Epilogo

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25 ottobre 1583

Gli incontri con l'Imperatore erano ormai diventati una consuetudine, per Kerol. Alla presenza di Chayon, invece, la giovane donna non si era ancora abituata. Era un uomo freddo, riservato, invisibile e all'apparenza insensibile. Non esternava nessuna delle proprie emozioni, ma era certo che non provasse nulla di diverso dal disprezzo, per lei. Non lo avrebbe mai scelto, né desiderato, come marito.

Ma non aveva avuto scelta.

Era una delle poche volte che le veniva concesso uscire di casa, seppur sempre accompagnata da Chayon, poiché lei non poteva vedere. Non viveva più a Gejta, ma nel quartiere Imperiale, insieme a lui e a un servitore che badava a lei quando Chayon era al fronte. Ma Kerol non notava e non si curava della differenza. La sua prigione era ormai diventata quello che non era nero, né bianco, né grigio, ma l'assenza di luce. Quell'assenza di luce che era l'assenza di Larenc.

Dopo un aborto spontaneo, all'inizio di quell'anno, Kerol aveva cominciato a pianificare, ossessivamente, nuovi modi per togliersi la vita. Ed era stata puntualmente fermata, e salvata. Perché l'Alto Imperatore conosceva le sue intenzioni.

«Perché?» l'Alto Imperatore chiedeva spiegazioni ogni volta.

E ogni volta, Kerol dava le stesse risposte. «Perché ho perso l'ultima parte di lui che mi era rimasta.»

L'ultima parte di Larenc. Suo figlio, che non sarebbe mai nato. Per Kerol, non esisteva altro lui. Esisteva solo Larenc. Ma Larenc non esisteva più. Quindi non esisteva più nulla. Il nulla che era tutto ciò che riuscisse a vedere.

Era un circolo vizioso, e Kerol non riusciva a uscirne. Non voleva nemmeno uscirne. Per un periodo aveva smesso di mangiare. Aveva cercato di sottrarre la pistola a Chayon. Aveva chiesto di poter fare un bagno senza bisogno di assistenza, e poi aveva armeggiato con delle lamette da barba.

«Perché, Kerol?» domandò di nuovo l'Alto Imperatore, nel silenzio della sala del trono.

La giovane donna lasciò che la sua voce riecheggiasse, che si perdesse per la stanza. Poi parlò, in un altro sussurro. «Perché riesco a vederlo.»

Alzò lo sguardo, i suoi occhi d'ambra ora spenti, ingrigiti dal dolore e dalla solitudine. Ma, ancora, vivi. E l'unica scintilla rimasta in essi era il ricordo di Larenc.

«Ho capito, ormai.» continuò, «Ho capito perché avete fatto in modo che tutto questo accadesse.»

Khilents sospirò. Non era la prima volta che ripeteva queste parole. A ogni colloquio con l'Imperatore, diceva le stesse identiche cose.

«Solean e Rozsalia Vi servivano per studiare l'Onirico. Io e Larenc Vi serviamo per conoscere l'Aldilà.»

L'Imperatore annuì. «Esatto.» confermò. La sua voce aveva sempre lo stesso tono, meccanico. Calcolato.

«E il rendermi cieca, e il togliermi Larenc, questo era soltanto il metodo più efficace per fare in modo che io desiderassi costantemente la morte.» disse Kerol, annuendo lievemente, e ritmicamente. «Quindi, spingendomi così vicino a essa, ma non oltre, posso fungere da tramite, tra il Reale e l'Aldilà.»

«I miei complimenti.» l'Imperatore piegò la testa, in un cenno di rispetto, «Lo hai capito da sola.»

«Sapevate che lo avrei fatto.» ribatté Kerol, «Sapevate tutto, anche dei giorni inesistenti del 1582.»

«In realtà, questo non è esatto.» la corresse l'Imperatore, «Io dedussi semplicemente ciò che accadde in quei giorni, poiché solo due erano le opzioni che si presentavano a Larenc. Avrebbe potuto fuggire con te, passando inevitabilmente per Fersenvar, oppure avrebbe potuto rimandare la vostra fuga. Non avete mai veramente avuto una scelta. Immagino tu sia familiare con il paradosso del castello assediato

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