ADDERALL

De isAdderall

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Nei vicoli della città degli echi, delle illusioni e dei desideri, Adelaide ritrova se stessa negli occhi di... Mai multe

1. Per ogni fine c'è un inizio
1.1 Per ogni fine c'è un inizio
1.2 Per ogni fine c'è un inizio
1.3 Per ogni fine c'è un inizio
2. Dance for me
2.1 Dance for me
2.2 Dance for me
2.3 Dance for me
3. Mi ricordo solo due occhi azzurri (T)
3.1 Mi ricordo solo due occhi azzurri (T)
3.3 Mi ricordo solo due occhi azzurri (T)
4. Il passato bussa alla porta
4.1 Il passato bussa alla porta

3.2 Mi ricordo solo due occhi azzurri (T)

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De isAdderall


10 ore prima

Dopo aver fatto per due volte il giro dell'isolato, alla ricerca di un cazzo di parcheggio, riuscii a trovarne uno a pochi metri di distanza dalla casa di Jonathan. 

Lungo il marciapiede, notai parcheggiata la Jeep Wrangler, bianca, di Leonardo e accanto ad essa la Porsche 911, rossa di Carlo. Sorrisi al ricordo di quando ci eravamo recati in concessionaria per scegliere i modelli delle auto, idonee alle nostre personalità. 

Aprii il cancelletto di ferro nero del giardino di Jonathan. Percorsi il vialetto di pietra, contornato da fiori colorati e piante verdi, conducente all'entrata principale della casa. Suonai il campanello. Dopo pochi secondi, la porta si aprì.

 «Tomas, caro».

«Buon pomeriggio, Caterina» salutai la nonna di Jonathan.

«Entra, fuori fa freddo».

Varcai l'ingresso per poi abbracciare il corpo minuto di Caterina. 

«Fatti vedere. Sempre più bello mi diventi» affermò tenendomi le mani tra le sue, allontanandosi di un passo da me ed osservandomi dolcemente. 

«Quella sempre più bella sei tu» dissi, ammirando la sua eleganza.

«Sciocchino, non farmi arrossire». Si sfiorò delicatamente con le dita l'acconciatura dei capelli bianchi.

«Il signor Francesco è in casa?» domandai seguendola verso il salotto.

«Mio marito è alla corsa dei cavalli». Oscillò la mano in aria. «Ti posso offrire qualcosa? Ho dei cioccolatini strepitosi».

«No, no. Grazie. Jonathan?»

«Jonathan... puoi trovarlo di sotto con gli altri» affermò avvicinandosi per darmi una scatola bianca, decorata da dorate stilizzazioni di dolcetti. «Portali giù con te».

La ringraziai, indirizzandomi lungo le scale conducenti alla cantina, che Jonathan qualche anno prima aveva trasformato in area relax.

Scendendo le scale sentii il vociferare dei miei amici.

«Hai fatto testa, portiere e gol» annunciò Carlo.

«Non vale» affermò Leonardo.

«Sì che conta» urlò euforico Jonathan.

«Chi sta vincendo?» domandai, osservando Leonardo e Jonathan ai lati opposti del biliardino. 

«Eccolo. Vieni che facciamo una partita a quattro» disse Carlo, posizionandosi davanti alle stecche di difesa blu. 

«Non gioco in attacco. Non c'è gusto poi a fare gol» affermai dirigendomi verso il portiere rosso.

«È arrivato» declamò Leonardo, indicandomi con la mano.

«Non avrai mica paura di perdere» replicai divertito.

«No, perché stò in squadra con te» annunciò stringendo tra le dita le stecche degli attaccanti rossi.

«Allora, sicuro che perdete» aggiunse Jonathan ridendo.

«Zitto e metti la pallina» ordinai.

La prima partita è finita in pareggio, nella seconda riuscii a fare tre gol con il portiere e portare la vittoria a casa, mentre la terza è finita in tragedia, perdendola contro Jonathan e Carlo.

«Dopo questa partita io vado» annunciò Leonardo. Alzò gli omini per far passare la pallina che avevo colpito con il portiere.

«Questa sera cosa si fa? Prendiamo una pizza e ci vediamo un film?» domandò Carlo, parando la pallina con il difensore centrale.

«Io non ci sono. Suono per l'apertura del Delirious» affermai seguendo con lo sguardo la traiettoria della pallina nel campo.

«E non ci dici niente?» chiese Leonardo.

«Se volete venire avete due gambe» dissi colpendo la pallina.

«Abbiamo l'ingresso gratuito?» domandò Jonathan imbucando la pallina nella porta.

«Faccio il dj, mica il pr» affermai rosicando per il gol fatto da Jonathan.

«Invito Catrin» aggiunse Leonardo.

«Chi è Catrin?» domandai, passando la pallina a Leonardo.

«Non l'hai vista alla festa di ieri sera?» chiese Carlo.

«Ah, ma la tipa moretta, con il vestito argentato che ti volevi fare sul divano?» domandai ricordando il fisico mozzafiato della ragazza.

«Tomas, ci stavo solo parlando» replicò Leonardo.

«Io mi sarei fatto quella con i capelli ramati che stava con tuo fratello. Sai se si sentono?» domandò Carlo.

«Sembravano molto intimi sul balcone» argomentò Leonardo facendo gol a Carlo.

«Come si chiama? Adelaide?» chiesi per ricevere conferma.

«Si, Adelaide. È l'amica di Catrin» disse Leonardo facendo scorrere il tassello dei punti. 

Ok, si chiama Adelaide, pensai prendendo conferma delle mie ipotesi sul suo nome.

«Due a uno» affermai, osservando i punti.

«Bene ragazzi, io vado. Ci vediamo questa sera al Delirious» affermò Leonardo, prendono il cappotto cammello, appoggiato sullo schienale del divano di pelle nera.

«Vado anche io» annunciò Carlo.

«Carlo, vieni stasera che ci divertiamo» lo salutò Jonathan.

«Ti passo a prendere» disse Carlo prima di scomparire dalle scale con Leonardo.

Mi buttai sul divano, intento ad assaporare i cioccolatini che la nonna di Jonathan mi aveva gentilmente dato.

«Senti, ti devo chiedere una cosa» proruppe Jonathan rubando uno dei cioccolatini.

«Leva le mani. Sono miei!» esclamai ritirando la scatola dei cioccolatini da Jonathan.

«Però mi devi ascoltare» continuò Jonathan.

«Parla».

«Con Elisabet come va?».

Buttai la testa indietro, sbattendola contro lo schienale del divano «Bene».

«Da quando sei arrivato dal Brasile non ha smesso di chiedermi perché la ignori». Avvicinò il telefono alla mia faccia, mostrandomi la chat di Elisabet.

Roteai gli occhi all'insù «Non la sto ignorando».

«Quella ci sta male» affermò Jonathan, rubando un cioccolatino con la crema. 

«Elisabet si fa i film mentali» affermai, addentando un cioccolatino con le nocciole.

«Non si merita di essere trattata così. Ti è stata molto vicina. Parlaci».

«Va bene ci parlerò» annunciai sbuffando.

«Walter continua a regalare pasticche?» domandai alzandomi dal divano.

«No, non credo. Era da tanto che dovevo vederlo» affermò per poi aggiungere «Ieri sera mi è sembrato tranquillo».

«Si, forse hai ragione».

«E tu smettila con quella merda di polvere» affermai prima di lasciare l'area relax.

«Hei, non sono come tuo fratello che ha bisogno della babysitter, Tomas» disse, sbattendo le mani sopra le ginocchia.

«A dopo Jò» lo salutai dirigendomi verso l'uscita.

Entrai in macchina e mi incamminai verso casa.

«Ok Google».

«Ciao, cosa posso fare oggi per la mia persona preferita?».

«Invia un messaggio Whatsapp a Elisabet dicendo ti passo a prendere, dove sei».

«Il messaggio a Elisabet dice, ti passo a prendere dove sei. Vuoi inviare il messaggio o modificarlo?».

«Invia messaggio».


Una volta arrivato a casa notai un perizoma fucsia sopra la Nike di Samotracia, posizionata all'ingresso.

«Tomas, fratello» mi girai verso Walter sul lungo corridoio dalla muratura nera.

«Cosa cazzo sono queste?» Indicai con il dito il tessuto penzolante sopra la statua.

«Delle mutandine sexy. Credevo che le avessi già viste di simili» affermò Walter prendendo il perizoma.

«Spero che la prossima volta non escano dalla tua stanza. Non far toccare la mia statua» ordinai infastidito. 

Sentii la tasca vibrarmi. Presi il telefono notando la notifica di Elisabet.

                                                                                                               Sono al Colosseo, ti aspetto ❤️.

«Ciao Tomas».

La voce di Filippo, proveniente dal divano davanti alle vetrate dalle quali si intravedeva la piscina, catturò la mia attenzione.

«Ciao. Cosa stai facendo?».

«Sto editando le fotografie scattate per il brand di Walter».

«Fagli vedere quella scattata davanti alla Nike» propose euforico Walter.

«Avete fatto il servizio fotografico qua?» domandai curioso.

«Si. È molto bella come location. Vieni a vedere» affermò Filippo scorrendo il cursore sopra lo schermo del computer.

La fotografia ritraeva una ragazza mora, con indosso una maglietta verde scuro, realizzata da mio fratello, che le arrivava sotto le ginocchia, in prossimità alla Nike di Samotracia. Sopra la statua era appeso il perizoma che avevo notato appena entrato in casa. 

Qual è il messaggio della fotografia? Sono nuda?

Filippo continuò a farmi vedere le fotografie scattate. Mi accomodai vicino a lui sul divano.

Quando Walter uscì dalla stanza mi girai verso Filippo.

«Distribuisce ancora pasticche?» domandai sussurrando.

Filippo fece cenno di negazione con la testa «Non credo. Si è calmato».

A quelle parole mi tranquillizzai. Forse in fondo la mia non era altro che paura. Mi alzai dirigendomi verso la doccia, per prepararmi per la serata. 

Uscito dal box doccia, indossai una t-shirt nera abbinata ad un paio di pantaloni eleganti dello stesso colore. Scesi al piano di sotto, dirigendomi verso la porta.

«Stai uscendo?» domandò Walter.

Feci cenno di si con la testa.

«Ci dai un passaggio? Dobbiamo andare al Colosseo» domandò Walter in prossimità di Filippo.

Accettai, considerando il fatto che ero comunque di passaggio.


Impostai sul navigatore la posizione che Elisabet mi aveva inviato. 

«Sei passato da papà?» domandò Walter sul sedile anteriore.

«Sì e tu?» chiesi spingendo il piede sull'acceleratore. 

«Ci sono passato. Ho pranzato anche con mamma» affermò con un filo di voce.

«Ah, non pensavo che ci parlassi» dissi, stingendo le mani sopra il volante.

«Perché non dovrei?» chiese Walter perplesso.

«Forse perché per colpa tua ha rischiato il lavoro». Marcai ogni singola parola.

«Per colpa mia? Tomas la colpa è di entrambi» replicò.

«Vendi ancora le pastiche?» domandai senza dargli tempo di pensare.

«Rispondimi» incalzai la voce.

«No Tomas, non vendo più niente» affermò con un filo di voce.

Girai il volto verso di lui, quasi per cercare un segnale di inganno sul suo volto.

«Eccoli!» esclamò Filippo, dal sedile posteriore.

«Adelaide è già in forma» aggiunse Walter guardando fuori dal finestrino.

Fermai la macchina. Osservai per qualche istante Adelaide. Sul ciglio del marciapiedi tratteneva tra le mani due bottiglie di vino, un bianco e un rosso.  Il vestito nero le fasciava ogni singola forma del corpo. I capelli ramati, lasciati liberi sulle spalle le risaltavano il viso piccolo e rotondo. Notai che rispetto alla sera prima le ciglia erano più folte. 

«Grazie Tomas». La voce di Filippo mi riportò a riprendere contatto con il presente. 

Abbassai il finestrino notando anche gli altri. Leonardo era seduto sul muretto, mentre tra le sue gambe era posizionata Catrin. Alla sua sinistra Jonathan fumava la sigaretta, mentre alla destra, in piedi, Carlo e vicino a lui Miranda che spingeva verso la mia macchina i fianchi, avvolti dal vestito bianco di Elisabet.

«Sbrigati» dissi a Elisabet con un tono di voce che persino a me sembrò duro.

«Arrivo. Mira, non stropicciarmi il vestito» affermò Elisabet entrando in macchina. Si avvicinò verso di me, lasciandomi un bacio appiccicoso sulla guancia.

Misi in moto il motore, accelerando una volta che Elisabet chiuse la portiera.

«Sono felice di vederti finalmente» annunciò, prendendo dalla borsetta vellutata un rossetto rosa. 

Sarà lo stesso che mi ha appicciato sulla guancia, pensai annuendo.

La osservai atteggiarsi davanti allo specchietto del parasole. Si sistemò la lunga chioma dei capelli biondi perdurando nell'ammirare la propria immagine riflessa.

«Dove sei sparito ieri sera?» domandò Elisabet.

«Da nessuna parte» affermai cambiando marcia.

«Potevi salutarmi ieri sera, prima di sparire».

«Ho avuto un imprevisto».

Non avrei saputo di certo che scusa utilizzare. La mattina mi ero svegliato nel letto di una certa Claudia che non sapevo chi fosse o che faccia avesse. In macchina avevo trovato una bionda che ancora mi interrogavo sul motivo per il quale l'avevo abbandonata o su come l'avevo conosciuta. 

«L'imprevisto si chiama Adelaide, per caso?» domandò con un filo di voce prolungato.

Spostai lo sguardo dalla strada, conducendolo su Elisabet. I suoi occhi mi stavano seppellendo vivo.

«Che c'è? L'hanno visto tutti come ti atteggiavi con quella, fuori dalla piscina».

Eccola che inizia con i film mentali.

«Ora ti piace quella?» gridò non togliendomi gli occhi di dosso.

«Tomas, rispondimi!» ordinò.

«Sei andato via con quella ieri sera?»

«No Elisabet, sono tornato in camera mia».

«Mi stai mentendo. Sono entrata in camera tua e tu non ci stavi. Sei ritornato nel dormitorio?» 

«Anche se fosse, qual è il problema?»

«Tomas, tu hai una casa, non capisco perché devi ridurti a dormire in quella topaia».

«Conosci la risposta» tagliai corto.

«Hai fatto pace con Walter. Non vedo il perché ora non puoi dormire a casa tua» aggiunse lei.

«Elisabet, quello che faccio sono cazzi miei».

«Amore, è tuo fratello. Non ha senso non condividere lo stesso tetto».

«Tu fai veramente finta di non capire quando uno ti parla o non capisci di tuo?» sbraitai innervosito. 

Cosa cazzo mi ha detto la testa di parlarci.

«Come vuoi, ma non ha senso. Tu ci tieni molto a quella casa, l'hai arredata tu».

«Posso farmi andare bene anche il dormitorio».

«Per cosa?» chiesi confuso.

«Per dormire insieme a te questa notte».

Fermai la macchina.

«Scendi!» ordinai.

È un capitolo denso di dinamiche e spero di essere riuscita a descriverle in maniera chiara, in caso contrario se qualcosa non torna fammi sapere. Ti sarò molto grata. 

Ci vediamo prestissimo con l'ultima parte del terzo capitolo.

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