Prologo II

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21 marzo 1579

Rozsalia e Loura stavano camminando in direzione della biblioteca dell'Accademia. Erano le sole nel vasto e largo corridoio, costeggiato dagli ampi archi che offrivano una vista sui giardini olografici all'esterno. Rozsalia lanciava occhiate alla sua destra per tentare di scorgere qualche spiraglio di sole che filtrasse dalle nuvole, dalle chiome degli alberi, e che raggiungesse la terra scura, resa un tappeto verde e soffice dalle illusioni. Loura, invece, guardava davanti a sé, pronta a riservare il più torvo degli sguardi a chiunque avessero incrociato.

I passi delle due sorelle riecheggiavano sul pavimento di pietra. Quelli di Loura erano più lenti ma regolari in ritmo e in intensità, mentre Rozsalia sembrava camminare a piccoli scatti, ancora rapita dal paesaggio fittizio fuori dalla finestra. Cercava di fare del suo meglio per tenere il passo della sorella maggiore.

Solo quando raggiunsero la fine del corridoio, e quindi l'atrio, Rozsalia parve scendere dalle sue soffici nuvole di sognatrice. Smise di ricercare i raggi dorati del nuovo sole di primavera, e lasciò che fosse la luce più fredda e bianca proveniente dall'alto soffitto dell'Accademia a illuminare anche i suoi pensieri.

E anche questi tornarono a essere freddi.

Fu come se si fosse appena ricordata di tutte le sue preoccupazioni, quelle che aveva accantonato fino ad allora. E rischiò di affogare in quel mare. Ogni passo ora significava la possibilità di cadere e non riuscire a tornare mai più in superficie, e la necessità di appoggiarsi a sua sorella si faceva sempre più grande, diventava un istinto, uno che non era in grado di reprimere.

Fu costretta a dare voce ad almeno una delle sue preoccupazioni. «Pensi che sia vero?» domandò, quando raggiunsero la parte centrale dell'atrio. La sua voce era quasi del tutto sovrastata dal suono dell'acqua che scrosciava nella fontana centrale. «La Djabel del Dragone tornerà all'Accademia della Guerra?» specificò, poi.

«Non credo proprio» rispose Loura, scettica, tranquillizzando la sorella minore, continuando a camminare, senza degnarla nemmeno di uno sguardo. «Se mai metterà di nuovo piede a Zena, verrà spedita a Gejta.»

Rozsalia si spaventò al solo sentir nominare quel luogo, e si portò una mano alle labbra, per evitare che da esse sgusciassero parole che l'avrebbero fatta apparire debole – fin troppo debole – di fronte alla sorella. Loura non lo avrebbe tollerato.

Gejta era la prigione di Zena. Si trovava in realtà in un'altra dimensione, come Noomadel, ad esempio, ed era accessibile tramite un portale onirico situato a Fogad, quartier generale dell'Accademia della Guerra.

«Non lo augurerei a nessuno» disse Rozsalia, incapace di desiderare il male, o di concepirlo, nonostante il mondo in cui viveva.

«Non la conosci nemmeno» le fece notare Loura.

«Ma Larenc sì, e non mi ha mai parlato male di lei» rispose Rozsalia.

«Voi due non siete in grado di parlare male di nessuno» sospirò la sorella, sistemandosi gli occhiali.

Loura tentava ormai da tempo, fallendo, di nascondere ciò che il suo cuore provava per Larenc. Era uno studente dell'Accademia della Guerra, e già alla sua età – ventitré anni – aveva raggiunto il rango di Tesrat Comandante. Proveniva da una delle famiglie militari più importanti di Zena intera, la famiglia Endris, ed era l'unico figlio di Endris Walturn, un Halosat Guardia Imperiale.

Larenc era volenteroso di combattere, e sognava di riportare la pace a Zena, una pace che lui non aveva mai conosciuto. Non aveva ambizioni, ma sogni. Non voleva scalare la gerarchia militare, ma si sarebbe accontentato di entrare a far parte degli Orsem nel Reparto di Strategia e Ingegneria.

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