«Si vedrà.» la sfidò. Dopodiché riprese a infilare la sua roba in valigia.

«Bene, allora buonanotte e buon viaggio.» sospirò Loura, con un lieve sorriso, facendo per andarsene.

Rozsalia non capiva. Aveva appena finito di dire che non sarebbe partita.

E allora si rese conto che Loura doveva già sapere. Sapeva che quel minimo di dubbio e di senso di colpa che Rozsalia avrebbe provato per aver lasciato l'Accademia senza nemmeno salutarla, tutte le sue insicurezze, tutti i suoi dubbi, si sarebbero fatti sempre più grandi fino a opprimerla nel momento in cui avrebbe terminato di fare i bagagli.

Non sarebbe partita, lo sapeva anche lei stessa.

Si sedette sul letto, spostando la borsa da un lato, e crollò. Cominciò a singhiozzare, a piagnucolare, e presto fu impossibile fermare le lacrime.

Loura smise di fingere. Si fermò, una mano sulla maniglia della porta, e guardò i propri piedi nudi. Sua sorella stava piangendo. Non se ne sarebbe andata. Non l'avrebbe lasciata sola, nemmeno se quello fosse stato il suo destino.

Si voltò, e le venne vicino, sedendosi accanto a lei, e abbracciandola. «Sta' tranquilla, Rozsa,» sussurrò, passando una mano tra i suoi morbidi e lunghi capelli rossi.

«Come posso stare tranquilla?» ribatté lei, distaccandosi dall'abbraccio, e voltandosi a guardare la sorella. La luce dei lampioni all'esterno, che filtrava dalla finestra, faceva scintillare i suoi occhi azzurri, e le lacrime che ancora non aveva versato. «Io non sono come te. Non sono come l'Imperatore. Non conosco il futuro di tutti quanti.»

«Lo so,» la rassicurò la sorella, abbracciandola più forte, «Ma devi fidarti di me, se non vuoi vederlo con i tuoi occhi.»

«No!» si oppose vivamente Rozsalia, scuotendo la testa. Non voleva nemmeno aprire la prima pagina di quel maledetto libro.

«Tu lo incontrerai di nuovo, Rozsa.» disse Loura.

«E l'hai letto nel libro del destino?» chiese Rozsalia, sicura di conoscere già la risposta, sbagliando.

«No.» rispose infatti Loura, sincera, «Me lo sento.»

Le lacrime minacciarono di rigare di nuovo il viso di Rozsalia, ma Loura le sorrise, e la sorella minore, finalmente, ricambiò l'abbraccio.

Si sentì colpevole per ciò che le aveva detto prima. Era stata prevenuta, proprio come quella sera, nei giardini, quando Loura aveva appena rivelato a lei e agli altri dell'esistenza del libro del destino, che aveva tenuto nascosta per settimane. Per quanto conoscere il futuro la rendesse simile all'Imperatore, Loura non era come lui, e Rozsalia non aveva motivo di temere che la sorella le facesse del male.

«Non riesci a sognarlo, non è così?» chiese Loura, delicata.

Rozsalia annuì, asciugandosi gli occhi con una manica della camicia da notte, «Era un altro incubo. La casa—»

«Non ho bisogno di sentirtelo dire, Rozsa,» la rassicurò la sorella, per non costringerla a rivivere quel sogno per raccontarglielo, e per non riviverlo lei stessa.

«Solean era lì.» continuò comunque Rozsalia, i suoi occhi persi nell'oscurità della camera, rivolti verso il letto di lui, ora vuoto.

Loura si stupì, e la lasciò continuare. «Ma non era lui. C'era qualcosa di strano, nel Solean che ho visto.»

«Deve essere stato soltanto un tuo desiderio che ha preso forma.» disse Loura, per poi scherzare, «Sai, forse per te è strano, ma quando io sogno una persona, questa ha sognato tutt'altro.»

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