor.

"Sei un pezzo di merda!" gli urlò addosso la ragazza, finalmente a conoscenza del grande piano, cercando di sfilarsi la manetta dal polso e contemporaneamente di picchiarlo.

"Calmati un secondo, nana, ferma!" immobilizzò le mani della ragazza contro il vetro della cabina e si guardò attorno per controllare l'attività nella strada. "Dovresti solo ringraziarmi." sfiatò contro di lei, una volta accertatosi che fosse ancora deserta. "Ti sto facendo un favore."

"Davvero? Scusa, ma non riesco a capire quale tra l'avermi rapita e l'avermi rapita!"

"L'averti rapita ti farà riavvicinare a tuo padre."

"Lo fa perché ha paura, Cristo santo!" ruggì lei. "Ha paura che questa storia venga fuori, ha paura di fare una figuraccia con il mondo, con i suoi colleghi, con la figlia fortunata, che lo idolatra come un dio! Se tu mi uccidessi adesso, tirerebbe un sospiro di sollievo e ti pagherebbe un migliaio di sterline per nascondere il mio corpo in modo che tutta la faccenda venga dimenticata per sempre! Ma non può farlo! Non può perché ha una reputazione e un'immagine da difendere e aspetta che io ritorni da lui per raccontare alla stampa le sue gesta eroiche nell'avermi trovata!"

"Quante cazzate." commentò lui, seccato da quel comportamento infantile.

Aprì la cabina con un calcio, tirandosi dietro la ragazza, rossa di rabbia e con gli occhi lucidi: "Se tu sapessi cosa significa essere abbandonati da un padre, non diresti che sono cazzate! Non mi conosci, non hai la minima idea di quello che ho passato e non ti permetto di criticarmi!"

"Senti, Taylor." ribatté lui, strattonando il polso per costringerla a calmarsi. "Nemmeno tu conosci me, ok? Quindi smettila di fare la vittima. L'unica cosa che mi interessa sono quei soldi, tutto il resto può benissimo andare a farsi fottere. Vuoi odiare a morte tuo padre? Fallo. Vuoi odiare a morte me? Liberissima. Ma smettila di-" avrebbe voluto dire molte cose, ma scelse la più diretta. "Scocciarmi."

Alex si avvicinò ai ragazzi: "Non vi si può lasciare soli un momento, voi due." scherzò, bonario.

Questa volta lo sguardo omicida arrivò da due paia di occhi, così troncò subito la voglia di scherzare e si schiarì la voce rivolgendosi al suo amico: "Fatto?"

"Sì, torniamo all'hotel. La principessa ha fame."


Oliver si sedette sul bordo della strada, sulle eliche, prendendosi la testa tra le mani.

Due milioni di sterline? Non li avrebbe mai trovati. Mai.

Cercò di fare qualche conto, comprendendo i suoi fondi e i suoi guadagni, ma la quota era comunque troppo bassa. E la vita di Taylor dipendeva solo da lui.

Perché proprio lui? L'uomo che affidava tutte le sue responsabilità a Katriona, la sua segretaria, e i suoi conti a Edoardo, il suo amministratore. L'uomo che come più grande aspirazione, solo pochi minuti prima, aveva di ricevere un salmone norvegese in omaggio.

Ora non sapeva cosa fare, cosa pensare. Non aveva nemmeno più il coraggio di presentarsi ad Amanda, pensando che avrebbe dovuto fingere di non sapere nulla.

Che cosa le avrebbe raccontato? Era bravo a copiare le battute, ma non era un attore.

Non poteva nemmeno tornare da Tessy ed Allyson, così fragili e preoccupate, sapendo di dover mentire. Avrebbe distrutto quattro cuori; cinque, se si comprendeva anche il suo.

"Oliver?" una voce femminile, bassa e stanca, gli fece alzare lo sguardo.

"Amanda!" esclamò trovandosi davanti l'ex-moglie e dipingendosi istantaneamente di bianco.

Ecco come si sarebbe introdotto a lei. Così, come un padre che nasconde qualcosa su sua figlia, pallido in volto e con il culo dello smoking coperto di eliche.

"Stai male?" chiese la donna, notando subito la sua tensione e il colorito poco promettenti.

"Ehm, no. Non proprio. Stavo riflettendo."

"Riflettevi proprio qui?" alzò le sopracciglia. "Immagino che tu sia venuto perché Tessy ha parlato con te." disse, la voce colma di speranza e aspettativa.

"Sì, mi ha detto tutto." asserì.

Il problema più grande di tutta quella situazione era che Oliver non era mai stato capace di mentire. E su questo, Taylor aveva preso da lui.

"Oh, Oliver, farai qualcosa vero? Manderai la polizia a cercarla?"

"No!" gridò lui, quasi involontariamente.

"Come no? Pensavo che fossi preoccupato anche tu, che volessi aiutarmi."

"No, Amanda, intendevo dire che..." tentò di rimediare. "...che userò le mie risorse per trovarla."

"Le tue risorse?"

"Beh, sì, le mie-le mie conoscenze. Vedrai che...presto o tardi..." farfugliò sperando che la sua ex-moglie non volesse questionare oltre. Aveva già abbastanza a cui pensare, senza che lei diventasse un'ulteriore fonte di preoccupazione.

"Presto o tardi? Oliver, che cosa succede?"

L'uomo pensò che quella donna fosse fin troppo sveglia e che lo conoscesse fin troppo bene. Lui non era mai stato alla sua altezza e aveva sempre puntato ai sentimenti, perché non poteva battere la sua arguzia.

"Sono solo preoccupato."

Amanda lo guardò con dolcezza, come se fosse ancora il suo vecchio Oliver, che quando non sapeva cosa dire, faceva uno dei suoi larghi sorrisi e le sussurrava 'Ti amo', tenendole le mani. Sapeva che era veramente in pensiero, e questo le diede speranza.

"Anch'io lo sono." disse, prendendo coraggio. "È per questo che io ho bisogno di te. E Taylor ha bisogno di noi. Per una volta, Oliver, dopo tanto tempo."

"Già." lui si allentò il colletto del cappotto, la testa che iniziava a vorticare.

"Mi aiuterai a trovarla?"

"Ma certo, Amanda."

"Farai tutto ciò che è in tuo potere per aiutare nostra figlia?"

Lui deglutì a fatica. Con questo stava firmando la sua rovina, lo sapeva, ma dopotutto non aveva altra scelta.

Lo avrebbe fatto per Taylor e non l'avrebbe lasciata questa volta. Non avrebbe potuto; per lei, per se stesso, per Amanda, per Tessy e per Allyson. Avrebbe trovato quei soldi, in un modo o nell'altro, a qualsiasi costo.

"Lo farò, Amanda."

A Jeremy non piaceva per nulla quella situazione.

Si sentiva tremendamente in colpa nei confronti del signor Heavens, ma allo stesso tempo non vedeva l'ora di prendere i suoi soldi e concludere l'affare. Voleva tornarsene a casa, voleva chiudere con quella storia.

Taylor gli stava dando troppi problemi ed era dannatamente insopportabile; ogni passo di quel piano rappresentava un'impresa per lui, sentiva che tutto andava giorno per giorno nel verso le sbagliato. E se doveva essere sincero, il futuro non si prospettava molto più promettente.

Odiava tutto di Taylor: il suo modo di fare, il suo essere così sfrontata e orgogliosa, la sua perspicacia, la sua furbizia. Gli dava fastidio in tutto il suo essere e ciò non andava per niente bene.

Lui era abituato a un rapporto distaccato con le persone, eppure con Taylor non riusciva a essere distaccato. Si faceva condizionare dal suo maledetto comportamento infantile e da quello sguardo di sfida. Rischiava sempre di perdere il controllo e rovinare tutto, come l'altro giorno, in cui per poco non si faceva sentire da mezzo vicinato nei pressi della cabina telefonica.

Lo mandava su tutte le furie, lo deconcentrava e lo raggirava con i suoi giochetti. Gli stava facendo sprecare troppe energie, sabotando indirettamente tutto il gran lavoro che lui doveva fare per mantenersi in vita.

E si sentiva stanco, tremendamente stanco. Di tutta la situazione, di Taylor, di se stesso. Voleva solo chiudere con quella storia, o chiudere gli occhi e dormire.

Si distese sul letto, accantonando la scatola vuota della pizza e fissò il soffitto, assopendosi piano piano.

Taylor si fermò ai piedi del letto. Era appena uscita dalla doccia, i capelli bagnati raccolti in uno chignon e addosso l'accappatoio che le avevano dato i ragazzi. Non sapeva a chi dei due appartenesse, ma voleva ben sperare che fosse di Alex.

Guardò Jeremy disteso supino sul letto, l'espressione serena e le labbra socchiuse dal sonno.

Avrebbe potuto rimanere a fissarlo per ore, perché in quella posizione sembrava tutt'altro che l'odioso ragazzo che l'aveva rapita. Sembrava quasi un angelo, pallido e provato. Stanco di volare a fare miracoli.

Sorrise tra sé per l'amenità che aveva pensato; Jeremy un angelo, tzè! Un demone, piuttosto. Un demone stronzo e lentigginoso.

Era sicura che nascondesse qualcosa di misterioso, qualcosa di cui non parlava, ma che lo preoccupava a morte. Cos'era che spaventava Jeremy? Il guaio in cui si era cacciato? La possibilità che Oliver dicesse qualcosa? La polizia? Non lo sapeva e probabilmente non lo avrebbe saputo mai. Non era uno che si lasciava leggere facilmente.

Una cosa era certa, però: non lo sopportava. I suoi modi erano incivili, il suo atteggiamento inumano, il suo menefreghismo raggiungeva livelli inauditi. Non riusciva a trovare nulla di buono in lui, nulla di giusto.

Sospettava che ormai fosse addormentato, perché il suo respiro si faceva sempre più lento e profondo, così buttò l'occhio sulla porta della camera. A pensarci, quella era davvero un'occasione d'oro. Ma gli lanciò un'altra occhiata indecisa e rimase immobile.

Perché si sentiva così combattuta tra lo scappare e il rimanere sua prigioniera in quello stupido hotel? Non avrebbe dovuto aver alcun dubbio, prendere la porta e scappare a gambe levate, eppure...

Temeva di fargli un torto, forse? Temeva la sua reazione?

Taylor si scrollò e pensò a sua madre. Alla sua adorata mamma e a quanto le voleva bene. Non poteva lasciare che si preoccupasse, non poteva permettere che Jeremy le facesse passare questo. Non poteva arrendersi.

Così si avvicinò alla porta molto cautamente e afferrò la maniglia, rabbrividendo per quel freddo contatto. Con la mano tremante, la abbassò cercando di non fare rumore e quando la serratura scattò, chiuse gli occhi e trattenne il fiato.

Non successe nulla. Controllò dietro di sé e fortunatamente il ragazzo non si era mosso di una virgola, continuava a dormire beatamente.

Spinse la porta lentamente, il fiato sospeso, fino ad aprirla del tutto.

"Dove pensi di andare, bambolina?"

Taylor sussultò e fissò la persona che aveva davanti a sé; questo non ci voleva. Il bel moro la guardava dall'alto con la solita espressione stupida, in attesa di una risposta.

"Al bagno." rispose lei, deglutendo sonoramente e sperando di suonare convincente.

"Ok." ribatté lui con un'alzata di spalle e la lasciò passare.

Non riuscendo a trattenere un piccolo sorriso, lei passò oltre e senza destare sospetto, voltò l'angolo del corridoio.

Alex seguì la ragazza con lo sguardo ed entrò in camera, lasciando a terra lo zaino che aveva appena rifornito per la partenza del pomeriggio.

Era strano che Taylor volesse andare al bagno quando era evidente che ne fosse appena uscita. Anzi, era strano che avesse avuto bisogno di uscire quando ne aveva uno proprio in camera.

"Oh, cacchio." mormorò ricevendo l'illuminazione.

Lanciò uno sguardo a Jeremy assopito sul letto mordendosi il labbro, poi uscì precipitosamente dalla porta: "Taylor!"

Corse lungo il corridoio, guardandosi a destra e sinistra per controllare che non si fosse nascosta. Non la vide e allora scese i gradini due a due arrivando fino al primo piano. Fortunatamente faceva molta palestra e il fiato non gli dava problemi. E, fortunatamente, i corridoi erano più vuoti di un deserto.

La vide mentre stava correndo verso la rampa di scale e riuscì a raggiungerla prima che lei le imboccasse. Le si parò davanti e in un rapido gesto, le immobilizzò le braccia.

"Lasciami andare!"

"Eh, no, bambolina. C'hai provato a fregarmi, ma io non sono così...poco furbo."

Lei si dimenò pestandogli i piedi e prese a urlare più forte: "Aiuto! Aiutatemi, AIUTO!"

Sperava che qualcuno aprisse la porta della sua camera per vedere cosa stesse succedendo, ma apparentemente in quell'hotel non c'era davvero un'anima.

"Ehi, dacci un taglio!" le intimò Alex, mettendole un braccio attorno alla vita e una mano sulla bocca.

Per tutta risposta, Taylor gli sferrò un calcio alle parti intime, gesto che gli fece istantaneamente mollare la presa sulle sue labbra.

"Mi hanno rapito e mi stanno facendo del male!" gridò lei. "Aiutatemi! Qualcuno mi aiuti!"

Alex si accovacciò sputando maledizioni a raffica sulla mira delle donne; con una mano cercava di tenere Taylor più stretta possibile a sé e con l'altra, beh...quando fa male, fa male.

"Che diavolo dici, Taylor?" mormorò quasi in una supplica, mentre lei non voleva sentire ragioni.

"Vi prego, qualcuno mi aiuti!"

Cercava di liberarsi da quello scimmione reggendo l'accappatoio che lentamente lasciava scoperte le spalle. Se c'era una cosa che proprio la faceva imbestialire, era essere anche solo sfiorata da quel tipo tutto fumo e niente arrosto: non aveva il minimo tatto, non aveva il minimo rispetto, non aveva la minima consapevolezza che lei fosse una ragazza e che non stessero facendo lotta libera.

"Che cazzo succede?"

Quella voce la fece letteralmente raggelare e guardò in su con il cuore che pulsava nella gola, per niente felice di incontrare la figura del suo rapitore numero uno sulle scale.

Alex gemette di dolore e si rivolse a Jeremy senza mollare la presa: "Ciao, Bella Addormentata. Ho appena subito una castrazione naturale."

Il biondo fissò di nuovo la scena nel complesso e aggrottò le sopracciglia: "Che cosa stavate facendo? Alex?"

"Stavamo giocando a carte, non vedi?" esclamò Taylor, facendo leva sul braccio del ragazzo attorno alla sua vita. "Lasciami andare, stronzo!"

"Hai provato a scappare, non è vero?" sibilò in direzione di Taylor. "E tu lasciala andare." disse ad Alex, riservandogli uno sguardo sprezzante. "Direi che non è proprio il luogo più adatto per certe cose."

Esaurì la distanza tra di loro in poche falcate, afferrò il polso della ragazza e Alex si accasciò finalmente a terra, dolorante.

"La prossima volta se il letto è troppo occupato da me, svegliatemi, ok?" lanciò un altro sguardo di disgusto al suo amico e salì di nuovo le scale, trascinando Taylor dietro di sé.

"Senti, Tarzan della giungla, con Kerchak non è successo nulla, puoi stare tranquillo." gli disse mentre cercava di divincolarsi dalla sua stretta. "Magari invece di preoccuparti dei suoi impulsi sessuali, preoccupati della sua scarsa elasticità mentale. Ti sei scelto un braccio destro un po' monco, se devo essere sincera, per poco non mi accompagnava alla porta e mi chiamava un taxi."

"Heavens, puoi chiudere quella cazzo di bocca per un solo secondo?" Jeremy la inchiodò di colpo allo stipite della porta, facendola sussultare e fissandola con un odio che faceva quasi male. "Devi smetterla con questi giochetti, è chiaro?" il suo respiro congelò le gocce che aveva ancora sul collo e sui capelli. "Se provi ancora una volta a fare cazzate, giuro su Dio che ti ammanetto al termosifone e ti lascio morire di fame e di sete. Tu non hai idea di quello che stiamo rischiando qui, quindi adesso ti chiudi in questa stanza e stai zitta fino alla vigilia di Natale, mi sono spiegato? Non voglio più sentire la tua stupida voce e se ti azzardi a muovere un solo muscolo d'ora in poi, non esiterò a piantarti una pallottola nelle gambe."

Sopportando a fatica il suo sguardo terrorizzato, la spinse in camera e chiuse la porta a chiave. Poi, scese di nuovo al primo piano, il respiro affannato e il battito veloce, e rimase impalato a osservare Alex mentre cercava di ricomporsi.

"Questo è troppo." disse, il tono gelido.

"Lo so, Jerry, mi dispiace. Ma non c'era nessuno, non ci hanno visti, né sentiti. Avevi ragione; quest'albergo è proprio vuoto."

"Mi dispiace, Alex?" sbottò lui. "Mi dispiace lo dici alla tua fidanzata."

Il moro lo guardò perplesso: "Che cosa c'entra, adesso?"

Jeremy gli si avvicinò, furente: "Come hai potuto provarci con Taylor in una situazione del genere? E, soprattutto, che cosa le hai fatto?"

"Ehi, calmati amico, io non le ho fatto proprio niente!"

"Ah sì? Beh, sembrava davvero che te ne stessi approfittando per metterle le mani addosso, mentre era mezza nuda nell'accappatoio. Sarebbe anche molto da te, tra le altre cose."

"Jeremy, io la stavo solo trattenendo!" si difese. "Te lo posso giurare su Betsie, Jerry, stava provando a scappare e dovevo fermarla. Ma quella è davvero indomabile, Cristo santo, e non è colpa mia se le hai dato un accappatoio che non le sta nemmeno addosso! Se vuoi saperlo, e tra parentesi grazie per l'interessamento, è lei che ha fatto qualcosa a me, con quel calcio nelle palle che manco Chuck Norris."

"Forse non dovevi lasciarla scappare in primo luogo." ribatté lui, freddo. "O forse bastava che mi allertassi."

"Oh, ehi, scusami se non mi è avanzato il tempo di dirti che il nostro ostaggio stava tagliando la corda. Ma si può sapere che cazzo ti prende?!"

"Mi prende che Taylor è la mia vita, ok?" gridò lui, la voce tremante di rabbia. "E quando dico 'la mia vita' intendo in senso letterale. Forse la situazione non ti è ancora chiara, Alex, ma io qui rischio di morire ogni secondo che passa. Io dipendo da lei e se dovesse capitarle qualcosa, qualsiasi cosa, avrebbe dirette conseguenze su di me!"

"Oh, molto egoista, davvero, dopo che mi sono quasi ucciso in questa merda di scale per fermarla!"

"Non dovevi lasciarla scappare!" lo aggredì lui, su tutte le furie. "E non dovevi nemmeno toccarla! Non deve succederle niente, niente, se non vuoi che succeda qualcosa a me!"

"Ah sì, Jeremy? Allora ricordami chi di noi due le ha dato uno schiaffo in piena faccia, dato che ci tieni così tanto alla tua vita!"

Il ragazzo gli voltò le spalle e scese le scale furioso, senza proferire altro.

Jeremy rimase lì impalato, guardandolo andare via, senza riuscire a muovere un muscolo. Aveva l'espressione di chi si è appena reso conto di aver esagerato alla grande e una confusione indicibile nella testa.

Che cosa aveva fatto?

"Porca puttana!" sibilò a mezza voce, contro se stesso, mentre dava un calcio alla moquette.

Ecco cos'era successo: aveva perso di nuovo le staffe. E di nuovo per colpa di Taylor.

Quando aveva visto i due così aggrappati, lei quasi nuda, quella famosa morsa gli aveva attanagliato lo stomaco ancora una volta. Era stato più forte di lui. Non avrebbe dovuto arrabbiarsi, in fondo Alex era libero di provarci con chiunque, persino con Taylor, se voleva. E, comunque, aveva capito che non c'entrava il provarci, ma che l'aveva salvato da un eventualità ben più grave.

Era come se fosse stato accecato per qualche minuto. Non ci aveva visto più, non aveva capito più niente, e aveva reagito in modo completamente sbagliato.

Era vero che quando c'era Taylor di mezzo, c'era inevitabilmente pure lui, ed era tutto molto controproducente. Da una parte, il pensiero che fosse così legato a lei lo spaventava a morte, ma dall'altra, quella ragazza lo mandava fuori di testa e scatenava in lui le reazioni peggiori. Che fosse del tutto colpa di Taylor? No.

Il suo amico aveva ragione: la colpa era solo di Jeremy. Lui era stato il primo a darle uno schiaffo, lui e solo lui metteva costantemente a rischio la propria vita e ora se l'era presa ingiustamente. Era colpa sua e sua soltanto se era arrivato a quel punto. Non di Alex, non di Taylor, ma solo sua.

E allora perché? Perché lei lo mandava così fuori circuito?

In macchina nessuno parlava.

Si stavano allontanando da Cirencester per arrivare in un altro paesino nel Cotswolds. Alex era alla guida, Jeremy fissava fuori dal finestrino, assorto, mentre Taylor scarabocchiava qualcosa sul retro della cartina dell'Inghilterra.

Erano circondati dalla sera e qualche fiocco di neve cadeva pigramente sulla strada. La ragazza cominciava ad avere freddo, indossava lo stesso vestito che aveva alla festa di Tessy e la sua giacca bianca, ma i collant non offrivano tutto questo tepore.

Continuava a chiedersi che diavolo fosse successo tra quei due. Non si erano ancora rivolti la parola e, sebbene ipotizzasse che il recente avvenimento avesse fatto infuriare Jeremy, non capiva perché entrambi fossero così silenziosi e rigidi.

Non avevano mai litigato fino a quel momento, quindi non era abituata a considerarli come due individui in conflitto. Le faceva strano, le dava una bizzarra sensazione spiacevole. Forse era anche a causa della minaccia che gravava su di lei. Non aveva mai visto Jeremy così arrabbiato, nemmeno il giorno in cui le aveva dato uno schiaffo. Pensava che d'ora in poi non le avrebbe reso la vita facile e si sentiva allo stesso tempo furiosa e mortificata. Per questo nemmeno lei interagiva con loro, né osava blaterare come il suo solito per dare fastidio. Si limitava a disegnare e immaginare cosa stesse succedendo a Bourton, ad Allyson, a sua madre, a Oliver.

La suoneria di un cellulare la distrasse dal suo tentativo di ritrarre il paesaggio e si mise sull'attenti, osservando in silenzio ciò che succedeva davanti.

Jeremy scambiò uno sguardo preoccupato con Alex, dimenticandosi per un momento di tutte le tensioni: il suo cellulare suonava molto raramente e sempre per questioni negative.

Premette la cornetta verde, intimando alla ragazza sul sedile dietro di rimanere in silenzio.

"Che cosa vuoi?" fu il suo 'Pronto?'.

"Mio caro Parker, come mi diletta il suono della tua voce."

"Taglia corto, Cordano."

L'uomo dall'altra parte schioccò la lingua: "Hai fatto ciò che dovevi fare? Hai la ragazza?"

"Sì, è qui con me." lanciò un'occhiata a Taylor.

"E così dovrei crederti, Parker?" l'uomo rise, falso come un dado truccato. "Non sono stupido; Tessy Heavens è ancora a casa con suo padre, bella e tranquilla davanti al caminetto strepitante."

"Lo so. Infatti c'è sua sorella qui con me, Taylor Heavens." spiegò, serrando la mascella. Pensò che tutto ciò non fosse altro che il frutto di un suo banale errore. Un errore da pivello che non aveva fatto altro che complicare ogni singolo dettaglio di quel già impossibile piano.

"Oh." fu la risposta dell'uomo. Un 'oh' che poteva preannunciare una catastrofe, oppure un 'oh' di sorpresa. "Intendi la prima figlia di Heavens? Da dove l'hai tirata fuori, Parker? Dal capello magico?"

"Ti va bene oppure no, Cordano?"

"Mmm." l'uomo parve indeciso, ma interessato. "Dovrò accertarmi del fatto che tu stia dicendo la verità e che non abbia assoldato un'attrice qualsiasi per recitare la parte."

"È vero quello che dico, Edoardo. È sua sorella." Taylor strizzò il naso a quelle parole. "Il padre ha già acconsentito a pagare il riscatto e ti basterà fare qualche ricerca in loco per accertartene."

"Non ti preoccupare, Parker, ti credo." asserì lui, ridacchiando sprezzante. "Naturalmente ho occhi ovunque ed ero già al corrente di tutto, ma volevo comunque sapere da te come stanno andando le cose."

"Oh, una meraviglia, puoi fidarti sulla parola."

"Sei partito con il piede sbagliato, Parker, non credi? Hai rapito una persona diversa da quella che ti avevo indicato e hai deciso di fare di testa tua. Devo confessarti che questo mi mette dei dubbi circa la tua motivazione e mi spinge a chiedermi: ce la farai a portare a termine la missione?"

"Sì."

"Senza più passi falsi?"

"Ovviamente."

"Ottimo, dunque non ti dispiacerà se manderò Richard un giorno di questi a farti visita. Voglio che si accerti personalmente che hai intenzione di rigare dritto, senza più fare cazzate."

"Beh, se potessi mandare un orsetto gommoso gigante, mi metteresti un po' più in soggezione, comunque il caprone andrà bene lo stesso. Non ho nulla da nascondere, men che meno a quel figlio di puttana."

Taylor si corrucciò nel sentire quel tono così volgare e aggressivo. Poteva giurare che ci fosse dentro anche della paura malcelata e che Jeremy non stesse parlando con delle persone di cui si fidava.

"Caprone, eh?" fece Cordano dall'altro capo del telefono. "Allora comunicherai la tua postazione con un messaggio al mio numero di cellulare e io ti dirò dove e quando tu e il caprone vi incontrerete. E vedi che ci sia anche questa ragazzina, Richard è davvero ansioso di fare la sua conoscenza."

"Signor sì, signore." rispose Jeremy, nauseato. "Mi farò sentire tra qualche giorno e nel frattempo puoi dire al tuo ritardato da passeggio che può cordialmente andarsene a fanculo."

Chiuse la telefonata, mentre Cordano ancora ridacchiava dilettato dal suo fastidio, e ritornò a guardare fuori, in meditabondo silenzio.

"Chi era?" domandò timidamente Taylor, dopo qualche minuto.

"Non sono affari tuoi." rispose lui, secco.

La ragazza si morse un labbro, infastidita ed estremamente curiosa. Non era giusto; voleva sapere, voleva capire.

"Senti, finché mi tenete in questo cesso di macchina contro la mia volontà, tutto quello che vi riguarda riguarda anche me." protestò, incapace di trattenersi. "Non sono così stupida, ho capito che dovremo incontrare qualcuno."

"Finché rimani in questo cesso di macchina tutto quello che devi fare è tacere, Heavens." ringhiò Jeremy, senza nemmeno voltarsi. "Mi sembrava di essere stato chiaro."

"Il tuo essere prepotente ha smesso di impressionarmi." Taylor incrociò le braccia in senso di sfida.

"E il tuo essere logorroica ha smesso di provocarmi." rilanciò lui. "Non mi faccio scrupoli a mantenere le promesse."

Taylor gemette per la frustrazione, incrociò le braccia e sbatté la schiena contro il sedile, esattamente come avrebbe fatto una bambina. Jeremy la osservò dallo specchietto e si fece spuntare un sorrisetto soddisfatto sulle labbra.

Alex, allora, non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere, di un riso un po' isterico, ma liberatorio. Non seppe perché, ma aveva bisogno di sfogarsi e di allentare quell'orribile tensione che gli chiudeva lo stomaco e lo faceva sentire male.

Dapprima Jeremy lo guardò con perplessità, ma poi anche lui lasciò che il sorriso prendesse piede e si abbandonò all'immotivata ilarità, unendosi alla risata dal suo amico. Si guardarono negli occhi e per un momento tutto fu accantonato. Ci sarebbe stato tempo più tardi per le discussioni e anche per le scuse.

Come sempre, lo sapevano, avrebbero fatto pace. Anzi, l'avevano appena fatta.

Alex aveva capito che Jeremy non voleva essere cattivo. Si era accorto dell'influenza che tutta la situazione stava avendo su di lui e l'aveva perdonato. Jeremy, dall'altra parte, gli aveva chiesto scusa con quello sguardo smarrito e celatamente fragile. Tutto si era risolto in una risata e Taylor, immobile sul sedile dietro, non ci aveva capito assolutamente nulla.

Alex accennò con lo sguardo al cellulare di Jeremy, ma lui scosse la testa; gli avrebbe raccontato tutto più tardi. Non voleva far sapere nulla a Taylor, che, imbronciata come una bambina, si mise a continuare il suo disegno in religioso silenzio.


ANGOLO AUTRICE

Il titolo, "Il valore di una vita", è da intendere sia in senso materiale, dato che scopriamo il valore di Taylor in sterline, sia in senso astratto, il valore della vita di Jeremy che corrisponde alla vita di Taylor. #ansia

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