Life Goes On

hajarstories_ tarafından

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⚠️TW⚠️ Volevo avvertirvi perché mi sembra la cosa giusta da fare. Nella storia sono presenti argomenti come:... Daha Fazla

Dedica
Prologo
1. I am the queen
2. Traitor
3. Anything for my people
4. "I need a friend"
5. "In the face of death we are all the same"
6. Death
8. Life must come to an end pt.2
9. Deal
10. Southern Kingdom
11. Beehive
12. Flowers of silence
13. River of silence
14. The soul of a flower
15. She was strong
16. I defeated the queen bee
17. The four kingdoms
18. The death of my heart
19. Engagement
20. Happiness
21. Black magic
22. Violin
Extra Iria
23. "She still loves you"
24. Hayat
25. Civil War pt.1
26. Civil War pt. 2
Extra Nathan
27. War, blood and Love
28. Memories
29. It's my fault
30. "I'm tired"
31. Life
Extra Chris
32. The truth
33. Love trap
34. Wedding
35. War
36. "May the queen have a long life!"
Epilogo
Ringraziamenti

7. Life must come to an end pt.1

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hajarstories_ tarafından

Edith

Ero davanti alla Morte in persona, che mi stava domandando il motivo per cui mi trovassi lì in quel momento.

Dalle grandi vetrate serpeggiava l'oscurità della notte, che regnava sovrana in quel luogo inquietante. L'unico rumore che si udiva in quella stanza era il bubolare dei gufi al di fuori.

Il mio cuore martellava nel petto mentre le mie mani stavano sudando freddo. Non sapevo perché fossi così agitata. Forse era la paura di ricevere delle risposte che mi avrebbero ferita. Lo avrei convinto ad aiutarmi, fosse stata l'ultima cosa che avrei fatto.

«Voglio riportare in vita mio padre» gli comunicai.

«Mi sarei aspettato di tutto, se devo essere sincero, ma non una tale risposta» affermò dopo una manciata di secondi passati in silenzio, ma non si scompose. Si alzò e iniziò a camminare lungo il vasto studio.

«Mio padre era Anto-»

«So chi era tuo padre, sono stato io a raccogliere la sua anima un anno fa.»

Quell'affermazione mi scosse. Ciò significava che l'ultima persona ad aver visto mio padre siedeva proprio davanti a me.

«Vedi quell'ammasso di scartoffie sulla scrivania? Sono fogli che riportano i dati delle persone a cui dobbiamo prelevare la vita. Vengono mandate a me e mi spetta inviarle ai cupi mietitori affinché eseguano il loro compito.»

Solo in quel preciso istante mi accorsi di tutti i fogli sparsi sulla scrivania. Erano davvero tanti, forse troppi, e sapere che erano tutte persone che sarebbero dovute morire da lì a poco mi fece stringere il cuore.

«Cosa stai cercando di dirmi?» domandai, voltandomi e fissandolo mentre si alzava per versare un alcolico in un bicchiere di vetro.

«Sto cercando di dirti che molto raramente sono io a dover scortare le anime dei morti nell'aldilà. Non avviene quasi mai, se non in casi speciali.»

«Perché allora mio padre rientra in un caso speciale?»

«Probabilmente un gioco di Destino» affermò, posizionandosi davanti alla finestra con il bicchiere in mano.

«Non capisco...»

«Ovvio che non capisci» continuò con un flebile tono di voce, come se fosse... triste.

«Morte, mi aiuterai?» domandai, ormai stufa di attendere una risposta.

«No» rispose secco.

«Perché?» domandai, quindi, alzandomi e avvicinandomi a lui.

«Perché devi accettarlo. Tuo padre è tristemente deceduto, ma questo è il corso della vita, Edith. Si nasce, si cresce e si muore. Non posso vietarlo.»

Tutta la speranza e la gioia che possedevo stavano iniziando a tingersi di grigio per poi dissolversi in una nuvola di fumo. O, almeno, me lo ero immaginata così.

Strinsi i pugni fin quando non sentii il sangue caldo fuoriuscire dalle ferite causate dalle unghie, che si erano conficcate nei palmi. Un tornado di emozioni negative mi aveva investita in pieno e sentivo vacillare il controllo della mia energia. Avevo tanto potere in corpo, e a volte era complicato tenerlo a bada.

«Ma ci deve essere un modo. Ti prego. Ti sto pregando, io, una regina. Ti supplico, aiutami a rivedere mio padre.»

«Davanti alla morte, Edith, si è tutti uguali e impotenti. Non importa quanti soldi, quanti abiti, quante dimore o quanti sudditi tu abbia. La morte giunge per tutti.»

«C'è un modo, so che c'è. Farò di tutto per riportare in vita mio padre.»

Dopo attimi di silenzio in cui sarei potuta crollare da un momento all'altro, finalmente decise di parlare.

«Verrai con me oggi. Mi accompagnerai al lavoro. Magari capirai alcune cose.»

Un bussare alla porta ci interruppe e pensai che fosse Nathan, ma mi sbagliavo. Un uomo dai lunghi capelli scuri e lisci con occhi verdi incappucciati entrò nello studio. Era molto alto e dalla camicia bianca che indossava si poteva intuire quanto fosse muscoloso. Aveva un viso molto spigoloso, con un naso aquilino e delle sottili labbra rosee.

«Mi hai convocato?» domandò il nuovo arrivato con una voce cavernosa, rivolgendosi alla creatura accanto a me.

«Sì, oggi prenditi il giorno libero. Ci penserò io alle anime che ti ho assegnato.»

«Lo sai che Mike non la prenderà bene, vero?» chiese l'altro, incrociando le braccia al petto.

«Lo so, Chris, lo so» rispose Morte, chiudendo gli occhi, e si passò una mano sulla fronte per la disperazione.

La rabbia pian piano stava scemando, mentre la confusione divenne una delle principali emozioni che stavo provando. Colui che avevo capito chiamarsi Chris uscì dalla stanza, ignorandomi completamente, e così mi ritrovai da sola con Morte.

«Va bene, dove andiamo?» mi incuriosii.

«Reggiti a me, per il resto ci penserò io» disse, porgendomi la mano.

La sua pelle era candida, mentre le dita erano lunghe e affusolate, perfette per suonare il pianoforte che avevo adocchiato all'entrata. Allungai la mano dopo averla guarita con la magia di nascosto e afferrai con delicatezza la sua. Era fredda, al contrario della mia.

Ci teletrasportammo in un istante di fronte a una casa, vicino alla quale scorreva un fiume. Il sole era coperto da grosse nuvole burrascose; il corso d'acqua lasciava intravedere i grandi massi sul fondale e gli alberi sulle colline che circondavano la piccola casa rendevano quel luogo incantevole, fiabesco... magico. L'aria che si respirava in quel posto era leggera e fresca, ottima per i polmoni. Non si percepiva alcun rumore, se non il delicato fruscio del vento e il lento scorrere del limpido ruscello.

La casa somigliava a una piccola baita di legno lucido con un patio. Sul portico era posizionata una sedia a dondolo, anch'essa lignea, che dava tutta l'aria di essere molto antica, ma anche ben fatta e ancora resistente.

«Entriamo» mi comunicò Morte, per poi iniziare a incamminarsi verso le piccole scale che portavano all'ingresso dell'abitazione.

Iniziai a seguirlo ed entrai in quella meravigliosa baita.

Anche l'interno, come l'esterno, era realizzato in legno lucido. I mobili erano puliti e curati nei minimi dettagli, e rendevano l'ambiente molto confortevole. Su un piccolo tavolino vicino all'ingresso erano poste alcune fotografie incorniciate.

Ne presi una in mano e la osservai. Raffigurava un anziano signore seduto sulla sedia a dondolo sul portico, accanto a quattro bambini. La bambina, che sembrava avere due anni, era accomodata sulle ginocchia dell'anziano e gli rivolgeva un tenero sorriso paffuto. Sui gradini, invece, vi erano tre maschietti. Sul primo gradino era seduto un ragazzo che sembrava avere sui quindici anni, con i capelli neri scompigliati e con un sorriso rivolto alla fotocamera. Seduti dinanzi a lui c'erano gli ultimi due bambini. Erano sicuramente gemelli, considerata la somiglianza: avevano gli stessi capelli neri, i medesimi occhi chiari, il naso piccolo e le labbra sottili. Il bambino sulla destra piangeva toccandosi la fronte arrossata con una mano, mentre il bambino accanto a lui sorrideva con in mano un giocattolo.

Sorrisi nel vedere l'immagine di quella famiglia. Rimisi la cornice dove era posizionata in precedenza e seguii Morte fino a una delle stanze.

Il parquet scricchiolava sotto i nostri passi mentre l'odore del legno mi invase le narici. La camera da letto in cui entrammo era molto piccola, ma anche confortevole. C'era tutto ciò di cui una persona poteva aver bisogno: un letto singolo, un comodino con sopra una lampada a olio, un armadio a due ante e una piccola finestra che si affacciava sul magnifico panorama esterno.

Disteso sul letto si trovava il signore anziano immortalato nella foto che avevo notato prima. Le ossa del viso erano piuttosto evidenti, i capelli bianchi erano rasati e le mani poste sopra al petto tremavano. Sentii il cuore stringersi alla vista di quel povero signore, inerme sul letto in quella casa deserta.

Morte gli si avvicinò e gli porse la sua mano. L'anziano aprì gli occhi e, una volta visto Morte, una lacrima solitaria gli rigò il viso.

«Ti prego, i-i miei figli e i miei nipoti stanno per arrivare. Ti prego, solo un m-momento» supplicò con voce flebile.

«È giunto il tuo momento, Frank, è ora di andare...» rispose Morte parlando con delicatezza e continuando a tenere tesa la candida mano. «Frank Cesar Richard, avente novantuno anni. Quest'anima è stata raccolta.»

Il signore annuì, ormai rassegnato, e afferrò delicatamente la mano di Morte. Si alzò dal letto e insieme alla Morte, che ormai era giunta per lui, si recarono all'esterno.

«Resta qui, Edith, accompagno Frank nell'aldilà e ti raggiungo» mi informò Morte, prima di scomparire dalla mia visuale insieme a Frank.

All'improvviso la porta d'ingresso si spalancò e alcune voci cominciarono a riempire la casa. Mi resi immediatamente invisibile e guardai le persone catapultarsi nella stanza e gettarsi ai piedi del letto di Frank.

I bambini nella foto non capivano perché i loro genitori stessero urlando e piangendo disperati, mentre il ragazzo più grande era rimasto fermo sulla soglia della camera. Era immobile, quasi come se si fosse paralizzato alla vista del nonno disteso senza vita sul letto. E come potevo dargli torto. L'anima di Frank era finita nell'aldilà in quel momento, ma il suo corpo era ancora adagiato sul letto singolo in quella piccola stanza.

Tutte quelle lacrime mi stavano distruggendo lentamente. Avrei voluto trovare un modo per consolarli, dicendo loro che sarebbe andato tutto bene, ma come potevo? Come potevo pronunciare una così orribile menzogna?

«Papà!» urlò una donna, stringendo le mani di Frank tra le sue. «È tutta colpa nostra. N-Noi d-dovevamo arrivare prima. Non dovevamo permettergli di andarsene da solo. Non dovevamo permettergli di morire in completa solitudine!» continuò tra le lacrime la donna dai lunghi capelli castani.

«Andiamo» annunciò la voce di Morte, che era tornato al mio fianco.

«Riesci a vedermi?» domandai voltandomi di scatto verso di lui.

«Sì. Andiamo» ribadì, per poi prendermi la mano e teletrasportarmi una seconda volta.

Ci ritrovammo in una città. Il clima era più soleggiato, l'aria meno pulita e sicuramente c'erano più persone. Fortunatamente ero ancora invisibile e i miei abiti non potevano risultare sgargianti. Camminammo per le strade tra la moltitudine di edifici imponenti che ci circondavano.

«Perché non hai aspettato? Potevi attendere due minuti affinché non morisse da solo. Oltre che una morte più serena per lui, avresti potuto aiutare anche la sua famiglia con il lutto. Ti ha pregato di attendere, perché non l'hai fatto?» domandai con voce adirata, intanto che mi impegnavo a camminare con i tacchi lungo la salita che stavamo percorrendo.

«La Morte non attende. Quando giunge il momento si deve raccogliere l'anima della persona. Il tempo non è un privilegio di cui posso usufruire.»

«Ironico detto da un'immortale.»

«Anche tu hai vissuto molto. Quanti anni hai?»

«Duecentoventinove. Non cercare di cambiare discorso.»

«È questo quello che sono io: la Morte. Il momento prima non c'è, il momento successivo appare dal nulla, raccoglie l'anima e se ne va» rispose mantenendo lo sguardo distaccato.

Definirmi infastidita sarebbe stato un eufemismo. Sapevo quanto la Morte fosse precisa e rigorosa, ma non immaginavo fino a quei livelli.

Si fermò davanti a una casa, sbloccò il cancello e lo tenne aperto per farmi entrare.

La casa in questione era una piccola dimora con un grazioso giardino a circondarla, eppure era anche molto moderna. Vi era una grande vetrata al posto del muro che ci permetteva di vedere all'interno della casa e un tetto marrone con sopra un impianto fotovoltaico che brillava alla luce del sole.

Attraversammo le pareti e ci ritrovammo nel salotto dell'abitazione. Era abbastanza disordinato, anzi, parecchio. I cuscini del divano giacevano per terra, la tavola era ancora apparecchiata con le posate per la colazione, la polvere era ovunque e la televisione posta sopra un mobile era accesa.
Al centro della stanza era posizionata una piccola culla blu elettrico. No, ti prego, no.

«Morte, non dirmi che-» non riuscii a terminare la frase.

Lo vidi avvicinarsi lentamente alla culla, piegarsi e guardare dentro essa. Cercai di farmi forza e di muovere le gambe che avevano iniziato a tremare. Toccai con le fredde e pallide dita il morbido tessuto della culla e abbassai lo sguardo. La bambina, o meglio, la neonata che era distesa lì era la cosa più dolce che avessi mai visto. L'innocenza e la purezza dei bambini erano qualcosa di unico. Teneva i suoi grandi occhioni azzurri aperti, indossava una tenera tutina bianca e muoveva delicatamente le braccia e le gambe.

«Morte, ti prego, è una bambina. È solamente una piccola e innocente neonata» lo supplicai.

«La Morte non ha età e non ha pietà. Sebbene sia solo una bambina, il suo tempo su questo pianeta è giunto al termine.»

«Non puoi fare questo ai suoi genitori. Pensa a come si sentiranno quando lo scopriranno.»

Morte, però, non mi rispose e continuò a osservare la bambina per poi allungare le mani verso di lei e prenderla in braccio. Quella davanti a me forse era la scena più insolita e tremenda a cui una persona potesse mai assistere.

Insolita perché vedere un uomo grande e imponente, per giunta con dei lineamenti così duri, che teneva un fagotto talmente piccolo e delicato tra le mani pareva davvero assurdo. Tremenda per il fatto che colui che teneva in braccio quella bambina non fosse un uomo qualsiasi, bensì la Morte in persona.

«Brianna Leroy, avente quattro mesi di età. Quest'anima è stata raccolta» dichiarò Morte per poi scomparire nel nulla.

E, per la seconda volta, mi sentii impotente. Non avevo alcun potere nelle mie mani. Potevo solamente assistere a come la morte compisse il suo dovere, non facendo nulla per impedirglielo. Qualche secondo dopo il moro ricomparve accanto a me, purtroppo da solo.

«Brie, è l'ora della pappa!» esclamò allegramente una donna entrando nel salotto.

Aveva i capelli biondi spettinati, delle occhiaie scure sotto gli occhi e i vestiti che indossava erano sporchi di macchie di latte. La madre.

La donna si avvicinò alla culla, ma quando cercò di svegliare sua figlia invano, gridò e crollò a terra tra i singhiozzi. Quell'urlo fu assordante e agghiacciante. Racchiudeva in un modo straziante tutto il dolore di aver perso la propria figlia in quella maniera terribile.

«Brianna era gravemente malata. Sarebbe dovuta morire appena partorita, ma grazie a un miracolo è sopravvissuta.»

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