Accademia Crono

By Trachemys

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[✨Wattys 2022 Winner - categoria scifi✨] Napoli, 2325. Davide ha venticinque anni e una carriera promettente... More

Premessa
Prologo
L'immortale
Passato
Il gran giorno
Licenza di uccidere
Cavaliere in scintillante armatura
La taverna
Il castello
Il dilemma del treno
Disco Dance
Il Dio Sole
La congiura
Passare il limite
Reazioni
Nuovo inizio
Memento Mori
Stilettata
Salaì
Giulia
Accademia
Antonio Marchesi
Epilogo

Omicidio

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By Trachemys

Cassio lo strattonò per i corridoi affollati, tenendolo a sé e sollevandogli il polso per costringerlo a stare fermo e seguirlo. La sua vicinanza gli annebbiava la mente, la presenza di quel corpo dietro al suo, e lui si sforzò di non pensarci mentre veniva trascinato per i corridoi del castello.

“Dove potrebbe mai essere?” lo sentì mormorare tra i denti, mentre lo guidava senza meta in cerca degli appartamenti di Pierre.

Cassio sembrava perso, non aveva idea di dove andare, ma almeno nessuno li disturbava, stavano tutti ben attenti a non incrociare il cammino della guardia con il prigioniero. 

A un certo punto, Davide sentì Cassio irrigidirsi contro di lui. Gli strinse il polso più forte, polso che aveva iniziato a formicolare, e lo trascinò in una sala adiacente. “Templare in vista” gli sussurrò all’orecchio.

Non avrebbero potuto farsi vedere da altri templari, avrebbero potuto riconoscere Cassio come impostore, non sapevano se si conoscevano tutti o se fosse normale per loro incrociare un volto nuovo con la loro divisa. 

Nella sala in cui l’aveva trascinato stavano delle sarte, sedute all’arcolaio, che producevano quello che sembrava un ampio tappeto dai mille colori, col motivo di un pavone. Nessuna di loro li interpellò, alzarono gli occhi dal loro lavoro e li guardarono per un attimo per poi riprendere la loro attività, senza chiedere loro cosa ci facessero lì.

Essere abbigliati come dei templari dava loro la libertà di andare dove volevano e di fare ciò che volevano senza che nessuno facesse domande, il piano sembrava aver funzionato, da quel punto di vista. L’unico problema era che non sapevano da che parte si trovava Pierre.

Dopo che il crociato passò, Cassio lo trascinò fuori dalla stanza. Davide si accorse che svoltava sempre nei corridoi meno frequentati, forse pensando che il loro obiettivo si sarebbe trovato dove nessuno poteva disturbarlo. In breve si trovarono in un corridoio deserto, e Davide tirò un sospiro di sollievo.

“Puoi lasciarmi adesso,” gli disse, e Cassio obbedì. Lui si agitò il polso, che formicolava, e lo massaggiò per fare riprendere la circolazione. 

“Scusami,” gli disse, “ti ho fatto male?”

“Solo il tanto necessario,” rispose Davide, che ora che non aveva più la presenza di Cassio dietro di lui aveva iniziato a schiarirsi la mente, libera dai pensieri assurdi che aveva avuto sino a poco prima.

Tirò fuori il bracciale dalla manica e impostò la bussola. Il GPS non avrebbe funzionato per mancanza di satelliti a cui agganciarsi, ma lui aveva allenato il suo orientamento, e la bussola gli sarebbe bastata. 

Camminarono in silenzio uno accanto all’altro per minuti interi, in quella parte deserta del castello. Lo ispezionarono a fondo, sino ai piani superiori, quando all’improvviso sentirono un forte rumore metallico e videro che un gruppo di templari correva nella direzione opposta alla loro, troppo di fretta per degnarli di uno sguardo. Nonostante questo, i due si gettarono in un corridoio laterale, per non essere scoperti.

“Cosa sarà successo?” chiese Cassio, sentendo il rumore della cotta di maglia che si allontanava. 

“Avranno scoperto il corpo che hanno trovato nudo in fondo alle scale,” rispose Davide. “Ora staranno più attenti a chi è qua intorno vestito da templare, sanno che c’è un impostore. Non possiamo abbassare la guardia.”

“Come se tu fossi tipo da abbassare la guardia a prescindere…” mormorò Cassio. “Lavoro, lavoro, lavoro. Non pensi ad altro. Non lo so mica, perché mi faccio coinvolgere tanto nelle tue missioni.”

“Perché ti pagano per farlo,” rispose Davide. “E perché non mi lasceresti mai nei guai.”

Non sapeva perché aveva aggiunto quella parte, forse per dargli confidenza e fargli credere che si conoscevano da tempo, forse perché sentiva che era vero.

A conferma di ciò che aveva detto, Cassio sorrise. “Peste mi colga, hai ragione purtroppo. I soldi mi fanno comodo, e sono sempre disponibile a salvare quel tuo bel culo.”

Davide alzò gli occhi al cielo. “Ora non esageriamo…” mormorò, continuando ad avanzare.

Quell’area del castello era deserta, il caldo umido faceva appiccicare loro i vestiti addosso e li faceva sudare da capo a piedi. Gli abiti di lana e fustagno che aveva assegnato a Davide per la missione andavano di certo bene per quell’epoca, ma non per il mese in cui l’avevano inviato. Ancora una volta, la disattenzione dell’Accademia così palese ai suoi bisogni lo indispettì.

Proseguirono in direzione contraria rispetto a quella da cui erano venuti i templari, che avevano attraversato di corsa il corridoio desolato senza degnarli di uno sguardo. L’unico suono udibile era quello dei loro passi e dello sferragliare della cotta di maglia di Cassio, che camminava accanto a lui senza perderlo di vista un attimo. Camminarono ancora per qualche minuto e lo videro.

La porticina in legno era spalancata, e l’uomo era chino sulle carte che stavano sulla scrivania, la mitra in testa che copriva i capelli bianchi. Aveva un’aria pacifica, e un’aura di autorevolezza e decisione aleggiava intorno a quel vecchio che stava tranquillo seduto al suo scranno, davanti alle sue pergamene e al calamaio. 

Davide l’aveva riconosciuto dalle foto nel suo fascicolo, ma anche se non fosse accaduto avrebbe saputo comunque dire chi era. Quell’uomo non poteva che essere la persona che aveva le veci di Federico II in quel momento, colui che era in comando, il capo della spedizione al castello.

Quell’uomo era Pierre de Montaigu, e Davide l’avrebbe ucciso.

Pierre alzò lo sguardo allo sferragliare della cotta di maglia di Cassio, rivolse lo sguardo verso di lui e gli disse “L’hai trovato, soldato? È lui l’intruso che stiamo cercando?”

Cassio aprì la bocca per rispondere, ma Davide lo precedette. Non poteva lasciare che succedesse una replica dell’episodio con Baxter, non poteva lasciare a Pierre il tempo di fargli capire che era un essere umano. Tirò fuori il pugnale in dotazione dalla tascona del suo abito, e in un attimo lo lanciò preciso e letale contro l’uomo che aveva parlato. 

L’istante dopo, la lama del pugnale affondò nella sua gola grinzita dal tempo e un fiotto di sangue scarlatto si rovesciò a impregnare le carte sulla scrivania, caldo e umido come il ventre del castello.  

“Hai fatto in fretta stavolta,” commento Cassio, che guardava la vita svanire da quegli occhi chiari come se la cosa non lo riguardasse. 

Davide, al contrario, non riusciva a smettere di fissare il cadavere che era collassato su sé stesso, scivolando sulla sedia e infilandosi tra la poltroncina e la scrivania in una posa innaturale, gli occhi azzurri vuoti e vitrei. Gli montò su la nausea, una forte voglia di vomitare. 

“Ehi,” disse Cassio, venendo preoccupato verso di lui. “Cosa succede? Ti senti male?”

“Io… io…” Davide boccheggiò. Aveva la gola secca, la bocca impastata e d’un tratto sentiva le gambe molli. Quell’uomo era morto, lui l’aveva ucciso.

L’aveva ucciso senza un secondo di esitazione.

“Davide,” disse Cassio, la voce tremante dall’ansia. Si mise davanti a lui e gli prese il volto tra le mani, obbligandolo a guardarlo in faccia. “Cosa c’è? È morto, giusto? Dovrebbe essere tutto a posto. Cosa è successo, che c’è che non va?”

“Vattene,” sibilò Davide, con le ultime forze che gli erano rimaste.

“Io… cosa?” chiese Cassio, che aveva aggrottato la fronte e ora la preoccupazione si era macchiata di perplessità. “In che senso?”

“Se ti troveranno qui ti rinchiuderanno di nuovo, penseranno che sei stato tu a ucciderlo. Devi andare, Cassio.”

“Abbiamo ancora dieci minuti di finestra prima che passi qualcuno. Tu tra un minuto svanirai.”

“Ci metterai più di dieci minuti a uscire dal castello. Abbiamo camminato per un’ora e più. Vattene, avanti.”

“Me la caverò. Io me la cavo sempre.”

“Ti tortureranno. Capiranno che non puoi morire.”

“Passerò con te ogni secondo che ti resta,” disse, in un tono che non ammetteva repliche. Lo studiò, osservandogli il volto, come se volesse imprimerne ogni particolare nella memoria. Sorrise. “Ti promuoveranno. Finalmente, non riesco a crederci.”

Davide alzò le spalle. “Ti ho detto che non devono promuovermi.”

“La tua ansia altrimenti non avrebbe senso.”

Il ragazzo si sentì richiamare dal bracciale, già più inconsistente di un attimo prima. “Ci rivedremo,” disse, lottando per restare in piedi. 

“Ti aspetterò. Lo faccio sempre.”

“Ora va’.”

“Quando svanirai del tutto,” rispose Cassio, coi piedi ben piantati per terra. “Buona fortuna con la tua promozione,” aggiunse, e fu l’ultima cosa che sentì.

Poi tutto fu bianco.

Non appena Davide riprese coscienza di sé, al centro della sua stanza in Accademia, cadde in ginocchio prendendo un profondo respiro. Si portò le mani al petto e si raggomitolò sul pavimento, sentendo il bracciale che vibrava perché le sue funzioni vitali erano fuori controllo.

Non aveva senso controllare per lui, già sapeva cosa non andava. Sapeva che il suo cuore stava correndo più veloce del previsto, che non aveva ossigeno nel sangue per via del suo respiro affannoso.

Aveva terminato una vita umana quel giorno, portato alla sua fine la vita di quell’uomo. Aveva davvero ucciso Pierre, che un attimo prima era vivo e quello dopo, a causa sua, morto. 

Iniziò ad ansimare cercando di calmarsi, le orecchie gli ronzavano, il bracciale continuava a vibrare per quello che ormai era certo fosse un attacco di panico. Non li aveva più avuti da quando si era arruolato, non aveva più avuto problemi di quel genere per anni, e ora il suo primo omicidio aveva portato a galla il suo senso di inadeguatezza e il suo terrore più viscerale.

Rivide gli occhi di Pierre farsi vuoti, il suo sangue che impregnava le carte sulla scrivania, il suo verso strozzato e gorgogliante nel momento in cui il pugnale l’aveva colpito, il suo sguardo di assoluta incredulità. 

E per cosa? Per evitare la fine dell’umanità avrebbe dovuto perdere la sua, di umanità? Sarebbe dovuto diventare una macchina che uccideva senza pensare, senza neanche ricordare i nomi, i volti delle persone che aveva ucciso?

Secondo Cassio sarebbe diventata una persona così.

Era quel tipo di persone che avrebbe fatto finire il mondo, come poteva essere anche quello che cercava di salvarlo?

Per un attimo si rammaricò che il regolamento imponesse di non avere contatto umano all’infuori dell’Accademia. Per un attimo pensò ai suoi amici, la parte restante della sua famiglia, che in quel momento lo credevano morto e avrebbero continuato a crederlo morto sino alla fine, che si erano già scordati di lui dopo anni che era scomparso per arruolarsi senza lasciare traccia. 

Desiderò poter essere con loro, abbracciarli, vomitare loro addosso tutto quello che stava provando, ma non poteva. Così restò vestito coi suoi abiti del tredicesimo secolo, rannicchiato sul freddo pavimento della sua stanza, ad inspirare famelico la poca aria che riusciva a entrargli nei polmoni.

Poi pensò a Cassio. Cassio, che aveva lasciato come sempre nel bel mezzo dell’azione, nel castello senza nessuna garanzia di riuscire a uscire da lì. Lo aveva abbandonato come la volta precedente, in balìa delle guardie che stavano cercando un impostore e un assassino e forse erano riusciti a prenderlo come già una volta prima di quella. 

Davide sapeva che Cassio era riuscito a spuntarla, l’aveva incontrato sano e salvo sia nel diciannovesimo secolo che nel ventiquattresimo, ma la sensazione di averlo abbandonato sul più bello senza possibilità di uscita gli si insinuò nel petto senza riuscire a buttarla fuori.

Passarono i minuti e il suo bracciale smise di vibrare, mentre i suoi respiri si fecero più regolari e lui sentì il suo cuore che si andava calmando. 

Sospirò e decise che si sarebbe fatto la doccia, poi avrebbe pensato al da farsi. Si Tolse gli abiti sporchi di terra e sudore e attraversò la porta scorrevole verso il bagno, come un automa.

Non guardò la sua immagine riflessa allo specchio questa volta, non ne ebbe il coraggio, si infilò nella cabina doccia senza vedere nient’altro. Superò le lastre di vetro interattivo della doccia che lampeggiavano chiedendogli di scegliere una playlist e ci passò distrattamente il dito, ignorando le richieste e facendo uscire il vapore.

Dalla prima catastrofe ambientale del duemilaquarantasette il mondo aveva rinunciato alle docce grondanti di acqua e aveva introdotto quelle a vapore.

Meno spreco, più pulizia, diceva una pubblicità di allora.

Nel ventiquattresimo secolo erano obbligo per legge, le docce ad acqua liquida erano state smantellate persino nelle case d’epoca.

Si passò addosso il bagnoschiuma solido con calma, come se il suo tocco da solo potesse ricostruirlo da capo, come se osservare l’acqua fangosa che finiva nello scarico, passata alla forma liquida una volta a contatto con la sua pelle, potesse liberarlo dalla sensazione di sbagliato che sentiva dentro.

Tornò in camera già quasi asciutto, tra i vantaggi della doccia a vapore c’era quello dell’asciugatura rapida, e si infilò i pantaloni della tuta e una maglia, la più larga e vecchia che avesse, che gli desse conforto.

Da quando era rientrato a casa non si era ancora guardato in faccia.

Si buttò sul letto e guardò l’ora. Erano mezzogiorno e quarantacinque, in un quarto d’ora ci sarebbe stato il pranzo in Accademia, la mensa si sarebbe aperta e lui sarebbe dovuto presentarsi davanti a tutti a mangiare. Non ne aveva nessuna voglia, voleva parlare con qualcuno di fidato o restare solo.

Salì sul letto godendo del materasso in memory che si adattò alla forma della sua schiena e fissò il soffitto, le luci al neon bianche del lampadario che illuminavano la stanza lo guardarono di rimando.

D’improvviso, proprio sul soffitto, si accese una luce blu e apparve la scritta 

1 nuovi messaggi

Davide aggrottò la fronte, sorpreso. Solo i membri dell’Accademia potevano inviargli messaggi, persone a conoscenza del suo ID, e lo usavano quando era fuori per esortarlo a tornare alla base. Non aveva senso per loro scrivergli quando si trovava già là dentro, avrebbero potuto semplicemente mandare qualcuno a prenderlo in camera 

Strinse le labbra in una morsa e disse “Leggi.”

Spostò lo sguardo sul muro più grande della stanza, quello di fronte al letto e sopra la scrivania. La scritta si spostò con lui, e sul muro apparve 

ID sconosciuto: Allora, ti hanno promosso?

Davide si irrigidì. C’era una sola persona che avrebbe potuto fargli quella domanda, e non sapeva come avesse fatto a contattarlo. 

“Rispondi,” disse all’AI della stanza. “Come hai avuto il mio ID?” chiese. “Invia.”

Attese col cuore in gola, fissando il muro aspettando che si illuminasse di nuovo. Non sapeva cosa avesse spinto Cassio a contattarlo su una linea privata, forse davvero era convinto che l’avessero promosso, ma qualunque cosa fosse doveva essere importante.

Non passò che qualche secondo che sul muro apparve 

1 nuovi messaggi

Immediatamente seguito da

2 nuovi messaggi

3 nuovi messaggi

“Leggi,” disse, senza fiato. 

L’istante dopo, apparve la scritta

ID sconosciuto: Ma per favore, mi insulti così

Sono anni che ho hackerato i database dell’Accademia per permettermi di scriverti quando fossi stato arruolato

Ti hanno promosso?

Davide osservò quelle parole stranito, come se non riuscisse a comprenderne il significato appieno. 

E così, Cassio ci era cascato. Non si era accorto che quella era la seconda volta che si vedevano per lui, si era convinto che la sua emozione venisse dalla prospettiva di una promozione imminente. 

“Rispondi,” sospirò Davide. Poi disse qualcosa che sorprese persino lui, che non si sarebbe mai aspettato di pronunciare a voce alta. “Vediamoci tra mezz’ora in piazza San Domenico. Invia.”

Si alzò in piedi e iniziò a camminare su e giù per la stanza, già pentito di quel gesto inconsulto. Non sapeva neanche se fosse permesso vedersi coi propri immortali fuori dall’orario di lavoro o se questo infrangesse il quinto pilastro.

Si disse che no, di certo doveva essere consentito. Del resto, lui avrebbe parlato di lavoro con Cassio. La loro uscita rientrava ancora nell’ambito professionale. 

Non aveva mai sentito di un immortale e di un viaggiatore che si incontravano fuori dall’orario di lavoro, ma non sapeva se fosse perché era proibito o perché, al contrario, fosse una cosa tanto normale da non meritare di essere trasmessa.

Non avrebbe chiesto a nessuno il permesso, però. Aveva bisogno di vedere Cassio, di assicurarsi che stesse bene, aveva bisogno di parlare a qualcuno di cosa aveva fatto e di quello che era successo. Aveva bisogno di buttare tutto fuori con qualcuno di cui si fidava, e lui ormai si fidava del suo immortale.

Si tolse la maglia oversize che usava per dormire ma tenne i pantaloni della tuta. Si infilò una maglietta in fibra di carbonio che usava per gli allenamenti, senza aggiungere altro. Era luglio, e con il secondo surriscaldamento globale dopo la piccola glaciazione del secolo precedente faceva un caldo torrido a Napoli.

Uscì dalla stanza cercando di sembrare naturale. Del resto, non stava facendo niente di male.

In teoria, sussurrò una voce nella sua testa.

Attraversò i corridoi asettici dell’Accademia a passo spedito. Incrociò Enrico, che camminava verso la stanza di qualche viaggiatore con una tunica in mano, che lo salutò. Davide ricambiò il saluto, ma quando vide che stava per attaccare bottone camminò più in fretta 

Superò la statua di Marchesi, l’inventore dei viaggi nel tempo nonché fondatore dell’Accademia, e giunse all’ingresso. 

Era da un po’ che non usciva all’esterno dell’edificio, non nella sua linea temporale. Da quando si era diplomato due settimane prima non era ancora successo. Non aveva più nessuno là fuori, e non aveva bisogno di fare la spesa. L’Accademia a mensa gli dava tutto ciò di cui aveva bisogno.

“Numero identificativo?” chiese il soldato dietro il bancone, in divisa perfetta.

Era un bancone liscio e bianco, come ogni cosa là dentro. L’unica cosa che stava su di esso era un piccolo tablet sottilissimo, una penna per il disegno grafico e quella che sembrava una pianta di aloe, un purificatore d’aria naturale.

“ID 675812,” rispose Davide senza esitare. Gli porse la sua patente da viaggiatore e il soldato la osservò con aria annoiata. 

“Motivo dell’uscita?”

Davide non esitò neanche questa volta. Nelle settimane precedenti aveva avuto qualche problema dovuta all’ansia da prestazione da primi giorni, ma era sempre stato bravo a mentire. “Attività fisica. Ho voglia di prendere aria.”

“Dove sta andando?”

“In centro.”

“Deve firmare l’autocertificazione,” rispose l’uomo, passando le dita velocemente sul tablet e porgendoglielo.

Davide lo afferrò, pesava meno di un grammo nonostante lo schermo fosse ampio. Lesse brevemente l’autocertificazione per assicurarsi che fosse tutto corretto.

Luogo di partenza, destinazione, orario di uscita, numero identificativo. 

Sollevò il tablet e fissò la piccola fotocamera sul davanti per la firma retinica, e presto apparve una spunta verde sullo schermo.

“Perfetto, arrivederci,” mormorò l’uomo che sino al momento era stato in piedi mentre ora si era seduto dietro la scrivania e aveva l’aria di essere molto stanco. “Si diverta.”

“Grazie,” rispose Davide, uscendo dalla porta a vetri con una blanda espressione cordiale. Quando la porta si richiuse dietro di lui, si permise di fare una smorfia.

Per il momento ce l’aveva fatta, ma aveva commesso nuovamente quella che era stata la sua prima infrazione: aveva mentito su un documento ufficiale. Il suo rapporto che narrava dell’impresa in cui aveva ucciso Baxter nel diciannovesimo secolo aveva fatto il giro dell’Accademia – quasi nessuno era riuscito a eliminare il suo primo obiettivo prima – e ora aveva firmato un’autocertificazione falsa in cui affermava di uscire per fare attività fisica all’aperto.

Scosse la testa, inserendo le coordinate nel suo bracciale. Un istante dopo, il percorso apparve sullo schermo davanti a lui.

Napoli era una delle città cambiate meno negli ultimi secoli, come gran parte delle città d’arte italiane. I palazzi erano cresciuti intorno agli edifici storici, ma le vie e le piazze del centro erano state conservate quasi identiche a com’erano state secoli prima.

I grandi pannelli delle pubblicità, i brand che coprivano ormai qualsiasi cosa – auto, muri delle case, persino gli alberi – erano rimasti estranei agli edifici risalenti al ventunesimo secolo e via a scendere.

Ogni tanto si riusciva a vedere ancora qualche auto d’epoca, le obsolete macchine a energia solare del duemilacento, ormai soppiantate dalla più economica e funzionale energia di ricircolo dell’aria.

Prese una bella boccata d’aria bollente. C’era traffico quel giorno, il che significava che l’aria era più pulita del solito. Le auto utilizzavano come nuova fonte di energia l’anidride carbonica consumata dall’autista e dai passeggeri, e delle ventole la raccoglievano, trasformavano e buttavano fuori ossigeno. L’energia usata per questa conversione faceva andare avanti il motore.

Questo significava che più auto si trovavano in una strada cittadina, più quella strada abbondava di aria pulita e ossigeno buttato fuori dallo scarico delle macchine in fila al semaforo.

Ricordò l’odore di smog e il fumo tossico delle fabbriche del diciannovesimo secolo e rabbrividì. La rivoluzione industriale era stata l’inizio della fine, quando gli esseri umani avevano iniziato a rovesciare la loro merda in quantità insostenibili sul loro pianeta, pianeta che aveva risposto con dolore e rabbia.

Davide ringraziava ogni giorno di non essere stato sulla terra ai tempi dei primi cambiamenti climatici, del primo surriscaldamento del ventunesimo secolo e la mini glaciazione che era seguita, col raffreddamento della Corrente del Golfo a seguito dello scioglimento del ghiaccio artico.

In quel momento erano in un nuovo periodo di surriscaldamento, dovuto alla sovrappopolazione, e l’umanità aveva risposto in maniera più oculata, abbandonando le energie obsolete e adottando quelle ecologiche altamente performanti.

Si fermò al cancelletto che chiudeva il passaggio ai pedoni per il semaforo rosso – assurdo che ci fosse stato un tempo in cui si poteva semplicemente trasgredire a questa regola, in cui la società si fidava del singolo uomo che avrebbe potuto rispettarla – e si infilò la mano in tasca per prendere una caramella alla liquirizia.

Il sapore dolciastro eppure amarognolo, familiare, della caramella riuscì a calmarlo.

La verità era che l’idea di riunirsi con Cassio nella sua linea temporale lo angosciava, gli metteva addosso una preoccupazione che non era normale per lui. Il sapere di aver infranto una regola due volte a neanche due settimane di servizio, l’avere bevuto durante un salto, l’essere diventato tutto ciò che aveva giurato di non essere mai lo turbava.

Arrivò a piazza San Domenico con troppi pensieri che gli frullavano per la testa, e quando fu sul posto si appoggiò con la schiena alle sbarre di ferro che circondavano l’obelisco, che dopo le ultime ristrutturazioni era tornato allo splendore originario. Sentiva il freddo del metallo sulla schiena che lo rinfrancava dopo il caldo torrido della sua camminata, la maglietta sottile termoconduttrice rilasciava il calore accumulato e gli permetteva di sfreddarsi sulle sbarre di ferro.

Si beò di quella condizione per qualche istante, chiudendo gli occhi e buttando indietro la testa. Sentiva le persone in continuo via vai per la piazza, e il frusciare basso delle macchine in lontananza. 

“Allora,” disse d’un tratto una voce, facendolo sobbalzare. Aprì gli occhi di scatto, sorpreso. “Ti hanno promosso oppure no?”

Note autrice
Il nostro Davide ha davvero ucciso Pierre e ne è uscito appena sconvolto.
Uccidere qualcuno non dev'essere cosa facile, anche quando lo si fa per salvare il mondo, e Davide è rimasto segnato da questo, con sensazioni che lo accompagneranno ancora a lungo.
Cassio è convinto che, a causa del suo comportamento strano nel 1228, quella missione fosse quella della sua promozione.
Davide gli dirà la verità o continuerà la sua menzogna? Come reagirà Cassio?
Lo vedrete nel prossimo capitolo, intanto vi ricordo che stelline, commenti, critiche e scleri sono sempre apprezzati!

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