Forbidden trip

By SadieJaneBaldwin3

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[COMPLETA] Ivy Goldblum ha appena perso il lavoro, l'alloggio e il ragazzo. Un duro colpo per lei, l'ennesim... More

Benvenuti!
Protagonisti e Tropes
Trama
1 - Il piacere della solitudine
2 - Il fascino del proibito
3 - Buone intenzioni
4 - Sorpresa!
5 - Agli antipodi
6 - Toglitela dalla testa
8 - Benvenuti a El Nido
9- Non basta un pizzico di fortuna
10 - I pirati esistono
11 - Partenza per l'isola che non c'è
12 - Non tirare troppo la corda
13 - Panico
14 - Tutto è perduto?
15 - Da soli
16 - Frustrazione
17 - Banane a colazione
18 - Non amo solo il colore rosa
19 - Che stai facendo?
20 - Un tuffo nei ricordi
21 - Pochi giorni per conoscersi
22 - Lei è off-limits
23 - Una libidine spaziale
24 - Non ti riconosco più
25 - Beccato!
26 - Portami in paradiso
27 - Potresti essere mia
28 - Mi fai impazzire
29 - Sconsiderato
30 - Trovata!
31 - Pesca allo strascico
32 - La lista
33 - Time out
34 - Una terribile scelta
35 - Non può essere
36 - Vai a farti fottere
37 - Dal paradiso all'inferno
38 - Mi manca...
39 - Il mio incubo peggiore
40 - Tristezza infinita
41 - A volte... ritornano
42 - Ho commesso un errore
43 - La resa dei conti
44 - Ripeti, per favore
Epilogo di Rhys - Un turbinio di emozioni
Epilogo di Ivy - Momento perfetto
Ringraziamenti

7 - La curiosità è donna

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By SadieJaneBaldwin3

17 gennaio, quarto giorno di navigazione

Avevo fatto male i miei calcoli quando pensavo che, col tempo, mi sarei abituata a quella vita dura. Il primo giorno fu una giornata impegnativa e stancante. E il giorno dopo lo fu ancora di più. Era stato terrificante quando avevamo affrontato la burrasca. Quello dopo ancora? Idem. Mi sentivo tutta indolenzita dopo aver lustrato per bene una parte della barca.

Per quanto Rhys fosse sexy e misterioso come un bad boy, rimaneva pur sempre un dispotico e un prepotente, tutto ordini e borbottii. Non era il diavolo, ma qualcosa mi diceva che con lui mi sarei avvicinata all'inferno.

Però era anche affascinante e spesso mi trovavo a fissarlo incantata. Peccato che Rhys e io fossimo agli antipodi. A lui, trentaseienne, piaceva la vita semplice e solitaria. A me, che ne avevo ventidue, piaceva far festa e uscire con gli amici. Lui amava il mare, io la giungla urbana. Sicuramente eravamo come l'acqua e l'olio. A volte, però, mi sembrava di dimenticare quanto fossimo diversi, o quali fossero i nostri ruoli, e fingevo di essere una turista che stava facendo un viaggio avventuroso con uno sconosciuto.

Cameron, il mio migliore amico, nonché vicino di casa, un giorno mi aveva detto che non conosci davvero una persona fino a quando non vai in vacanza con lei.

Non aveva torto.

Hamilton era esasperante.

Appena lui si accorgeva che battevo la fiacca, mi lanciava una delle sue occhiatacce - e un nuovo ordine - e io ricordavo chi ero, chi eravamo... e riprendevo a rimuginare sul fatto che era il fratello del mio patrigno, e che non dovevo fare riflessioni hot su di lui. Peccato che non fossi del tutto convinta di quel pensiero.

Stavo riordinando la sua camera, quando mi venne l'idea di cercare qualche dettaglio che mi svelasse di più su di lui. Era un'idea morbosa e assurda, ma Rhys era impegnato a governare il Siete Pecados che solcava le acque con andatura veloce, e sarebbe stato un peccato non approfittarne e sfamare la mia curiosità.

No, Ivy, non farlo. Non ti è permesso toccare le sue cose.

Lanciai un'occhiata al corridoio. Avrei dato un'occhiata veloce, poi sarei tornata sul ponte e lui non lo avrebbe mai saputo.

Aprii per primo l'armadio, trovandolo pieno d'indumenti semplici e pratici, che tastai con circospezione, neanche temessi di lasciarci tracce della mia invasione: boxer neri, bermuda scoloriti e calzoncini con le tasche, felpe e t-shirt di cotone, scolorite dal sole o dai troppi lavaggi, ma ordinatamente piegate una sopra l'altra. Come una pervertita, ne presi una, me la portai alla faccia, ci affondai il naso e respirai a fondo. L'odore era fresco e gradevole, sapeva di biancheria pulita asciugata al sole. Ridacchiai mentre la rimettevo al suo posto e mi sedevo sul letto con un balzo, per saggiare la consistenza del materasso. Sfiorai il lenzuolo con il palmo, e una sensazione piacevole mi attraversò il corpo.

Solo un'altra occhiata. Lui non lo saprà mai.

Prima ancora di rendermene conto, avevo aperto anche il cassetto del comodino, dove una cartellina attirò la mia attenzione. Dentro c'erano delle fotografie. Ne presi una per guardarla meglio. Lo scatto lo ritraeva insieme con Max e mia madre, nell'atto di brindare con un calice di vino bianco. Tutti e tre stavano sorridendo. La foto recava la data del giorno del matrimonio di mia madre con Max.

In un'altra, era insieme a suo padre e sua madre, durante quello che sembrava un barbecue in giardino. Nel terzo scatto, lui era da solo, in piedi sul ponte di una barca a vela dallo scafo azzurro, sulla cui prua era dipinto il nome Barracuda.

Le successive erano di paesaggi e tramonti dai colori incredibili. Chiusi la cartellina e mi concentrai sul libro, un romanzo di Clive Cussler. Imprecai quando, dal suo interno, scivolò fuori un foglio bianco, che forse faceva da segnalibro. Lo raccolsi cauta, e notai che era un biglietto. Ormai dimentica dei divieti cui stavo disobbedendo, lessi il contenuto.

"Anche se sarai lontano da me, ti auguro di fare ciò che ti rende felice e di vivere ogni giorno al meglio. Di tanto in tanto pensami. Chiamami appena puoi. Spero che il tuo viaggio non duri in eterno, una madre ha bisogno di vedere suo figlio, di sapere che sta bene. Ti voglio bene, senza condizioni, sempre. E sono infinitamente grata alla vita per avermi dato l'onore di essere tua madre.

Mamma"

La inserii tra le pagine, a casaccio, e rimisi il libro al suo posto, per andare nel bagno. Decisa a dare una sbirciata anche lì, rovistai tra le sue cose e trovai un contenitore di plastica contenente delle pasticche. Dall'etichetta capii che era un farmaco per aiutare a dormire. Affianco a questo, ce n'era un altro d'identico, ma ancora sigillato. Lo rimisi al suo posto. Dopo una rapida occhiata ai suoi prodotti da bagno, notai una boccetta di profumo. Incuriosita, me lo spruzzai su un polso e lo inspirai a pieni polmoni. Wow, davvero arrapante! Era una fragranza con note di muschio e sandalo, dal sottofondo di cuoio. Un aroma fresco, intenso e virile, che però non avevo mai sentito su di lui.

Oh, se non ci fossero tutti questi anni di differenza, se lui non fosse mio zio...

Scossi la testa per cancellare quei pensieri disturbanti e tornare al presente. Profumato o no, quell'uomo era incapace di ridere ed era scontroso come un orso. Avrà avuto anche due occhi incredibilmente belli, con delle iridi enigmatiche come il mare, però le usava solo per guardarmi storto. Che io sapessi, non amava la compagnia, sebbene avesse scelto me come sua compagna di viaggio. O almeno quella era l'idea che mi ero fatta. l'alternativa era che Max lo avesse costretto promettendogli in cambio chissà che cosa.

Poco importava. Nel giro di due settimane, avrei intascato una somma ragguardevole e lo avrei lasciato al suo destino.

Avevo appena finito di formulare quell'ipotesi, che una fitta di disagio mi attraversò la nuca e lo specchio mi rimandò un volto conosciuto.

Sentii il cuore salirmi in gola e le guance scottare.

Non poteva essere. Lo avevo lasciato sul ponte a governare la sua barca. E invece lui se ne era stato a sbirciare quello che facevo tutto il tempo. Magari mi aveva anche visto annusare la sua biancheria, o leggere la lettera di sua madre. Mi sentii mortificata.

Mi voltai di scatto, con un singulto, tanto che rischiai di far cadere la boccetta sul lavandino, ma non trovai nessuno a osservarmi. Raggiunsi la porta socchiusa e guardai nel corridoio. Era vuoto.

Lo avevo immaginato?

O era stata una specie di allucinazione?

Con quei quesiti ancora nella mente, mi affrettai a tornare sul ponte. Rhys era ancora dove lo avevo visto l'ultima volta, seduto a leggere vicino al timone. Il sollievo m'invase.

Mi presi del tempo per guardarlo. Indossava bermuda usurati, che gli fasciavano le gambe muscolose, e una t-shirt a maniche corte, che una volta doveva essere stata di colore blu intenso ma che adesso, dopo tanti lavaggi, aveva assunto una sfumatura di grigio. Mi resi conto che era bello come un guerriero, un uomo forgiato dalle avversità. Un uomo così, chissà quante donne ha avuto.

«Ce ne hai messo di tempo.»

La sua voce mi fece sussultare di nervosismo. Quando i nostri sguardi s'incrociarono, non riuscii a decifrare la sua espressione. Le sue labbra erano atteggiate in una linea severa e il suo sguardo percorreva piano la mia figura, dalla testa ai piedi, tanto da farmi sentire spogliata.

Non mi ero mai comportata a quel modo, non avevo mai curiosato nelle case d'altri, né frugato nei cassetti. Ero piena di vergogna per quello che avevo fatto, perciò tenni la testa bassa e feci spallucce. Era ridicolo che quell'uomo mi facesse sentire una criminale in attesa di comparire davanti al giudice, pensai mentre gli gettavo uno sguardo di sfida e lo trovai che mi osservava ancora con grande interesse. Sembrava infastidito dalla mia presenza. Un lampo illuminò le sue iridi marroni e le rese color ambra. Sì, era in corso un conflitto profondo dentro di lui. E la causa ero proprio io. Mi aspettai un nuovo ordine o una battuta, invece lui si limitò a chiedermi se avessi finito con le pulizie nella zona notte.

Ritrovai la voce. «Fatte.»

«Ottimo, allora datti da fare con la zona giorno» ordinò brusco, prima di tornare alla sua lettura mettendo fine alla questione.

«Sì, certo» dissi prima di scattare verso lo sgabuzzino delle scope.

Due ore dopo, sospirai con aria affaticata e mi permisi di sedermi sul ponte e di osservare il cielo di un azzurro irreale.

Per fortuna, il tempo, dopo la burrasca del secondo giorno, ci aveva favorito con delle condizioni meteo ottimali e il Siete Pecados viaggiava veloce in un mare calmo e tranquillo. Sembrava incredibile che il tempo cambiasse così velocemente. Spesso si passava da una fitta pioggerellina a un sole che splendeva inclemente.

Mi venne da pensare che la mia vita fosse un po' come il tempo: un giorno il sole e quello dopo la burrasca. Un giorno andava tutto bene e quello dopo andava tutto a scatafascio.

E io, in che periodo mi trovavo?

Nella calma piatta o nella burrasca?

Eravamo al quarto giorno di navigazione e, stando ai calcoli fatti da quel lupo di mare, avremmo raggiunto Palawan prima del previsto.

Mister Scontroso, però, continuava ad abbaiare ordini e a farmi galoppare da prua a poppa come una trottola impazzita, senza mai mancare di riversarmi addosso tutto il suo disappunto. Non saremo mai diventati amici del cuore. Proprio no. Era forte l'impressione che non vedesse l'ora di liberarsi di me.

"Mettici più impegno", e poi "Più veloce", o anche "Sei una lavativa".

Non ne facevo mai una di giusta ed ero sempre troppo lenta o troppo sbadata secondo lui. Il capitano non sembrava per niente contento del mio lavoro. Se fossi finita fuoribordo, ero sicura che mi avrebbe gettato un'àncora e non un salvagente.

Aveva ragione: non ero abituata a tutto quel lavoro fisico dall'alba al tramonto e poi ancora oltre. Senza contare che dormivo da cani. Mi facevano male le spalle. E, tragedia annunciata, mi si era persino spezzata un'unghia.

«Ehi, batti la fiacca?» mi chiese, mentre stavo fissando le mie mani rovinate, snebbiandomi la mente.

Sollevai lo sguardo sui suoi lineamenti imperturbabili. «No, affatto...» gli risposi, con tono impassibile. «Ma sto pensando di non aver fatto un buon affare. Avrei dovuto chiederti almeno il doppio dei soldi.»

«Ormai hai firmato, bionda.»

«Non ci posso credere, sono quattro giorni che siamo confinati qui in questa bagnarola e ancora non sai il mio nome?»

«Bagnarola?»

«Solo questo ti è pervenuto?»

Lui fece spallucce. «Parli troppo, e spesso dici cose senza senso, preferirei avere una compagna silenziosa.»

«Non penso proprio» borbottai. «Non sono io che parlo troppo, sei tu che non dici mai niente.»

«Io non muovo la bocca solo per farle prenderle aria come sei solita fare tu.»

Sgranai gli occhi. È così che la pensava? Oh, beh, non m'importava affatto. Tanto me ne sarei andata presto, e lui sarebbe rimasto solo uno sgradevole ricordo.

Soffocando la parolaccia che avevo pronta in gola, gli rivolsi un'occhiataccia. Appariva un tipo sicuro di sé, ma anche chiuso e scontroso, indisponente. La sua bocca aveva una bella forma, dalle labbra invitanti, ma aveva uno sguardo duro come il granito. Intorno agli occhi aveva delle piccole rughe, segno che trascorreva molto tempo al sole.

Desiderai tracciarle con un dito. Che stupida!

Osservai la sua postura rigida, tutt'altro che rilassata, l'espressione seria dai lineamenti ruvidi, il profilo bello e arrogante. Aveva mani grandi, virili, con le vene in evidenza che si arrampicavano sulle braccia ricoperte da una peluria scura ma non eccessiva. Le nocche erano bianche per la forza con la quale stava stringendo il timone. Le avevo osservate più volte, ma solo in quel momento vidi che aveva le dita tatuate. Le parole fury e wolf, furia e lupo, attirarono la mia attenzione come un faro nella notte. Compresi che non conoscevo molto di quell'uomo: per quel che ne sapevo, poteva essere un delinquente, oppure uno psicopatico emarginato dalla società. Che aveva combinato per mollare tutto e sparire?

Ricordai che un giorno il mio amico Cameron mi aveva rivelato che i carcerati si tatuavano numeri o parole sulle dita delle mani. Con un brivido, mi augurai che non fosse il suo caso: non avrei gradito passare dalla padella alla brace, fuggire dai miei problemi per finire nelle mani di un criminale.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo da quelle dita lunghe e da quelle mani forti che conducevano l'imbarcazione ma che, volendo, potevano diventare un'arma micidiale e strozzarmi con un minimo di pressione. Mani grandi che potevano avvolgersi attorno al mio collo e spezzarlo, dita che potevano schiacciarmi la trachea senza alcuno sforzo.

Oddio! Mi schiarii nervosamente la gola e tornai a fissarlo cercando una parvenza di serietà e obbligandomi a smetterla di fantasticare su di lui. Se fosse stato pericoloso, il mio patrigno non mi avrebbe di certo mandata da lui, no?

«Okay, d'ora in poi starò in silenzio.»

«Brava, e vedi anche di smetterla di annusare la mia biancheria.»

Mi aveva visto!

«Eh? Di fare cosa?»

«Hai capito bene» disse lui, il volto rabbuiato.

Sollevai il mento con fare belligerante. «Volevo solo... volevo solo sapere se... dovevo fare il bucato.» Il livello della mia umiliazione salì di un'altra tacca.

Rhys fece una risata secca. «Bugiarda. Diventi rossa come un gambero quando racconti balle.»

«Scusa.» Sospirai. «Sono terribilmente mortificata.»

Lui mi scoccò uno sguardo eloquente, come se fosse in cerca di altre trasgressioni. Adesso sembrava ancora più stizzito di prima. Scrollò la testa, come se non mi credesse, e tornò a portare l'attenzione al timone. Passarono dei minuti prima che sbraitasse il mio nome.

Ecco, ci siamo, pensai. Ora m'infligge una bella punizione.

Trattenni il fiato mentre mi aspettavo che mi chiedesse per quale motivo lo avevo fatto, che poi mi desse della pazza e che m'intimasse di stare a ragionevole distanza da lui e dai suoi vestiti. Dopodiché m'invitasse a rimanere per il resto del viaggio chiusa nella mia cabina.

Invece lui domandò: «Ti piace il pesce?»

Esalai e inalai un bel respiro. Poi ruppi il silenzio per rispondergli: «Intendi se lo mangio?»

«Ovvio.»

Alle labbra mi salì una risposta sferzante ma, frustrata, ammisi: «Certo, mi piace.»

«Ti va di pescare, Ivy?»

Mi ha chiamato con il mio nome. Sperai che fosse un buon segno. Incredula, imbastii una risposta educata. «Certo, basta che mi spieghi come fare.» Avrei ricominciato a torturarlo il giorno successivo, mi ripromisi. Sempre se non mi avesse gettato prima fuori bordo.

Si voltò a guardarmi. Notai una piccola contrazione delle sue labbra. Sembrava l'accenno di un sorriso, ma forse mi stavo sbagliando. Quell'uomo era inavvicinabile e aveva una personalità più rigida di una barra d'acciaio. Avevo l'impressione che niente lo scalfisse. Era freddo e distante, e io mi ero convinta che dovesse liberarsi degli incubi del passato per sorridere ancora.

Lo seguii lungo la passerella. Mi mostrò come fare.

«Così?»

Lui rimase in silenzio per un attimo, prima di annuire. «Non è difficile, basta che tieni d'occhio la lenza.»

«La che?»

«Il filo.»

«Okay, penso di farcela.»

«Mi raccomando, non toccarlo mai» si assicurò di dirmi prima di tornare al timone.

Per un po' mi concentrai sulla mia nuova occupazione ma poi l'entusiasmo scemò e, annoiata, distolsi lo sguardo dal filo di nylon e lo posai sulla distesa d'acqua liscia come l'olio, che sbrilluccicava come se fosse cosparsa da piccoli cristalli luccicanti, poi lo posai sulle vele che pendevano flosce per l'assenza di vento, sull'orizzonte, sul cielo azzurro.

«Nessun pesce in vista» borbottai.

«Porta pazienza» replicò il capitano.

«Calma piatta.»

«Fai silenzio!»

«Fai silenzio» gli feci il verso, pensando che la pesca non faceva proprio per me. Era di una noia bestiale scrutare il mare in attesa che qualcosa succedesse.

Mezz'ora dopo, quando ormai stavo pensando di darmi per vinta, gridai: «Mi sa che qualcosa ha abboccato!» All'improvviso, la canna aveva preso ad agitarsi senza controllo, e il filo a scorrere veloce dal mulinello. La tirai verso di me ma non cambiò niente.

«Avrai preso una sardina» borbottò.

Cretino.

«Oh no, deve essere bello grosso, tira come un forsennato nel tentativo di liberarsi» esultai con la voce carica di eccitazione. Tornai a osservare il mare, cercando di immaginare che razza di pesce potessi aver preso. E se era uno squalo? «Ora che faccio?»

«Vuoi aiuto?» chiese con maggior interesse.

«Ovvio che sì, ancora un po' che aspetti e questo qui mi farà finire in acqua.»

«Non azzardarti a mollare la presa.» Notai una nota di preoccupazione nella sua voce. Da non crederci: teneva più alla canna da pesca che a me.

«Sbrigati, non so per quanto ancora riuscirò a resistere.» Cominciavano a tremarmi le braccia per la fatica. E, sinceramente, non sapevo che altro fare oltre a tirare la lenza.

«Sì, sì, ora arrivo.»

«Inserisci il pilota automatico e datti una mossa; non reggerò ancora per molto» sbraitai. Ma quanto ci voleva perché arrivasse?

Rhys mi raggiunse con due falcate. «Dai qua, mammoletta.» Afferrò forte l'asta, piantò i piedi e diede uno strappo indietro, prima di dare lenza. Un pesce sbucò fuori dall'acqua con un salto spettacolare prima di immergersi di nuovo con un gran tuffo. Il tutto era durato pochi secondi, ma ero riuscita a notare una pancia chiara, un dorso scuro e un rostro corto. Era un tonno?

«Un piccolo marlin, per la miseria, hai preso un marlin!» esclamò tutto gasato, confutando il mio dubbio.

Lo guardai affascinata combattere con la preda. Si capiva che sapeva cosa fare.

«Chi ti ha insegnato a pescare?»

«Mio padre. Portava spesso me e Max a pesca con lui quando eravamo piccoli. Ci andammo fino all'adolescenza, poi ci siamo dedicati ad altri interessi.» Lanciò un fischio acuto. «Cazzo se tira.»

Sorrisi proprio quando lui si voltò a guardarmi.

«Hai una fossetta quando sorridi.»

Quel complimento inaspettato, condito con un tono seccato, mi colse alla sprovvista e stemperò un po' la freddezza di prima. Solo di poco. Non avevo mai trovato un uomo sensuale e rude come lui. Detestavo l'imbarazzo che provavo quando gli ero vicina.

«L'hai notata...»

La risata di Rhys fu amara e sarcastica allo stesso tempo. «Difficile non farlo.»

Poi sollevò le spalle, come per mettere fine a quel discorso e tornò a ignorarmi per dedicarsi alla preda.

Lasciai che il mio sguardo indugiasse su di lui, sul suo corpo asciutto e armonioso, che tremava per lo sforzo sostenuto, sulle sue braccia dai bicipiti contratti e lucidi di sudore. Ammirai la pelle abbronzata, i capelli mossi dal vento, la barba appena pronunciata. La sua sembrava quasi una danza, un rituale antico, che finì per entusiasmarmi. Sentii una vampata di calore propagarsi al viso mentre lo osservavo incantata e allo stesso tempo turbata dalla scena. Tutto in lui denotava forza e virilità.

Non fu una cosa veloce. La battaglia tra uomo e pesce durò almeno dieci minuti e terminò quando Rhys riuscì a issare a bordo la preda che si dimenava ancora disperata.

Di lì a poco, il pesce finì arrostito in padella con un bel po' di spezie. Lo mangiammo con un contorno di patate al rosmarino e non potei sottrarmi dal fare i complimenti al cuoco. Era la sua specialità, mi assicurò Rhys, che si era preso il compito di cucinarlo al posto mio.

Comunque sia, fu il pesce più buono che avessi mai mangiato.

Quando terminammo di pranzare, tornammo ai nostri posti: Rhys al timone, e io all'angolo cottura, a lavare i piatti.

Il mio silenzio stampa, ripreso dopo l'euforia della pesca d'altura, durò solo due ore, cioè fino a quando lui mi chiamò sul ponte, dove mi passò il binocolo e m'incitò a guardare verso ovest.

Strinsi gli occhi a fessura. Dritta, davanti a noi, si stava delineando la sagoma di un'isola, che interrompeva quella che, fino a poco prima, era stata una linea monotona. Rimasi senza fiato alla vista della terra dopo essere stata circondata per giorni dall'azzurro del cielo e del mare,

«Terra!» strillai felice di aver avvistato la nostra destinazione.

Ci avvicinammo alla costa e potei ammirare l'affascinante isola che si ingrandiva davanti a noi. Rimasi a osservare quella scena mistica con la bocca aperta e gli occhi che pizzicavano per la contentezza. Adoravo stare in barca, ma in quel momento non stavo più nella pelle alla prospettiva di scendere dal Siete Pecados, e mi domandai come facessero i marinai di una volta che salpavano e rimanevano in mare per mesi prima di rimettere piede a terra.

L'isola di Palawan, chiamata Pulaoan da Magellano, che la raggiunse nel 1521, era un angolo di natura incontaminata - seppure non fosse rimasto fuori dalle mete turistiche - con centinaia di chilometri di spiagge tranquille e suggestive, dalla sabbia bianca e finissima, con palme che svettavano alte e acque placide e trasparenti. L'entroterra era caratterizzato da un paesaggio collinare e montuoso.

Palawan, inoltre, era sede di ben due siti dichiarati Patrimonio dell'umanità dall'UNESCO per il loro valore naturalistico: il Parco nazionale del fiume sotterraneo Puerto-Princesa, e il Parco marino del Tubbataha Reef per i suoi atolli corallini.

Lo sapevo perché c'ero già stata su un yacht privato con mio padre e i suoi amici, quelli che a me sembravano eoni fa. Era lui che mi aveva insegnato le basi della navigazione, i nomi delle vele e dei nodi, a riconoscere le differenze tra natante e imbarcazione, a sapere pescare.

In realtà, di anni ne erano passati quasi dieci e quello fu l'ultimo viaggio che facemmo insieme. Mio padre morì una settimana dopo, quando la sua auto finì contro un camion.

Il gracchiare di un gabbiano mi riportò al presente, strappandomi dai miei pensieri. Staccai il binocolo e, con il palmo, asciugai la lacrima che aveva iniziato a bagnarmi la guancia. Poi strizzai gli occhi e tornai a fissare l'isola che, nel frattempo, si era fatta più vicina. Era bellissima. Ora riuscivo a distinguere le persone che camminavano verso il piccolo molo sulla spiaggia, la banchina con le bancarelle del mercato locale. Mancava poco all'attracco.

Trasalii quando Rhys mi ordinò: «Tieni il timone, mentre io vado ad ammainare le vele.»

Giusto, dovevamo ridurre la velocità ed entrare solo con l'ausilio dei motori. «Ne sei sicuro?» gli chiesi, con il fiato corto a causa dell'emozione.

Mi rivolse un'occhiata strana. «Non te lo avrei chiesto, altrimenti.» La sua voce era seria e non ammetteva repliche.

L'ordine fu ciò che mi servì per abbandonare il passato e tornare del tutto al presente. Scattai al posto di comando dove, per prima cosa, controllai l'ecoscandaglio. L'ultima cosa che volevo era rischiare di impattare contro la barriera corallina che lo circondava, pericolosa per un navigatore poco esperto quale ero io.

Pochi minuti dopo, lasciai il comando a Rhys, che portò i motori al minimo e s'impegnò a condurre il Siete Pecados prima in acque sicure e poi a ormeggiare con facilità nel posto che la capitaneria di porto gli aveva indicato via radio.

Senza che me lo chiedesse, sistemai i parabordi sulle murate, poi controllai che la corda fosse saldamente legata all'imbarcazione. Prima di scendere, la passai attraverso un passacavo, assicurandomi di tenerla all'esterno del parapetto, e mi preparai a passarla a terra. Una volta scesa sul pontile, mi abbandonai a un respiro di sollievo prima di assicurare la cima della barca intorno ai corni di una galloccia. Poi sorrisi, mentre il vento mi frustava i capelli sul viso e sprizzi di schiuma volavano intorno a me.

Prima di mollare gli ormeggi, vi do un paio di dritte: lasciate stelline e commenti. Li leggo, e vi ringrazio di cuore.

Alla prossima!

Sadie


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